È passato un bel po’ di tempo da quando Cinemax, allora soprannominata ironicamente “Skinemax”, era specializzata nel trasmettere porno softcore per adulti in cerca di un intrattenimento senza particolari interferenze di trama. Negli ultimi anni le produzioni originali dell’emittente hanno guadagnato in sofisticatezza pur senza abbandonare del tutto quella predisposizione alla nudità (basti pensare a Banshee) che ne aveva fatto le fortune in passato. Si potrebbero inserire le varie tendenze dei prodotti Cinemax all’interno di una più ampia vocazione all’esposizione di una corporeità declinata in varie fogge (il corpo bisognoso di cure di The Knick, il corpo sessuale della sopracitata Banshee, il corpo combattente di Warrior); una scelta tematica e stilistica che ha portato ad esplorare tutte le sfumature di uno spettro di riuscita che va dalla mai abbastanza rimpianta Quarry alla decisamente dimenticabile – almeno a giudicare dall’esordio – Jett.
Creato, scritto e diretto da un veterano del B-Movie come Sebastian Gutierrez, lo show vede come protagonista Daisy “Jett” Kowalski (Carla Gugino), una ladra d’alto livello appena uscita dal carcere e strenuamente impegnata nel tentativo di rigare dritto ed occuparsi della figlia. Chiaramente non esiste serie TV in cui un simile proposito possa giungere a compimento e le buone intenzione di Jett si scontrano ben presto contro un muro di mattoni che ha il corpo e la voce di Charlie Baudelaire (Giancarlo Esposito), boss malavitoso pronto a proporle un ultimo colpo in grado di assicurare a lei e alla figlia (Violet McGraw) una vita più dignitosa.
È proprio nel cast che troviamo l’unico punto di forza di Jett: sia Giancarlo Esposito che Carla Gugino – che in “Daisy” hanno un ruolo preponderante – fanno il massimo per dare credibilità e spessore ai propri personaggi nonostante una trama ritrita che tutto fa meno che brillare per originalità. Un esempio su tutti è la scena d’apertura di puntata in cui due scagnozzi di Baudelaire discutono le implicazioni etiche legate all’accettare o meno l’invito a nuotare ricevuto dalla moglie del proprio capo, una sequenza che richiama pedissequamente – ai limiti del plagio – il mitologico scambio tra John Travolta e Samuel L. Jackson in Pulp Fiction sull’opportunità e sul significato di un massaggio ai piedi. Quella che apre Jett è una vera e propria dichiarazione di intenti: lo stereotipo dei due tirapiedi viene riempito grazie ad una conversazione quotidiana, sconcertante, che crea affinità con lo spettatore e toglie l’accento dalla violenza successiva. Il messaggio, così simile a quello di Pulp Fiction, è chiaro: al di là degli episodi di violenza che permeano la vita di un malavitoso, le scelte di vita quotidiana sono guidate dalla stessa moralità condivisa con il pubblico.
Una scena di questo tipo, in una posizione così importante, ci dice moltissimo sulle intenzioni di Jett. In primo luogo ci mostra come l’accento sia posto sulla capacità di stupire ed intrattenere delle singole sequenze molto più che sulla coesione dell’impianto narrativo. Non viene difficile immaginare – e questo episodio lo conferma subito – come saranno gli innumerevoli e telefonati colpi di scena, un intreccio poco lineare e frammentato in cui le scene avranno il compito di stupire molto più che ampliare, ad avere il ruolo principale. Al tempo stesso l’evidente riferimento ad una pietra miliare del genere suggerisce che Gutierrez non sia particolarmente tentato dall’innovare ma basi il proprio lavoro su punti di forza vincenti esplorati ormai venticinque anni fa, accontentandosi di dare vita ad un intrattenimento muscolare ed inguinale che poco o nulla ha da aggiungere al panorama televisivo attuale.
Mancano infatti sia qualsivoglia ghiribizzo creativo sia un’estetica riconoscibile, dove l’insistenza continua su un’atmosfera noir anni Settanta è supportata poco e male dai toni della scrittura. La stessa Gugino, attesa dal compito ingrato di sobbarcarsi il peso di una storia che sicuramente non sarà in grado di spiccare il volo da sola, può fare ben poco per liberarsi dai vincoli del personaggio fumettistico della sexy ladra alla Catwoman e i tentativi di approfondirne la psicologia tramite flashback ed excursus sono evidentemente strumentali a mostrare un altro po’ di pelle e di violenza fine a sé stessa, sacrificando sull’altare del voyeurismo ogni pretesa di un uso consapevole e moderno della femminilità.
Allo stesso destino sembrano condannati Giancarlo Esposito e la pletora di personaggi ed apparizioni che costella la vita di Jett; Charlie Baudelaire è un semiclone del Gus Fring di Breaking Bad, né viene richiesto all’attore molto più del compitino (seppur svolto egregiamente). Seduttivi e magnetici, hommes et femmes fatales obbligati a rimanere tali anche in bagno.
C’è poco da stupirsi quindi che si faccia fatica ad arrivare al termine dei primi sessanta minuti del pilot. “Daisy” si fonda su un intrattenimento spicciolo e, perlomeno, non mostra alcuna pretesa di voler veicolare qualcosa di più profondo. Se affrontato in questa ottica, Jett ha le potenzialità per togliere delle soddisfazioni inscrivendosi, seppur con un’identità meno marcata, nel solco delle classiche produzioni Cinemax, come le suddette Banshee e Warrior, che molto devono al palinsesto pruriginoso dei B-Movie anni Novanta. Da qui però sorge inevitabile una domanda: ne abbiamo ancora bisogno?
Voto: 5