Dopo un finale che aveva chiuso una seconda stagione calante rispetto a quella di esordio, ritorna The Handmaid’s Tale con tre episodi che – riprendendo esattamente da dove eravamo rimasti – cercano di restituire delle coordinate ad un racconto che, esaurita la sua carica iniziale e l’ispirazione del libro di Margaret Atwood, ha faticato a trovare un obiettivo che fosse se non altro abbastanza potente da dare una ragione al prosieguo della storia.
La scelta che nello scorso season finale aveva visto June lasciare Nichole nelle mani di Emily e rifiutare una fuga da Gilead aveva fatto legittimamente storcere il naso a più di una persona, soprattutto perché la – seppur comprensibilissima – necessità di salvare la sua prima figlia si scontrava col fatto che non ci fosse dietro di lei alcuna rete di supporto, alcun alleato da cui tornare. Si è trattato di una decisione che ha visto nella narrazione la sua esigenza più forte (tenere June a Gilead per mantenere qui il centro del racconto) ma che ha costretto il personaggio ad una decisione davvero troppo impulsiva, soprattutto visto che non era la prima volta che provava a scappare. Ed è per questo che, con la nuova stagione, vediamo subito Lawrence tornare indietro: perché introdurre un deus ex machina che intervenisse per togliere June da una strada letteralmente senza uscita (i controlli sono ovunque) era l’unico modo per non rendere la sua scelta una mossa suicida.
La questione dell’occasione perduta torna quindi a ripetersi a partire dalle prime scene: di nuovo, The Handmaid’s Tale ci pone davanti alla speranza – June che va a casa dei McKenzie per prendere sua figlia – solo per togliercela (ormai in modo prevedibile) dopo pochissimi minuti.
Già da queste prime sequenze quello che comincia a delinearsi è sfortunatamente uno schema ormai già visto, che alterna i momenti di speranza a quelli di fallimento, quelli dell’agognata fuga a quelli in cui la realtà torna a fare capolino per ricordarci che da Gilead non si esce se non in rarissimi casi – e quante volte ancora potrà essere raccontato lo stesso concetto senza che questo perda di sostanza?
L’intervento di Lawrence, nella sola premiere, arriva per ben due volte per scopi interamente legati alla trama: nel primo caso, come si diceva, per togliere June dal blocco a cui la sua decisione di rimanere l’avrebbe costretta; la seconda nel diventare il suo Commander, una scelta ampiamente prevedibile dal momento che la dinamica tra June e i Waterford non poteva più dare altro, soprattutto ora che la frattura tra Fred e Serena Joy appare ormai insanabile.
La scelta di Fred di non punire in alcun modo le due donne potrebbe apparire ancora completamente fuori contesto (come tutte le volte in cui ha salvato June), a meno che non la si voglia interpretare come una necessità (ormai potremmo dire esistenziale) di Fred di negare il più possibile tutto ciò che esce dal suo schema “Gilead-casa-famiglia”: è questo ciò che sembra emergere dal suo dialogo con Serena, in cui la confessione della moglie di aver dato via la bambina viene riletta come un errore dello stesso Fred, che avrebbe portato la moglie alla disperazione con il suo comportamento e le sue punizioni. Se c’è un fattore effettivamente interessante nella dinamica tra i due è proprio la differenza tra chi è ancora immerso nella filosofia di Gilead e chi invece ha – dopo aver a lungo rifiutato – sollevato il velo e visto il disastro che questo nascondeva. Non è difficile vedere come Serena sarà una parte fondamentale della resistenza da qui in poi, ma forse il semplice fatto di poterlo prevedere è già di per sé un elemento che non gioca a favore della serie. La fine della coppia Waterford, almeno per come la si è intesa fino ad ora, si trova simbolicamente nella messa a fuoco della casa e in particolare del letto, una scena che se sulla carta poteva funzionare, nella pratica patisce di alcuni dettagli semplicemente irrealistici (Serena che rimane minuti interi in una stanza che sta andando a fuoco a pochi centimetri dal letto in fiamme) o assoggettati ad una regia che vede in un certo modo di raccontare (ad esempio il rallentamento con cui June osserva il fumo prima di cercare, con calma, di capirne l’origine) uno sguardo di alto prestigio e che invece risulta semplicemente fuori posto e non necessaria.
Funzionano invece i momenti di confronto “fra madri”, sia quello tra June e la signora McKenzie in “Night”, sia quello tra June e Serena in “Useful”: complici i sentimenti ambivalenti di queste “madri adottive”, le donne riescono a trovare un terreno comune che fa riemergere un minimo di umanità, quell’umanità che è stata sopita in nome degli ideali di Gilead. Se nel primo caso si tratterà comunque solo di un lieve spiraglio, è nella conversazione tra June e Serena che avviene qualcosa di più. Sentirsi dire che “solo una madre avrebbe fatto” ciò che ha fatto lei, salvando la bambina da Gilead, porta la donna a sentirsi più compresa e, per estensione, a comprendere cosa tutte le altre madri patiscono nel momento in cui i bambini vengono portati via da loro. Serena è in grado di comprenderlo anche perché è completamente sola: la madre, da cui si è rifugiata, è complice del sistema di Gilead e non ha alcun riguardo nei confronti del dolore della figlia; e Fred non è certo qualcuno da cui la donna voglia tornare – anche se non possiamo escluderne un riavvicinamento con il secondo fine della resistenza. Di nuovo, assistiamo ad una scena che sicuramente da sola può funzionare – complice le sempre ottime interpretazioni di Moss e Strahovski – ma che sembra già nascondere tra le righe gli obiettivi per i quali è stata scritta.
È proprio di resistenza che si parla soprattutto nel secondo episodio, in cui June si ritrova (come si diceva, opportunamente scelta da Lawrence) nel mezzo della rete delle Marthas e comincia a comprenderne il funzionamento – nonché i sacrifici che questo comporta. Lo capirà concretamente alla fine, quando la scelta delle cinque donne da salvare verrà prima rifiutata e poi accettata in nome di un ideale più alto – salvare le donne che possano aiutare la resistenza, pagando personalmente il pesantissimo prezzo che comporta una scelta di questo tipo. Al di là tuttavia di questi risvolti, la dinamica del secondo episodio (con il fallimento della fuga di Alison) non è altro che l’ennesima riproposizione, in modi diversi, di quanto abbiamo già avuto modo di vedere soprattutto nella scorsa stagione: una speranza che viene distrutta giusto poco prima di vederla concretizzarsi. Cambiano alcune caratteristiche, ma il nodo del racconto sembra essere comunque sempre lo stesso, preannunciato e chiuso come sempre dai monologhi di June che si accordano al tema della puntata.
A rappresentare una novità c’è di sicuro l’ambiguità di Lawrence, un uomo la cui buona azione di salvare Emily aveva fatto supporre una sorta di pentimento nella sua visione di Gilead e che invece si mostra, in queste puntate, molto più stratificata: è proprio perché crede fermamente nella necessità di un “nuovo mondo” che è in grado di accettare determinate eccezioni (la fuga di donne molto intelligenti, come Emily appunto) o di sopportare un minimo livello di insurrezione. Per il resto, il suo rapporto con June si delinea già come quello tra un gatto e un topo, in cui – a differenza che con Fred – non ci sono inganni e tutto è allo scoperto (tutto tranne il ruolo della moglie di Lawrence: perché è in quelle condizioni, e quanto è davvero malata e quanto invece complice?).
In ultimo troviamo la fuga di Emily e il suo arrivo in Canada con Nichole. Se lo straniamento con cui osserva la realtà che la circonda ricorda molto da vicino quello che visse Moira al suo arrivo, è l’attesa tra il suo arrivo e la chiamata alla moglie l’elemento davvero nuovo, che aggiunge nuovi strati alla narrazione – aiutati anche dalle spiegazioni di Moira – di quanto sia difficile rientrare in contatto con i propri cari dopo aver vissuto delle vere e proprie torture, che hanno lasciato segni sia sul corpo che nella mente. È difficile riabituarsi ad una vita in cui si viene visti, trattati e riconosciuti come esseri umani, degni di visite mediche approfondite e di suggerimenti terapeutici: la scena della visita oculistica spicca tra le altre grazie ad una scrittura stratificata, in cui una cosa così scontata come leggere delle lettere su uno schermo diventa il simbolo di ciò che Emily non ha potuto fare per molto tempo – leggere, appunto – e che le fa capire quanto non ci sia altro tempo da perdere. Grazie all’altissima performance di Alexis Bledel, la seconda puntata si chiude con una nota decisamente più positiva del resto dell’episodio: la telefonata alla moglie, in una scena quasi completamente senza parole, rimane tra le poche memorabili parti di queste tre puntate.
Ci sono sicuramente dei momenti che possono far sperare, ma fino ad ora questi tre episodi della nuova stagione di The Handmaid’s Tale tendono a riprodurre schemi già osservati nelle scorse annate: qualche accenno a quello che sarà il tema della stagione – ovviamente la resistenza – apre il campo a delle possibilità narrative nuove, ma a meno di qualche importante scossone nella trama sembra che la serie sia ormai bloccata nel suo stesso modus narrandi, che ne ha fatto la fortuna durante la prima stagione ma che ormai, giunti alla terza, mostra la corda anche quando le interpretazioni sono di altissimo livello. Tempo per migliorare ce n’è, ma da ben tre episodi ci si poteva aspettare molto di più.
Voto 3×01 “Night”: 6-
Voto 3×02 “Mary and Martha”: 6+
Voto 3×03 “Useful”: 7
perché vi siete fermati con le recensioni?? 🙁
Ciao NICK, per motivi di disponibilità in redazione non abbiamo potuto seguire tutta la stagione, ci dispiace! Speriamo che continuerai a seguirci, a presto!
Con più tempo a disposizione ho recuperato questa serie, forse non proprio adatta agli umori da lockdown, ma è andata e devo dire che non mi è dispiaciuta pur non essendo proprio originalissima per temi e per stile. Compresa la terza e per adesso ultima stagione che, leggo anche qui, ha alimentato una certa delusione nel pubblico e nella critica iniziata già nella sua seconda annata. Dico solo quel che un po’ ha deluso me che mi aspettavo di vedere una storia ben raccontata, con un inizio, uno sviluppo e la prospettiva di una fine. June non è poi così diversa dalle tante eroine ed eroi della serialità che agiscono, soffrono, vincono, ma poi però tornano sempre al punto di partenza, intrappolati in un loop narrativo che se prolungato, alla fine stanca.
Ciao Boba Fett, eh sì, il problema è stato sostanzialmente quello. La ripetizione del loop che dici va a vanificare anche quegli aspetti lievemente positivi che si riscontrano in questa stagione, portando così a una stanchezza irritante (basti pensare in questa stagione a quante volte le puntate o intere sequenze si chiudono con lo sguardo “folle” di June, con una Elizabeth Moss che, per quanto io ami, qui è spesso in over-acting proprio perché il peso dello show è chiaramente tutto sulle sue spalle).
Personalmente, sono arrivata a fine stagione con grande difficoltà, perché se è vero che ci sono diversi punti in cui la tensione aumenta e la serie si lascia guardare, è anche vero che la sceneggiatura mostra troppe falle, tutta volta com’è a trasformare June in modi perfino fastidiosi. Alla fine cambia qualcosa nella trama, ma di fondo si ripetono le stesse identiche dinamiche, e questo non aiuta; è un peccato, perché la prima stagione (l’unica tratta dal libro) era veramente ottima!
Verissimo Federica, più di una volta ho minacciato la Moss di mandarla o lasciarla a quel paese se mi avesse fissato ancora una volta, però le voglio troppo bene, sin da quando lavorava per quei pazzi di Madison Aveneu e anzi non vedo l’ora di poterla vedere nella nuova versione dell’Uomo Invisibile!
Vedo che la pensiamo proprio uguale 😀 Sì, anche io aspetto di vedere The Invisible Man, ne ho sentito parlare molto bene! E la Moss eccezionale anche in Top of the Lake, non so se l’hai vista ma te la consiglio perché è una piccola perla, qui trovi la nostra recensione senza spoiler —> https://www.seriangolo.it/2014/09/top-of-the-lake-just-go-with-the-body/
La conosco, ma non l’ho vista, provo a recuperarla, grazie per il consiglio.
Di nulla! E facci sapere come va, della seconda stagione abbiamo le recensioni di puntata! ?