
See è un progetto ambizioso, dietro cui i grandi nomi non mancano: dietro la macchina da presa si trova scrittura pregnante di Steven Knight, penna di Peaky Blinders, e il veterano di video Francis Lawrence, per aggiungere il suo tocco, frutto di una lunga esperienza in fatto di video musicali. Davanti alla macchina, capeggiano la carismatica figura di Jason Momoa (Frontier, Game of Thrones) e la grande interprete Alfre Woodard (Recentemente apparsa in A Series of Unfortunate Events e Luke Cage). È chiaro, dunque, quanto la Apple punti sul successo di questa serie, per conquistare il proprio posto nel mezzo di una competizione sempre più serrata.
See è una serie particolare, non solo per l’energia spesa nella sua realizzazione, ma soprattutto per la storia che propone, già anticipata dall’attenzione ai titoli di testa: tamburi da guerra accompagnano accenni di forme umane e non, intrecciati dal ritmo delle percussioni. La creatività di queste immagini introduce egregiamente l’aspetto peculiare di questo nuovo show.
La serie è ambientata in una Terra post-apocalittica, dove a causa di un’epidemia gli abitanti della terra hanno perso la vista e sono stati condannati ad un lento declino, sino a regredire in società primitive che si muovono fra le spoglie di una modernità oramai antica e decaduta. Nel futuro qui preconizzato, l’umanità non può vedere il mondo che i loro antenati hanno perduto. Tutto cambia quando la tribù degli Arkenni, una delle popolazioni nomadi, dà rifugio a una donna che partorisce due bambini dotati della Vista. I gemelli sono figli di Jerlamarel, figura messianica al centro della narrazione, primo uomo in grado di vedere e presenza-assenza ricorrente per la quasi totalità della prima stagione, in una riuscita aura di sacralità e viaggio iniziatico.

Vedere è benedizione e maledizione allo stesso istante. La dicotomia fra i non-vedenti e gli unici vedenti del mondo post-apocalittico di Knight si colora di toni molto attuali, che sfiorano questioni importanti (seppur mai affrontandole di petto).
Come si vive con un dono simile?
L’involuzione dell’umanità lascia il posto alla superstizione; risulta ben resa l’idea di un’intera società al buio e tutto ciò che questo comporta, insieme all’adattamento nei secoli a questa condizione. La luce del sole è creduta come una potenza quasi divina e la Vista diviene uno spauracchio, perché i pochi a possederla possono davvero comprendere ciò che l’umanità si ostina a non affrontare: una tematica ben sviscerata durante il bel monologo di Hera Hilmarsdóttir, nei panni della principessa Maghra. Un merito della scrittura è mostrare come una combinazione biologica fortuita non basti a rendere un essere umano migliore di un altro; da una parte ci sono i gemelli, che, guidati dalla cultura tramite i libri lasciati da Jerlamarel, riescono ad orientarsi in un mondo a loro ostile, nonostante le difficoltà, dall’altra vi è Boots (Franz Alhusaine Drameh, il Firestorm di Legend of Tomorrow). Chiamato “Il Terzo Figlio”, egli è nutrito dall’odio della madre e di coloro che lo circondano, e volge la Vista ad una ricerca malsana e costante di attenzioni, di fatto perdendo la possibilità di un viaggio che gli appartenga, riducendosi a pedina dei giochi di potere della Casata Kain. L’impianto simbolico della storia è forte anche della già citata figura di Jerlamarel, sempre presente nei gesti, nelle parole, negli eventi che vengono messi in moto dalle tracce che lascia il suo passaggio. Nonostante le premesse molto originali, l’intera trama cade come un castello di carte nell’ultimo episodio, in una risoluzione molto blanda e anticlimatica, abbandonando di fatto il sottotesto mistico e quasi religioso finora suggerito, per tramutarsi in un film d’azione divertente, ma che poco ha da spartire con quanto finora mostrato. Un’afflizione appartenuta anche ad altre serie, come Carnival Row.

Le prove attoriali sono davvero lodevoli, sebbene non prive di scivoloni di volta in volta. Il ritratto di un mondo di ciechi è davvero convincente e ogni interprete contribuisce all’ambientazione, grazie anche all’allenamento fornito da mascherine apposite di cui sono stati muniti prima di andare in scena. La cecità degli attanti è sfruttata per costruire momenti di tensione palpabile, in una guisa originale; esempi di questo sono la comparsa degli Shadow Warrior o lo scivolare silenzioso della zattera in “The River”, nel mezzo di un drappello di soldati. Anche le scene d’azione sfruttano al meglio questa qualità: un esempio è la tenzone contro gli schiavisti in “Fresh Blood”, che mostra un Momoa calato magnificamente nella sua parte.

Paris è un personaggio ambiguo, il più lungimirante del drappello di reietti, ma il suo ruolo di mentore svanisce presto, durante la seconda metà della stagione, ed è un peccato, perché la sua influenza su Haniwa e Kofun e l’ottima interpretazione della Woodard avrebbero meritato più attenzione. La presenza di Paris viene relegata a pochi momenti che la fanno quasi assurgere a ruolo di deus ex machina, grazie ai fortuiti sogni premonitori, come nella cattura di Haniwa.
La famiglia reale e le sue dinamiche risultano le figure più interessanti nella pletora di See. Il triangolo (non amoroso) fra la Regina Kain, il cacciatore di streghe Tamacti Jun e la principessa Maghra ci consegna tre personaggi profondi e sfaccettati; la loro posizione di potere si rispecchia nelle dinamiche che li legano e respingono vicendevolmente, e si riflette nel mondo attorno, culminando nella tragica distruzione di Kanzua. L’instabilità feroce della Regina è il contraltare perfetto alla lucidità della sorella minore, che non è solo madre, ma anche erede al trono. Mathra riassumerà il suo titolo di principessa e i sospetti da lei nutriti verso Jerlamarel, l’inatteso messia della vista, le daranno infine ragione. L’ultimo discorso viene pronunciato insieme, per quanto la Regina appaia contrariata: c’è alchimia fra le due sorelle, che insieme sono più forti, tanto da non aver più bisogno di Tamacti Jun. Quest’ultimo, lungi dall’essere un semplice mastino della famiglia reale, è un personaggio che si lega a doppio filo con la presentazione del mondo, essendo veicolo di un potere antico, in un mondo ritornato primitivo. Il witchunter è simbolo del potere regale che divide principessa e regina, il tutto mantenendo la personalità di un guerriero fedele solo alla sua gente, a ragione e a torto. La sua uccisione è un’importante catarsi per le due Kain, che riacquistano finalmente contatto con la realtà della loro gente e del loro rango, non più mediato dal cacciatore di streghe.

Voto: 7
