Assassinio. È il leitmotiv che unisce tutti i protagonisti di uno show conturbante e seducente come Killing Eve. Assassinio è l’assuefazione di Villanelle e il lato oscuro di Eve, ed è ciò che lega entrambe, come la fascia che legava le vesti rosso sangue nel primo teaser. Assassinio è come la seconda annata ha rischiato di chiudersi. Assassinio è come debutta la terza stagione: un atto di infatuazione adolescente diviene un’esecuzione brutale. La scena si consuma nei colori freddi che hanno da sempre contraddistinto lo show AMC e hanno fatto da scenografia ad un racconto vivido e terribile, sempre pronto a mettersi e metterci in discussione. “Slowly Slowly Catchy Monkey” non fa eccezione.
Dopo il “gran rifiuto” di Eve, Villanelle aveva posto fine alla loro relazione con una pallottola. Il solo impeto di rabbia di Oksana si è abbattuto come un ciclone sulla vita di Eve, sulle persone a lei care, sino a insidiare i ranghi del MI6. Il ricominciare, molto più che il rinascere, è la tematica a cui aspira questo primo episodio… salvo negarlo alla fine, nell’assassinio.
Dopo il grande e al contempo intimo denouement della scorsa stagione, tocca all’attante e allo spettatore recuperare i cocci della narrazione, in un gioco di specchi che Killing Eve recita ancora egregiamente. L’intero cast, nell’arco del primo episodio, affronta i memento di una vita lasciata alle spalle. In maniera più o meno violenta, sono tutti simboli riconducibili alle ferite e al sangue: dalla cicatrice che ha ingrigito la vita della ex-agente speciale Eve Polastri ai file recuperati da Kenny. Per buona parte di “Slowly Slowly Catchy Monkey” si introduce un nuovo capitolo senza perdere l’identità della narrazione; lo show riesce ancora a raggiungere una sintonia fra i suoi protagonisti e il pubblico, in un senso di dispersione e grigiore che domina la scena, aleggiando come afa attorno ai personaggi, dopo averli seguiti in località ben più colorate: da Parigi a Roma.
Si segnala un cambiamento anche nella sottotrama di Carolyn: non abbandona il focus individuale della serie, ma tenta di ampliare l’ambientazione, lasciata finora come sfondo, che ora acquista più spessore. L’ex-direttrice dell’MI6, che ha fatto del lavoro la sua vita, è un ottimo espediente per non perdere la già menzionata sintonia e al contempo mostrare il mondo di Eve senza Eve. Questa assenza diventa presenza quando vengono enumerate le colpe e le negligenze di Carolyn, che nella sua mancanza di scrupolo ha disatteso le regole di cui lei stessa è garante: se l’MI6 è una macchina ben oliata, Carolyn è finita con l’esserne la scheggia impazzita e ora ne pagherà lo scotto. Solo una persona sarà immune al grigiore, ma non indenne dagli eventi della precedente stagione: il centro dello show e l’epicentro di tutte le disgrazie, Villanelle.
La donna si ritrova nel momento in cui la sua vita dovrebbe andare oltre Eve: un inedito matrimonio. Tuttavia, questa cerimonia somiglia più all’ennesimo capriccio; il pensiero della sicaria torna sempre alla Polastri, finché scopre che il fantasma che aleggia sul suo “giorno speciale” non è la sua vecchia fiamma, ma i suoi vecchi datori di lavoro. Si crea un inatteso e interessante ritorno alle radici di Villanelle, finora precluse alla narrazione che aveva solo sfiorato Oksana. Harriet Walter (Downtown Abbey, The Crown) interpreta il personaggio di Dasha nel ricoprire la figura che era stata di Kostantin ed è un parallelo a ciò che era Carolyn per Eve. Il gioco di specchi in Killing Eve si fa sempre più profondo. L’MI6 e i Dodici appaiono quasi simmetrici nella loro struttura: due ingombranti mondi da cui le protagoniste non sono riuscite a scappare né insieme, né divise.
L’influenza di Dasha su Villanelle è palpabile e riemerge in un momento molto intimo per Oksana: l’esecuzione delle vittime designate. Il richiamo fra l’assassinio di Barcellona e la prima scena di “Slowly Slowly Catchy Monkey” si intreccia su svariati piani: ci mostra dove nasce il modus operandi dei delitti di Villanelle e insinua in noi il dubbio se questa sia davvero tornata l’efficiente sicaria dei primi episodi. Killing Eve gioca spesso sui colori e qui è ancor più palese nella differenza del colore riversato su di una vittima: trucioli bianchi per Dasha, zafferano rosso per Oksana; è una piccola differenza che può voler dire molto. Questa introduzione è forse un po’ caotica e rapida nel suo svolgersi, ma si incastra in quel grande, incompleto mosaico che è Villanelle. Inoltre, l’incompletezza è una caratteristica che la accomuna ad un assassinio che lei non sa ancora di aver fallito.
Le protagoniste non sfuggono all’occhio dello spettatore, basti pensare all’inquadratura dalla cupola di Villanelle o dallo scaffale comunicante dalla prima scena con Eve. Entrambe devono far fronte a ciò che l’una ha lasciato all’altra e al fantasma l’una dell’altra, sebbene con approcci e in maniere diametralmente opposte. Nonostante le differenze negli ambienti, nel vestiario, nella situazione in cui il passato le coglie, nonostante siano mai così lontane come ora, le inquadrature le catturano attraverso il medesimo occhio.
Nessuno dei personaggi ha subito lo sparo di Villanelle quanto Eve stessa, in un dolore che va oltre la ferita nella carne; ciò che alla fine della seconda stagione appariva una catartica vittoria, ora ha il gusto di una cocente sconfitta su tutti i fronti. La riuscita ricomparsa sulle scene della Polastri è, in parte, dovuta alla mancanza di suspense del suo ritorno: una maldestra spesa al supermercato, un lavoro nelle cucine di un ristorante, un monolocale completamente diverso dalla casa divisa con Niko.
Il succitato senso di dispersione e grigiore trova il suo punto più basso e più alto in Eve, fino alla staffilata del cruento finale dell’episodio, che mischia nuovamente le carte in tavola e ravviva nel più tragico dei modi la sua storia – come se lo show stesso fosse consapevole del suo inganno smettendo le sembianze di un racconto sin troppo convenzionale rispetto a ciò a cui Killing Eve ci aveva abituati.
Lontano dall’MI6, Eve è spezzata. L’atto di coraggio nel rifiutare Villanelle non l’ha salvata dall’apatia. È nello sbiadire fra i sobborghi di Birmingham che l’aspetto umano di Eve colpisce di più. Non c’è nessuna nuova missione sul letto d’ospedale, nessuna nuova chiamata all’avventura all’orizzonte, nessun desiderio di vendetta verso Villanelle: solo l’illusione di un’atarassia conquistata, che è solo l’atrofia del nascondersi al mondo.
Lo spettatore torna negli occhi di Eve. Forse per questo il rapporto con Kenny stona nel suo essere macchiettistico, in uno dei pochi difetti di questo nuovo inizio. Un esempio è l’ultimo dialogo fra Eve e Kenny prima della sua morte: un superfluo tentativo di spiegare ciò che è accaduto fra le due stagioni. Ne esce un momento vuoto, in cui il raccontare non lega con il racconto; più che un’interazione fra due personaggi così familiari, suona come una sequenza riempitiva, a guisa di resoconto volto a legare le stagioni. È una débâcle rara, che si riprende quando i ricordi di Eve tornano a galla e cala il silenzio, un sempre gradito compagno di questa variegata storia.
Ma il passato uccide e di questa verità ne fa le spese Kenny. La sua esecuzione estremamente violenta colpisce tanto Eve quanto lo spettatore. La prima si ritrova immantinente catapultata in un mondo che aveva dolorosamente lasciato dietro di sé e che ora, con un nuovo lutto sulle spalle, è costretta a riabbracciare, forse per vendicare una persona che le era sempre rimasta accanto, anche nel disobbedire a Carolyn, sua madre e loro superiore. Lo spettatore, che sino ad ora aveva assistito ad un convenzionale episodio introduttivo, viene scagliato violentemente nel mondo di Killing Eve (di nuovo o per la prima volta), che si sbarazza a sangue freddo di uno dei suoi personaggi principali. Eve ora è davvero sola e l’intera stagione può finalmente mettersi in moto, dopo un sacrificio simbolico di una delle sue figure più positive.
Un pregio che va di certo riconosciuto al diciassettesimo episodio della serie è la capacità, con più o meno irruenza, di introdurre molte tematiche e molti intrecci per la stagione che va a profilarsi, che già si promette pregna di eventi e sconvolgimenti per tutti i personaggi. Debuttare con la morte di uno dei personaggi più importanti è una mossa coraggiosa, che ricorda tragicamente il cuore della serie. I momenti precedenti al colpo di scena non lesinano in black humour: un esempio è lo sguardo di Eve alla cover del cellulare di Kenny.
Chi ha ucciso Kenny? Come Eve affronterà la sua morte? E come reagirà Carolyn? E Villanelle cosa vuole davvero dai Dodici? Quanto questo cambierà dopo aver scoperto che Eve è viva? E soprattutto, lo scoprirà? Il primo episodio della terza annata di Killing Eve è arrivato, nel segno di una brutalità nascosta nell’ombra della vita di tutti i giorni e che i protagonisti – le protagoniste – sono chiamati ancora una volta ad affrontare.
Voto: 8
[EDIT del commento da parte della redazione per evitare spoiler in homepage] Hanno ucciso Kenny! Brutti bastardi!