Game of Thrones – 8×02 A Knight of the Seven Kingdoms 3


Game of Thrones - 8x02 A Knight of the Seven KingdomsGame of Thrones verrà ricordata come la serie che ha portato sul piccolo schermo livelli di spettacolo visivo mai raggiunti prima da nessun altro show. I suoi fan, però, sanno che la cifra stilistica che la contraddistingue maggiormente è invece rappresentata dalla teatralità delle interazioni tra i vari personaggi, con confronti spesso diluiti in lunghe scene di dialogo.

Ed ecco qui, alla vigilia della battaglia definitiva che promette di superare qualsiasi cosa abbiamo visto prima, ritroviamo tutti i personaggi che ci hanno accompagnato per sette stagioni, giunti ormai alla resa dei conti definitiva. Quasi a conclusione di una premiere che aveva riportato tutti i protagonisti in un luogo solo, “A Knight of The Seven Kingdoms” funziona anche come secondo capitolo di una ideale trilogia dedicata a Winterfell, lì dove tutto iniziò e dove ora tutto (o quasi) finisce. E c’era veramente bisogno di un episodio che recuperasse la natura più intima e introspettiva del fantasy di Martin (dopo che molti avevano criticato l’eccessiva frettolosità della settima stagione), per ritrovare quell’intensità emozionale e quell’ampissimo respiro, entrambi necessari come preambolo alla battaglia decisiva.

“We’re all going to die. But at least we die together.”

Il titolo dell’episodio si riferisce all’investitura di Brienne come cavaliere e si erge a simbolo del completamento degli archi narrativi di quasi tutti i personaggi. Alla fine di tutto, di fronte alla Morte che incombe, arriva la quadratura del cerchio, la fine dei viaggi personali di ognuno dei protagonisti prima che il fato decida a quale destino debbano andare incontro. Non è un caso che l’episodio si apra con un tentato processo che non porta però a nessuna condanna o assoluzione, come a indicare che nel momento della verità ognuno verrà accettato per quello che è, tanto per i crimini commessi, quanto per gli atti d’onore di cui si è forgiato. E così, la maggior parte dei dialoghi e dei confronti nell’episodio danno un senso di chiusura, non lasciano adito a nessun sotterfugio o non detto, a nessun mistero o inganno. Ci si apre alla malinconica verità di se stessi e ad una comunanza senza filtri che per sette stagioni è stata così difficile trovare.

“Arise, Brienne of Tarth, knight of the Seven Kingdoms”

Game of Thrones - 8x02 A Knight of the Seven KingdomsE così Arya raggiunge il compimento del suo percorso trovando la propria identità, non solo di guerriero ma anche di donna (in uno dei topoi più classici, che vorrebbe il passaggio all’età adulta cementato dal primo rapporto sessuale); Theon trova nella protezione di Bran l’occasione per riscattarsi delle malefatte compiute; Jaime ha finalmente la possibilità di dimostrare il suo onore e il suo coraggio dopo una vita passata ad accettare la vergogna di avere amato la sorella e di aver ucciso il precedente re colpendolo alle spalle. Ed infine Brienne, la cui investitura, in una delle scene più emozionanti forse dell’intera saga, avviene di fronte a persone che hanno combattuto per diverse famiglie e per diverse cause, ma tutti accomunati dal fatto di essere dei reietti (un nano, un contrabbandiere, una donna che vuole essere cavaliere, e un bruto). Nella sua semplicità, la scena è forse la summa di tutto ciò che Game of Thrones è stato in questi anni.

“This is what Death is. Forgetting. And being forgotten.”

Le sequenze nella hall di Winterfell sono infatti il perno e il nucleo centrale dell’episodio. Nella rappresentazione dell’attesa, esse celebrano con la loro semplicità la vita in tutte le sue sfaccettature, attraverso un cameratismo tra i personaggi coinvolti che, seguendo un registro a metà tra dramma e ironia, sembra voler omaggiare Peckinpah (lo spirito de Il mucchio selvaggio aleggia sulla scena) e i western, fino a ricordare nelle sue note più tragiche ed elegiache Tolkien e Il signore degli anelli. Può sembrare facile mettere tutti questi personaggi così diversi e farli semplicemente parlare, ma è il loro background qui che pesa come un macigno su di essi, il passato e il percorso intrapreso che li ha cambiati nel profondo, segno che, tra pregi e difetti, Game of Thrones ha portato alla luce e ha saputo tratteggiare personaggi di un’umanità incredibile, in grado di stagliarsi in maniera indelebile nell’immaginario collettivo.

Ed è proprio questa la sensazione che permea tutto l’episodio: gli autori omaggiano la propria creatura nell’ultima occasione possibile (quando i personaggi sono tutti insieme), ricordando tutti i momenti salienti che hanno scandito questo viaggio, tra auto-citazioni (“The things we do for love“, “And now our watch begins“) e celebrazione della “memoria” come unico antidoto contro la Morte. Ciò che i personaggi sono diventati, ciò che hanno passato, è ciò che li rende umani (anche a noi spettatori) ed è ciò che che li ha portati lì e li ha resi pronti a combattere contro la Morte. Non tutto è ancora risolto (ci sono altri quattro episodi per completare la saga), ma in tutto e per tutto questa puntata si pone come omaggio, ricordo, epilogo, elogio funebre dell’intera serie.

“What about the North?”

Game of Thrones - 8x02 A Knight of the Seven KingdomsTra gli innumerevoli dialoghi e confronti dell’episodio, ce ne sono però due che fuggono il senso di chiusura e rimangono invece in sospeso: quello tra Sansa e Daenerys, bruscamente interrotto dall’arrivo di Theon, e quello nella cripta tra Daenerys e Jon, fermato dal suono dei corni che preannunciano l’arrivo dei White Walkers. È il segno che gli unici due personaggi che non hanno ancora concluso il loro arco di sviluppo sono proprio i due Targaryen, e la risoluzione dei nodi narrativi ad essi legati verrà affidata alla seconda parte di questa stagione. Entrambe le scene, però, sono accomunate dall’idea di delegittimare Daenerys e di spingerla fuori dai nuovi equilibri che i Sette Regni sembrano voler trovare. Il dialogo con Jon sembra toglierle legittimità per una questione di sangue e lignaggio, mentre quello con Sansa sembra metterla di fronte al fatto di non conoscere i popoli di cui si proclama regina, né la loro storia e cultura, né il loro volere.

La sua estraneità diventa maggiormente evidente quando le due figure femminili vengono messe a confronto nella scena dell’arrivo di Theon: il Greyjoy si inginocchia ossequioso alla sua regina, la quale mantiene le distanze in maniera quasi autoritaria, ma quando viene interrogato sul perché del suo ritorno, è a Sansa che improvvisamente egli rivolge lo sguardo, con lei che corre ad abbracciarlo lasciando in disparte Daenerys, con la regia che visivamente rimarca la sua lontananza nei confronti di un mondo che sembra faticare ad accettarla.

“How do you know there is an afterwards?”

Game of Thrones - 8x02 A Knight of the Seven KingdomsIl principale pregio dell’episodio è di aver saputo dare un senso di completezza e allo stesso tempo di fatalità incombente. Arriviamo all’inizio della battaglia con la sensazione che davvero chiunque, fatta forse eccezione per Jon e Daenerys, i cui archi narrativi sono ancora aperti, potrebbe morire. È ciò cui Game of Thrones aveva sempre mirato, far cioè convergere tutti i personaggi (mancano solo Cersei e, almeno per ora, Melisandre) dopo il loro personale viaggio alla scoperta di se stessi, per immergerli insieme nell’oscurità della battaglia contro la Morte. L’attenzione dopo la terza puntata si sposterà probabilmente su King’s Landing, con la nostra mente ancora alle visioni di Daenerys che tempo fa vide la sala del trono distrutta (dai White Walkers o dai draghi?), ma per ora godiamoci il saluto a Winterfell e a una parte (potenzialmente enorme) del mondo di Game of Thrones che la prossima settimana ci lascerà per sempre.

Voto: 9

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