Sarebbe riduttivo parlare di The Good Place come di una delle migliori comedy contemporanee: la serie di Michael Schur è, infatti, molto di più. È un trattato escatologico profondissimo, nonché un punto di vista molto originale dal quale osservare e raccontare un’umanità in crisi – quella dei nostri giorni – sempre più disincantata e disillusa, una specie che mai come prima nella storia si rassegna ad un’esistenza dissoluta e disinibita, priva di bussole e valori morali. È anche una serie che si pone quesiti etici apparentemente banali ma in realtà profondissimi, in primis sulla natura del bene e del male.
La scorsa annata di The Good Place è stata probabilmente la migliore della sua storia e, nonostante la meravigliosa seconda stagione di Fleabag le abbia soffiato l’Emmy come miglior serie comedy, non c’è dubbio che la grandezza dello show sia ormai unanimemente riconosciuta. Grandezza che deriva non solamente dalla brillantezza della scrittura e dell’ottima gestione dei numerosi twist narrativi, ma anche e soprattutto dalla capacità degli autori di sfruttare tutti i punti di forza del suo formato agile e del medium seriale. La sfida di questa quarta e ultima stagione è quella di mantenere il livello altissimo a cui gli spettatori sono abituati e portare a compimento una serie che, a meno di clamorosi scivoloni, sarà ricordata come una delle migliori degli anni dieci di questo millennio.
The point is, I believe that we’re destined to succeed.
Avevamo lasciato i protagonisti alle prese con la direzione comunitaria del quartiere al fine di dimostrare la validità della loro tesi sulla possibilità degli esseri umani di migliorare, ostacolati da Shawn e dal suo team di demoni del Bad Place. Il colpo di scena del season finale, tuttavia, è stata la decisione di Chidi di farsi cancellare la memoria al fine di non compromettere l’esperimento in atto, un sacrificio sì sentito e ben costruito ma che ha fatto storcere il naso ai più per la scelta anticlimatica di usarlo per chiudere la stagione. Al netto di questo, con “A Girl From Arizona (Part 1)” non si possono che confermare i dubbi su questa scelta, che non ha grandissime ricadute sulla trama della premiere, se non quella di portare il professore di etica a diventare uno dei soggetti dell’esperimento al posto di un demone sotto copertura – l’esilarante Chris Baker interpretato da Luke Guldan.
Everything is so PC. And I was an equal-opportunity offender, okay?
In generale The Good Place fa quello che ha sempre fatto ottimamente già in passato (si fa riferimento soprattutto alla seconda stagione): rimescola le carte e propone una rivisitazione degli elementi “storici” dello show, gioca con la propria mitologia interna e propone nuove varianti di una storia che già conosciamo, stuzzicando gli spettatori nel trovare le differenze e a divertirsi vedendo la prospettiva ribaltata di una Eleanor che passa da abitante del quartiere/soggetto torturato in un finto good place a architetto del quartiere/direttrice di un progetto che mira a rendere le persone migliori. In tal senso è interessante osservare l’evoluzione del personaggio interpretato da Kristen Bell che si trova a fare i conti con una posizione che era impensabile potesse occupare all’inizio della serie, a dimostrazione del percorso estremamente coerente che ha compiuto e che, si spera, possa giungere ad una conclusione soddisfacente.
Quello che funziona meno in questa premiere sono gli altri personaggi: passi per Simone che, in quanto scienziata, non riesce ad accettare l’esistenza dell’aldilà in cui si trova e che risulta divertente a tratti, nessun altro emerge particolarmente. Michael viene messo in panchina a causa della sua paura di sbagliare, Tahani ha poche battute dedicate e la storia della gelosia di Jason con annesso “omicidio” di Derek non è particolarmente divertente o esaltante. C’è anche da dire che questa è la prima parte di una doppia premiere e che sarebbe giusto sospendere il giudizio fino alla visione della seconda per capire se effettivamente queste sottotrame funzioneranno meglio con un adeguato sviluppo, ma per il momento sono la parte più debole dell’episodio.
Tell him that we said, “Boo-yah!”
La quarta stagione di The Good Place comincia, dunque, con un episodio solido ma non esaltante, insistendo sui punti di forza dello show ma prestando il fianco a qualche meccanismo già noto e poco interessante. Un giudizio che non è assolutamente critico o negativo, ma che deriva dalle altissime aspettative che ormai si hanno nei confronti del gioiello creato da Michael Schur che, siamo abbastanza sicuri, non si smentirà nemmeno con la sua ultima stagione.
Voto: 7