La prima stagione di Kidding, serie nata dal sodalizio creativo tra Dave Holstein (Weeds, The Brink) e Michel Gondry (The Eternal Sunshine of the Spotless Mind, The Science Of Sleep), ha convinto sotto ogni punto di vista, portando addirittura a due candidature ai Golden Globes (miglior comedy e miglior attore protagonista per Jim Carrey). La seconda annata dello show non disattende le aspettative e regala una stagione molto particolare, nella quale possiamo individuare come tema centrale e motore della narrazione il concetto di tempo.
ATTENZIONE: Seguono spoiler su tutta la seconda stagione!
Che cos’è il tempo? Una domanda alla quale l’umanità ha provato a rispondere da millenni non può certo trovare una risposta esaustiva in un prodotto televisivo, eppure gli autori di Kidding fanno un lavoro straordinario nell’analizzare e approfondire questa nozione attraverso la storia dei propri personaggi. In fondo sappiamo bene come le opere seriali più apprezzate siano anche quelle che riescono a portare alla luce domande e tematiche relative alla nostra percezione del mondo e a parlare a noi in quanto esseri umani; rispetto al punto di vista preso in esame in questo articolo, il tempo e la sua percezione, per esempio troviamo numerosi riferimenti culturali nella serialità degli ultimi anni: dal meccanismo narrativo del flashback – ma anche del flashforward – portato alla ribalta da Lost al discorso ultra-complesso della prima stagione di Westworld che ruota tutto sulla diversa percezione del tempo da parte di uomini e macchine. Proprio quest’ultimo riferimento offre uno spunto di riflessione per entrare in uno dei concetti chiave della discussione filosofica riguardo la natura del tempo: la differenza tra dimensione soggettiva e oggettiva nella percezione dello scorrere degli eventi.
Come punto di vista oggettivo si intende lo scorrere del tempo così come lo si può leggere nei libri di storia: il tempo non è che un susseguirsi continuo di eventi, che può essere riportato e, soprattutto, ricordato pezzo dopo pezzo. È la memoria collettiva, sono le tracce dell’agire umano e il modo più lineare e semplice di pensare al concetto di tempo: sono numerose le teorie che vedono il nostro esistere all’interno del tempo come il risultato del nostro passato. Heidegger, per esempio, vede nella temporalità di chi ci ha preceduto la dimensione stessa della nostra esistenza: tutto quello che facciamo è determinato dalla nostra storia e dalle vite di chi è venuto prima di noi.
Il punto di vista soggettivo del tempo è tutta un’altra storia. Già Sant’Agostino identificava l’esperienza del tempo che passa come quella vissuta dalla nostra coscienza, il che vuol dire che non può essere uguale per tutti; in tempi più recenti le scoperte scientifiche sulla relatività hanno spinto proprio in questa direzione, rendendo impossibile determinare il tempo come una costante fissa. Anche Bergson ragionava su questa scia concettuale, sostenendo che non si può ridurre l’esperienza interna del tempo – quella vissuta dalla nostra coscienza – a quella esterna dei fenomeni fisici; basti pensare alla personale percezione del tempo quando stiamo guardando la nostra serie tv preferita, che finisce sempre troppo presto, e quando, invece, stiamo assistendo ad una lezione noiosissima che sembra non finire mai.
Intorno a questa dualità dell’idea del tempo sembra essere costruita la trama della seconda stagione di Kidding che, tra l’altro, si svolge in un periodo più lungo rispetto a quello della prima annata. Quest’ultima finiva con il punto più basso mai raggiunto dal personaggio di Jeff e con il suo totale scollamento con la realtà – nell’ultimissima inquadratura addirittura Gondry trasformava Jim Carrey nel pupazzo Oops per sottolineare questa evoluzione. I primi episodi della seconda stagione portano Jeff a interrogarsi sulla sua condotta e su come il suo rancore verso Jill e, soprattutto, il dolore della morte di Phil – ancora un macigno pesantissimo sulla sua vita e sul suo matrimonio – gli impediscano di andare avanti e di risolvere il cortocircuito emotivo al quale assiste impotente.
L’idea di un tempo che scorre in modo diverso – o perlomeno percepito come tale dai personaggi – si ha in modo lampante con la storyline di Will. Il personaggio interpretato da Cole Allen, infatti, si affida alla possibilità di far tornare indietro il tempo basandosi su un libro di trucchi di magia: un espediente che a prima vista appare forzato – anche inserito nella weirdness a cui la serie ci ha da sempre abituato – ma che rivela le proprie carte solo in vista del finale, con il quale si riconcilia in modo diretto. Il ritorno al passato è il ritorno ad un’idea di idillio familiare pre-morte di Phil e, fatti i conti con questa tragedia, l’unico modo per Jeff e Jill di superare il dolore e riuscire a trovare un senso alle loro vite è quello di recuperare le tracce lasciate nel mondo dal figlio deceduto. Proprio per questo l’ultimo episodio della stagione, “The Puppet Dalai Lama”, è quasi totalmente ambientato nel passato, mostrando per la prima volta la nascita della storia d’amore tra i due coniugi Piccirillo per poi, ad un certo punto, sbaragliare le carte e lasciare che il montaggio riporti atrocemente alla cruda realtà del presente e all’ammissione di colpa di Jill. Il tempo, per i due personaggi, non scorre allo stesso ritmo e solamente il battito del cuore di Phil, un suono regolare e cadenzato, riallinea le loro esperienze e li porta alla percezione che tutto si fermi nell’attesa che si possano, finalmente, ritrovare.
Un’altra, tragica, constatazione di fronte alla quale Kidding ci posiziona è relativa a come il tempo si sia fermato – improvvisamente – anche per Seb, che deve fare i conti con un ictus che gli rende impossibile essere lucido e totalmente cosciente rispetto al modo che lo circonda. Interessante, da questo punto di vista, come gli autori creino una vera e propria clinica per curare disagi di natura psicologica e neurologica, incentrata sul far credere ai suoi “pazienti” – anche se non è forse la definizione più appropriata, si potrebbero chiamare visitatori o consumatori – di trovarsi negli anni ’60: in questo istituto – nel quale lavora anche la guest star Tyler the Creator – Seb entra in un limbo sospeso nel quale ritrova una propria serenità nell’incontro con la madre di Jeff e Deirdre, che appare per la prima volta nella serie – interpretata da Annette O’Toole. Questa storyline sembra ricordarci l’importanza della memoria e di come la nostalgia della felicità passata determini la nostra vita presente: si può vivere eternamente nel passato? E se si potesse rivivere all’infinito il momento in cui abbiamo conosciuto la persona che ci ha cambiato la vita?
Anche Deirdre, fin dall’inizio co-protagonista a tutti gli effetti dello show, comincia la stagione in crisi nera: la dissoluzione del suo matrimonio sembrava essere il peggio che potesse capitare al personaggio di Catherine Keener, ma l’accanimento di Scott nel sottrarle i diritti per i pupazzi da lei creati è la goccia che fa traboccare il vaso. Il legame tra Deirdre e le sue creazioni è profondissimo e questa seconda stagione sceglie nuovamente il tempo come strumento per raccontarlo: attraverso dei flashback, infatti, si vede il processo creativo che porta alla nascita di Astro-nutter, Ennui Le Triste e tutti gli altri pittoreschi abitanti delle Pickleberry Falls. Questo legame viene messo sullo stesso livello di quello che si potrebbe avere con un figlio – e infatti Deirdre alla fine baratterà proprio la custodia esclusiva di Maddy con l’ex marito per riavere indietro i pupazzi che venivano sfruttati e ridicolizzati a fini commerciali.
Ma il picco più eclatante di questa seconda stagione di Kidding lo si raggiunge in “Episode 3101” nel quale il tempo effettivo dell’episodio della serie coincide con quello di un intero episodio di Mr. Pickles’ Puppet Time, in particolare il revival della serie da parte della nuova emittente che accetta di riportare Jeff in scena senza limiti sui contenuti del programma. Ecco che l’intuizione degli autori è utilizzare questa mezz’ora di metatelevisione per far progredire l’evoluzione dei personaggi e giocare su livelli narrativi diversi: abbiamo, infatti, il divorzio tra Jeff e Jill – che si consuma in diretta nazionale – e l’addio di alcuni dei personaggi più amati del fittizio programma per bambini. L’episodio mette a nudo le emozioni dei personaggi attraverso la musica – con Ariana Grande come guest star – e le immagini – l’episodio è diretto da Gondry – parlando di temi cruciali come la fine dei rapporti, l’importanza di saper abbracciare i grandi cambiamenti e, soprattutto, la difficoltà nel farlo.
La seconda stagione di Kidding non è perfetta, anzi; si potrebbe facilmente parlare di come tutte le sue storyline non si incastrino alla perfezione e di come non raggiunga la coesione narrativa che aveva invece la prima. Tuttavia attraverso la lente analitica del tempo gli autori dimostrano di poter ancora parlare in modo profondo e sfacettato di temi quali il dolore della perdita, la difficoltà di guardare al futuro e l’importanza di saper trarre il meglio dal passato. Il tempo in Kidding scorre diversamente perché sono i suoi personaggi ad aver costantemente bisogno di rifugiarsi nella consolazione del passato, luogo familiare nel quale sono sicuri di trovare un barlume di felicità, per la paura di gettarsi nel futuro, ignoto e spaventoso, dell’”I don’t know“.
Ottima rece,anche se la serie si ferma quì un finale soddisfacente…sicuramente una delle più interessanti ed originali del 2020,incredibilmente snobbata ai prossimi Emmy…
C’è un secondo tema importante in questa seconda stagione: la separazione. Se nella prima tutto ruotava intorno alla Morte, qui i nostri si separano tutti da qualcuno e da qualcosa; i divorzi, le ribellioni, le cause, le acconciature, l’ictus costringono Jeff e la sua famiglia ad allontanarsi ed incamminarsi verso una solitudine consapevole e dolorosa. E la conclusione anticipata di questa storia ci separa, ci priva di uno dei progetti più originali degli ultimi anni.