Esiste persino un’espressione specifica, in inglese, per definire le seconde stagioni che non risultano all’altezza delle aspettative sollevate dalle precedenti: è il termine mutuato dallo sport Sophomore Slump e in questo 2018 abbiamo visto parecchi show cadere in questa trappola, da Westworld a Jessica Jones, da Sneaky Pete a Legion, fino a 13 Reasons Why. È un fenomeno dalle molte possibili spiegazioni, che vanno da una debolezza intrinseca del plot (come nel caso di The Handmaid’s Tale, che non ha retto all’allontanamento dal romanzo originale) alla perdita dell’elemento sorpresa legato alla messa in scena e ai meccanismi narrativi (cosa accaduta a Legion ma anche a Westworld), fino all’abbandono di membri del cast o della writers’ room fondamentali per la capacità della serie di reggere sulla lunga distanza. D’altra parte, sappiamo che sono tantissimi anche gli esempi di show che nella seconda stagione non solo migliorano rispetto alle premesse della prima – pensiamo a Sons of Anarchy o a Breaking Bad –, ma giustificano la fiducia dello spettatore con seconde annate spettacolari, per le quali le precedenti possono essere considerate alla stregua di un prologo necessario per mettere le basi di una narrazione che acquista una direzione chiara soltanto con il tempo.
Da che parte di questo spettro – che va dal fallimento completo al compimento totale, con tantissime sfumature nel mezzo – si trova la seconda stagione di The Marvelous Mrs. Maisel? Di certo, sappiamo che gli spettatori e la critica sono divisi sulla sua riuscita e, cercando di mettere da parte l’entusiasmo della fan dei coniugi Palladino, bisogna riconoscere che l’operazione fatta si apre a moltissimi punti interrogativi, soprattutto per il peso che l’enorme successo dell’esordio rappresentava. Quel che senz’altro è rimasto immutato, di questo si può essere certi, è il ritmo indiavolato delle parole e delle immagini che saltellano, frizzolano, scoppiettano in un turbine di colori pieni, movimenti di macchina, trovate scenografiche e costumi che fanno a gara per qualità con i dialoghi che (come nella miglior tradizione della scrittura di Amy Sherman-Palladino) riescono ad essere al tempo stesso sagaci e svagati, pieni di contenuto eppure apparentemente leggeri come l’aria. È difficile non restare incantati dalla magia che ci avvolge gli occhi e le orecchie per concentrarsi sul plot della stagione, che pure non ha un minuto di sosta: ripartiamo non direttamente dalla conclusione della scorsa – quello spettacolo che segnava sia l’inizio della carriera da stand up comedian di Midge che la definitiva rottura col marito, e che sarà rievocato solo più tardi –, bensì da uno scenario che non potrebbe rappresentare meglio l’iconografia della femminilità dell’epoca, ovvero il centralino del grande magazzino B. Altman in cui Midge ora lavora, esiliata dopo il drama con Penny, ex amante di Joel, consumato nel bel mezzo del bancone del make up della Revlon.
È l’occasione perfetta per mostrare i muscoli della sceneggiatura e della regia, che ovviamente The Marvelous Mrs. Maisel non si fa sfuggire presentando la sua protagonista al meglio delle proprie capacità organizzative e relazionali, mentre pattina su una sedia girevole da una postazione all’altra per soccorrere le colleghe e, nel frattempo, aggiorna gli spettatori sul corso degli eventi accaduti durante lo iato temporale. Da qui in poi tutta la serie procede senza prendere mai fiato, prima tuffandosi (letteralmente, grazie un capovolgimento scenico dello skyline) da New York a Parigi, all’inseguimento della madre di Midge fuggita dalla famiglia per vivere un’avventura bohemienne, poi di nuovo nella Grande Mela e da lì alla Catskill Mountains e poi a Washington, Philadelphia, fuori e dentro a fumosi locali, università, gallerie d’arte, chiese, sinagoghe, tra matrimoni e baby showers, gare di ballo e sfilate in bikini, sotto la pioggia, in barca sul lago, in un vortice di eventi che disorienta anche solo a scriverlo, considerando tra l’altro che parliamo di soli dieci episodi.
È forse la densità degli eventi, come detto a volte disorientante, a generare nello spettatore la sensazione che la stagione stia vagando come la sua protagonista: non soltanto si cambia continuamente location, ma ci si sposta spesso tra l’una e l’altra seguendo sia gli spostamenti fisici di Midge che il destino degli altri personaggi, che assumono un ruolo molto più rilevante rispetto all’anno scorso conquistando spesso storyline quasi indipendenti (come nel caso di papà Abe, di Joel e di Susie) sia dalla trama principale che dagli eventi della vita di Mrs. Maisel stessa. Non tutto gira più attorno a lei e a tutti gli effetti non esiste una trama che prevalga sulle altre se non all’interno del singolo episodio, ed è quindi assolutamente sensato interrogarsi se l’horror vacui che caratterizza non solo la stagione, ma la scrittura stessa di Sherman-Palladino, sia in grado di tenere al proprio centro e mantenere saldi obiettivo e filo narrativo, o se invece non sia un godibilissimo ma un po’ fine a se stesso esercizio di bravura per guadagnare tempo e intrattenere – sia pure con grandissima maestria – in assenza di una direzione precisa.
Per rispondere a questa domanda si possono solo analizzare i rivoli della narrazione e capire se sia possibile ricondurli a un discorso unitario, iniziando dalle location che sono forse la maggiore discontinuità e al tempo stesso lo sfoggio di bravura (scenografica e inventiva) più evidente.
La scelta di spostarsi a Parigi per seguire Rose, ad esempio, potrebbe sembrare solo la scusa per mostrare la capacità della serie di dipingere affreschi à la Stars Hollow anche al di là dell’oceano e in parte assolve alla funzione di ritrarre un altro aspetto dell’epoca con ironia e creatività scatenata. Da un punto di vista narrativo, tuttavia, ha uno scopo fondamentale che poggia le basi per tutto il discorso della stagione, che ha tre direttive principali: l’evoluzione difficile di Midge nel percorso da figlia a moglie a donna compiuta, che avviene necessariamente anche attraverso il ritratto del suo egocentrismo e della sua immaturità; l’allargare la visione a un quadro più completo della femminilità dell’epoca partendo dalla madre, che si ribella alla famiglia con la stessa immaturità di Midge e segnala, attraverso quella ribellione, la propria sensazione di incompiutezza come essere umano; infine, la volontà di seguire anche fisicamente, con un grazioso ma un po’ nevrotico balletto da un posto all’altro, il percorso accidentato di ri-costruzione dell’identità della protagonista, perennemente sospesa tra la sicurezza delle abitudini e la voglia di avventura.
Midge a Parigi, così come ovunque in questa stagione, mostra i propri lati meno gradevoli che la serie non ha paura di buttare in faccia allo spettatore, dalla poca considerazione per i genitori e i figli, fino all’ansia egoriferita di dimostrare continuamente la propria superiorità e ricevere un applauso, non solo sul palco ma anche nella vita reale. Si parte dal rapporto con la madre ignorata e si arriva alla mancanza di attenzione verso le amiche, fino alla relazione col fidanzato-trofeo Benjamin (poco desiderato, facilmente conquistato e altrettanto facilmente lasciato da parte) e alla rottura inconsapevole del rapporto con Susie che mal sopporta la sua inclinazione a ignorare i bisogni degli altri.
Dal lato opposto della luna, a fare da contrappeso, c’è la progressiva assunzione di responsabilità da parte di Joel, verso i figli e verso l’azienda famigliare: se Midge si intrattiene così tanto in una perenne adolescenza da non poter neppure sopportare di essere esclusa dalla gara in costume da bagno, così Joel si concentra sulle necessità impellenti alla ricerca di un’espiazione ai proprio errori che finirà per diventare anche, inaspettatamente, un modo per trovare lo scopo e la realizzazione che gli mancavano e che sono stati una delle cause della rottura del suo matrimonio. Come due rette non perfettamente parallele, Midge e Joel compiono strade diverse con conclusioni diverse che a tratti si incontrano, come nel finale in cui trovano conforto l’uno nell’altra prima di compiere il salto definitivo verso quella vita adulta che hanno rimandato per così tanto. Ed è estremamente interessante il ribaltamento della narrativa classica della dissoluzione del matrimonio che i Palladino riescono a mettere in scena, in cui i ruoli tradizionali si rovesciano ed è la moglie a scegliere una carriera e una vita solitaria alla ricerca di un sogno molto chiaramente delineato, mentre il marito si dibatte per cercare un proprio posto nel mondo al di fuori dei ruoli famigliari.
È proprio nel ritratto dei ruoli di genere che questa stagione trova il suo secondo fulcro narrativo, creando il ritratto di un’antieroina a volte sgradevole e sicuramente (e volutamente) molto meno “centrata” rispetto alla stagione precedente, ma che proprio grazie a questo passo indietro riesce a dare spazio a un ritratto corale della femminilità vintage che diventa atemporale. Da un’epoca in cui le donne erano così costrette nel loro ruolo sociale di mogli e madri da non riuscire a pensarsi come individui al di fuori di questi si parte per universalizzare il tema attraverso la mancanza di scopo di Rose, la paura del futuro delle sue compagne d’università, l’ancoramento alla religione di Astrid, l’isolamento sociale di Imogene e la costante costrizione al compromesso delle ragazze che circondano Midge al lavoro, in vacanza, in qualsiasi ambiente. È un mondo in cui solo agli uomini è concesso essere persone: aspettare la donna giusta come Benjamin, offuscare i successi del padre come Moishe, rompere le regole della società eppure arrivare al successo come Lenny Bruce. E al tempo stesso agli uomini non è concesso il fallimento, il dubbio, il disorientamento e la serie fa un lavoro egregio nel ritrarre la crisi lavorativa e personale di Abe, che in questa stagione giganteggia fino a diventare un quasi effettivo coprotagonista.
Sotto l’eccentricità dei personaggi, i dialoghi frizzanti e i colori sgargianti, The Marvelous Mrs. Maisel nasconde il quadro di una società spietata con chiunque dimostri di desiderare qualcosa di diverso da quello a cui è stato destinato, che emerge con prepotenza nel rapporto tra Midge e Susie. La loro incapacità di comprensione reciproca – che contrappone da un lato la principessa viziata abituata ad avere sempre ciò che vuole, dall’altro la realtà durissima di una donna esteticamente e socialmente non conforme – si mostra con più intensità sul terreno lavorativo: il mondo della comedy è ostile alle donne, a qualsiasi donna, ma se Midge reagisce ritraendosi nelle rassicurazioni di un universo in cui può spiccare facilmente, senza misurarsi con le difficoltà, Susie combatte con tutte le proprie forze anche nei momenti in cui la lotta sembra persa in partenza. Senza una rete di salvataggio e senza la speranza di conformarsi mai, anche volendo, ai canoni imposti dalla società che la circonda, per Susie la strada della comedy è una strada di autoaffermazione necessaria laddove per Midge è una passione che può essere facilmente relegata al rango di velleità o capriccio in nome di un ritorno alla comodità. E questa seconda stagione le oppone sempre più fortemente fino a raggiungere il punto di rottura che probabilmente farà da perno alla terza, concludendo questo pezzo del percorso con l’ennesimo (forse momentaneo) tentativo di far marcia indietro di Midge e con Susie davanti al bivio, per la prima volta nella sua vita, tra una strada semplice per il successo e la continuazione del difficile rapporto con la socia/amica.
Davanti a questa ricchezza di temi e al modo magistrale in cui i Palladino riescono a raccontarli senza perdere mai il loro tocco lieve, anche in un racconto che avanza inesorabile e incalza continuamente lo spettatore, è impossibile non concludere che la seconda annata di The Marvelous Mrs. Maisel non solo è all’altezza delle aspettative che la precedevano, ma riesce anche a trasformare una marcia indietro narrativa – volta ad allargare il campo e approfondire le ragioni della svolta iniziale, così come degli avvenimenti successivi della vita di Midge – in un arricchimento eccezionale in termini di contenuti e della profondità con cui questi vengono trattati. I momenti dedicati alla stand up comedy pura reggono alla distanza con una qualità immutata, ma riescono ad amalgamarsi col racconto ancor più profondamente che nella stagione d’esordio, tanto che pur essendo il minutaggio ad essi dedicato molto simile sembrano confluire con naturalezza come parti di un tutto anziché essere un mero sfoggio di talento nella scrittura.
Non resta che sperare che i coniugi Palladino dedichino ancora molti anni della loro creatività a creare i fuochi artificiali di The Marvelous Mrs. Maisel, perché arrivati alla fine del decimo episodio la sensazione è, ancora, quella di non averne mai abbastanza.
Voto: 9
Gran bell’articolo, davvero! Complimenti!
Grazie mille!
Sono d’accordo con la tua recensione! Marvelous Mrs. Maisel dietro l’apparente lievità nasconde l’altra faccia del sogno americano e di una nazione non proprio terra di libertà d’espressione come la povera Midge sperimenta venendo censurata durante un suo show dall’odioso gestore di un club. In questa stagione Midge sfodera i suoi lati negativi che non ce la fanno odiare ma la rendono solo più reale. Il personaggio del padre Abe è magnifico nell’interpretazione di Tony Shalhoub così apparentemente burbero ma anche tenero e con un passato da antiglobal ma la mia preferita resta Susie Myerson! Chi non vorrebbe una manager così? STUPENDO! incrociamo le dita per la terza stagione! THANK YOU AND GOODNIGHT!
Intanto grazie mille, e anch’io amo particolarmente Susie, è un personaggio tipicamente Palladiniano ma con un livello di profondità molto più alto rispetto che so a una Sookie di Gilmore Girls. Si vede che Amazon permette a Amy di lavorare molto più di cesello su tutti i personaggi (ABE, cuorissimi) e allontanarsi dalla protagonista – sia prendendone le distanze fisicamente, raccontando altri, che “moralmente”, svelandone i lati oscuto – secondo me ha pagato tantissimo.
“Poca considerazione”?!? Io spero che i Palladino non abbiano figli! Mi sono guardata tutta la seconda stagione a pensare a quei poveri disperati di Ethan ed Esther. L’indipendenza dagli uomini è una cosa, l’abbandono fisico e psicologico dei 2 piccolini è criminale
Beh mi pare molto chiaro che la serie ne fa da una parte il modo per raccontare una sfaccettatura dell’egoismo di Midge, dall’altra una scusa per fare delle gag – insomma non penso ci sia una volontà di discorso pedagogico dietro, anche perché la serie non ha grandi pretese di realismo (pensa anche solo la quantità di vestiti che si portano in vacanza). E il cinismo è una delle cifre più importanti della poetica di Palladino, da sempre! Comunque non sei la sola che ne è rimasta infastidita, anche Sepinwall l’ha notato, per cui sei in buona compagnia. Credo che l’intento fosse proprio quello di suscitare una reazione di fastidio nello spettatore, e mi sa che ci sono riusciti benissimo! (Comunque no, non hanno figli, ma non credo che il modo in cui Midge tratta i suoi rappresenti le loro teorie pedagogiche)
Sembra una caratteristica delle famiglie americane anni ’60. Chi pensa che Betty Draper fosse una madre perfetta? In Mad Men tutti i figli vengono un po’ lasciati a se stessi. So che parliamo di finzione, ma quando ci sono varie serie tv, di vari generi che raccontano le stesse cose, probabilmente quelle cose accadono (o sono accadute sul serio). Fanno parte della loro cultura, in quanto popolo americano come il mito di kennedy, il burro d’arachidi, il ringraziamento e halloween.