The Eddy – Miniserie 6


The Eddy - MiniserieIn uno dei dialoghi risolutivi del finale di The Eddy, Elliot (Andrè Holland) consegna a sua figlia Julie (Amandla Stenberg) il foglio musicale della sua, della loro, rinascita. È una melodia con testo, che la ragazza canticchia seduta di fronte al padre, presto commossa, commossi insieme, come per un accordo segreto a lungo cercato e finalmente raggiunto.

Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due.

Philip Roth da “L’animale morente”

Il momento è importante per diverse ragioni: segnala dopo tanto distanziamento sofferto un riavvicinamento tra i personaggi principali, traghetta in forma di anticipazione al finale esplosivo della miniserie Netflix e si allaccia al discorso più generale sul ruolo della musica nella vita delle persone. C’è un motivo in più però che rende il passaggio dialogico non solo importante ma determinante per la comprensione dello show: la melodia scritta nel foglio è una melodia del Duca, dice Elliot. In questa confessione di eredità si spalanca tutto un nuovo senso, una ricomprensione degli eventi e degli archi narrativi, dell’uso della musica e della struttura dello show creato da Jack Thorne (ma frutto di tanti autori e autrici, tra cui Glenn Ballard e Randy Kerber, scrittori delle musiche, Damien Chazelle, Houda Benyamina, Laila Marrakchi e Alan Poul in qualità di registi).

Perché quando il musicista-figurina geniale e iracondo, intrattabile ma sempre giustificato, distante e assente ma per ragioni superiori, dopo otto episodi, parla alla figlia che l’ha sempre cercato senza trovarlo, chiedendo scusa per il proprio comportamento e per i torti commessi, per le disattenzioni e per gli atti ingiustificabili, lo fa con la benedizione della musica tutelare di Duke Ellington. L’apertura alla vulnerabilità ha la carne di Elliot, è sofferta dalla sua pelle e dai suoi occhi e arriva dopo una stratificazione drammatica vissuta dalla sua persona, ma è tradotta nella voce di una guida invisibile, di un genio speciale, lontano dallo stereotipo dell’artista impaziente e superiore, vicino invece a un’umanità generosa, al dialogo più che al monologo da solista. “La cosa più importante che guardo in un musicista è se sa come ascoltare” diceva, da leader della band forse più importante della storia del Jazz.

The Eddy - MiniserieEllington suonava in modo tutto particolare. Scriveva per i solisti e per le individualità che componevano la sua squadra, pensava sempre all’orchestra intera come strumento, squadernava la solitudine degli assoli dedicando il proprio genio all’altro, per una musica dello stare insieme, della socialità originaria, dell’io e tu. Elliot all’inizio lo conosciamo allo stesso modo: è un musicista a detta di tutti formidabile che però non suona da anni; scrive invece canzoni per la propria band e per la voce di un’altra, permettendo a quest’ultima, la Maja interpretata da Joanna Kulig, di incarnare la sua visione.

In un certo senso si tratta della stessa posizione, ma con una differenza determinante: all’inizio di The Eddy, Elliot scrive per gli altri perché solo attraverso questo metodo riesce a parlare; fuori dalla mediazione della musica il suo linguaggio emotivo non si articola in una forma accettabile e anzi, è continua negazione degli altri. È lontano dalla ricerca della musica di Ellington, perché la musica che scrive è uno schermo che usa per distanziarsi dall’altro, per contraffare i suoi pensieri; allo stesso tempo è ad essa molto vicino, perché proprio la musica può sbloccare, e sbloccherà, il suo rapporto con l’altro.

The Eddy quindi inizia e finisce in due posizioni diametralmente opposte ma speculari: parte da un negazionismo sentimentale – assenza dell’altro – mediato dalla musica e si conclude con una confessione umana – apertura all’altro – mediata dalla musica. In mezzo a questi due momenti, in cui il termine “mediazione” cambia nettamente dal punto di vista qualitativo, stanno gli otto episodi dello show, strutturati per portare il punto iniziale al punto finale secondo un percorso tutto particolare: non deduttivo, esplicativo o organico, bensì digressivo, frammentario e disorganico, un insieme di distrazioni improvvisate che prendono corpo tra la musica jazz, la mafia, il palco, il canto, la morte, il crimine, la pace, il mondo della Parigi periferica, la droga, gli strumenti e il fuoco.
Digressivo perché è questo il modo con cui accadere si incontra l’Altro, con una digressione, e non con una centratura del sé egoista; con una messa in discussione continua del punto di vista e della focalizzazione del dramma, come nelle improvvisazioni incrociate di una band in cui si frantuma l’ordine. E il percorso è proprio un percorso per mettere Elliot di fronte all’accadere dell’altro, per aprirsi, dopo continue digressioni, a un “decatrage” esistenziale che appunto lo decentri dal proprio egoismo.

The Eddy - Miniserie

Come inizia questo percorso? Elliot Udo è un musicista di successo, dirige un locale chiamato The Eddy nella Parigi del multiculturalismo assieme a Farid (Tahar Rahim), amico di lunga data. Il locale non va male ma non va neanche bene, la band ha potenzialità che  però restano inespresse, le etichette non sono molto interessate e Farid, che controlla la realtà economica, ha contratto vari debiti; quando viene ucciso, la situazione degenera. Questa è la causa scatenante di tutta la storia: la realtà del fatto – che poi genererà una linea narrativa poliziesca legata alle conseguenti investigazioni e alle scoperte relative ai loschi affari necessari per tenere il locale a galla – conta solo nella misura in cui innesca il percorso dei personaggi e viene sviluppata per inscriversi nella loro realtà psicologica. Lo show non è interessato a costruire un mistero importante di per sé, è solo un pretesto per mettere in moto e in difficoltà le psicologie dei protagonisti. Il lutto, ovvero la negazione di un individuo, affermerà l’esistenza degli altri, costringendoli a riflettere sul vivere e sul relazionarsi tra di loro.

L’evento della morte spinge tutti alla digressione da se stessi: è questa la propulsione iniziale. Dopo la perdita sono tutti come distaccati dalla propria identità e, per trovarla, devono attraversare il mondo, cioè l’Altro. Elliot in primis viene fratturato – in termini metaforici – e deve intraprendere una strada di ricomposizione che, ad un certo punto, raggiungerà non il ritorno al proprio egoismo ma la comprensione della necessità della frattura stessa: la frattura per lasciare entrare l’Altro. In The Eddy proprio per questo vige una struttura drammaturgica radicale: il dramma di uno sfuma nel dramma dell’altro, il dramma intimo di uno trova sempre risposta là, oltre l’individuo, nel prossimo che più gli sta accanto e lo ascolta. Solo rompendosi i personaggi fanno entrare la luce o la fanno nascere.

The Eddy - MiniserieMa qual è la prima azione di Elliot dopo la morte di Farid? La menzogna. Questa forma di interazione linguistica con il mondo è una continua affermazione del sé: la bugia, infatti, costituisce un atto arbitrario all’interno della realtà, una modificazione decisa dal soggetto, che prende coscienza di sé e della possibilità di poter alterare la continuità con una discontinuità, che è proprio la parola falsa. Non è un caso che nella prima puntata il primo movimento fisico del personaggio sia una finta della sua posizione nello spazio: quando deve intercettare il produttore musicale Frank Levi per proporgli un accordo e scusarsi della cattiva prestazione della band, il protagonista finge di essere sempre stato in una posizione che invece ha appena preso. Per farlo prende una scorciatoia, cerca cioè la via più breve, lo stesso comportamento con cui affronterà l’indagine della polizia su Farid e i suoi rapporti interpersonali.
Elliot mente compulsivamente, perché ha bisogno di affermare il suo sé. Dopo l’uccisione del suo amico è spiazzato dalle responsabilità che lo richiamano ma che non è in grado di sostenere. Queste responsabilità hanno il corpo degli altri, il volto di Julie, sua figlia, di Amira, la moglie di Farid, di Maja, la sua compagna, della sua band e del suo locale; il loro accadere gli ricorda di non essere in grado di relazionarsi, e così lui le nega, mente, pensando di poter risolvere i problemi che la trama gli presenta. La rottura delle sue certezze inizia con il primo slittamento di prospettiva e si intensifica con i successivi: ogni volta che lo show cambia focalizzazione e si dedica alla storia di un personaggio che non è Elliot, ma è appunto uno dei volti da lui ignorati, viene messo in pratica il decentramento di cui si parlava sopra.

The Eddy - MiniserieQuando nel secondo episodio il focus si sposta su Julie, arrivata dagli Stati Uniti e attanagliata da non detti pressanti, improvvisamente non conosciamo più Elliot dal suo stretto punto di vista, ma lo osserviamo con lo sguardo fragile di questa ragazza apparentemente arrogante e superficiale, che non sembra voler ascoltare nessuno, ma che in realtà nasconde un dolore forte e netto legato all’assenza del padre. La lacrima che spende alla fine del secondo episodio costringe la macchina da presa a fermarsi per prendere coscienza di una frattura tenuta insieme – a fatica – dalle bravate e mette in luce gli errori di Elliot del passato e del presente. In una struttura simmetrica, sul finale, il protagonista tornerà alla figlia dopo aver toccato gli altri personaggi.

Nel terzo episodio il focus cambia ancora e si allinea alla realtà di Amira (Lehila Bekti). È l’occasione per lo show non solo di approfondire il tema del lutto, ma anche per raccontare un’altra società, un’altra tradizione, rispetto a quella occidentale: la famiglia di Farid è infatti araba e il suo funerale si svolge secondo le usanze musulmane. Le immagini della detersione del corpo dell’uomo e quelle del concerto che poi i musicisti gli dedicano in casa sono magnifiche, una vera e propria esplosione di senso.
Prima ieratiche e poi esagitate, raccontano di uno scollamento spaventoso: per tutto l’episodio Amira si comporta come se si trovasse in uno stato di pervasione straniante; prima mantenendo un lieve distacco, poi crollando in urla soffocate, infine nel delirio di una musica vitale e terribile. In tutti i tre i casi è un ritratto di donna potentissimo, un corpo femminile abitato dal lutto e dalla forza. Quella forza è la presenza della morte, il grande Altro che Elliot ancora fa finta di non vedere: il musicista la intravede in Amira e parla, confessa, la propria fatica con lei per prima. Se prima mentiva per difendersi, ora dice la verità per accettarsi.

La seconda con cui parla è Maja. Elliot e Maja hanno un rapporto particolare: lei interpreta le canzoni che lui scrive; non suonando, tutta la musica di Elliot è in Maja e, infatti, è lei il segreto del dolore del musicista. È quindi toccata dai suoi fantasmi e ne è abitata, ma allo stesso tempo da tempo non si sente amata da Elliot: lo sorregge ma non sembra essere ricambiata; è, anzi, ignorata dal personaggio maschile che continuamente la critica. Solo quando Maja decide di lasciare la band e di rompere con lui, Elliot le rivela i motivi di questa lontananza forzata e auto-imposta, crollando in un’ammissione.
Non deve sembrare, tuttavia, che il ruolo interpretato da Joanna Kulig sia solo quello dell’amante non amata: la sua figura è l’incarnazione del dolore di un altro e in questo senso è opposta a Elliot, perché se lui è pieno di sé e gli altri tentano di raggiungerlo, Maja è sempre gli altri e mai se stessa e quindi tenta di viversi con azioni che sembrano non appartenerle. Nell’episodio a lei dedicato fugge dalla possibilità di assomigliare a sua madre, fugge dal ruolo di solista della band, fugge dal dolore di Elliot; poi però torna, perché quando il musicista le rivela le sue mancate responsabilità, lei si accorge di essere insostituibile, perché custode delle responsabilità degli altri.

The Eddy - MiniserieQuesti altri sono anche la band. Il percorso che tocca Julie, Amira e Maja (e quindi passa dallo sguardo sul privato più intimo della figlia fino al pubblico di quella microsocietà che è il locale) arriva ai componenti del gruppo: prima, nell’episodio quattro con Jude e poi nel settimo con Katarina. Qual è il loro rapporto con Elliot? Entrambi rappresentano il cercare nella musica la salvezza che manca nella vita quotidiana: la salvezza dalla droga per Jude, da una vita di tormenti per Katarina.
Cercano in Elliot, nella sua musica, una guida che passi attraverso le note e che si concreti nella performance fisica sul palco. È Elliot che viene chiamato da Jude quando quest’ultimo sta per avere una pesante ricaduta nella dipendenza; è Katarina che si avvicina a Elliot per avvertirlo dei pericoli che corre. Se nei primi episodi questi due personaggi non lo trovano, lui si fa sempre più vicino con l’avanzare degli episodi, imparando ad essere una figura paterna. Da mancato riconoscimento a pieno confronto, da assenza a presenza, Elliot cambia anche grazie a loro, perché lui stesso si accorge di essere per loro prima che per se stesso.

Ed ecco che si arriva al finale. Dopo così tante digressioni e spostamenti, dopo così tanto mondo e così tanta fatica, attrito, si giunge a quella melodia promessa. Il protagonista torna alla figlia e torna al suo locale, dopo una risoluzione della linea poliziesca che è marginale rispetto al patrimonio emotivo in scena: per la prima volto dopo anni torna sul palco per suonare. Si è taciuto il motivo in questa recensione per cui il protagonista si sente particolarmente spiazzato dopo la morte di Farid e inizia a mentire per negare gli altri: il musicista ha perso il figlio prima degli eventi raccontati dallo show.

The Eddy - MiniserieLa morte di Farid gli ricorda la morte del figlio e altre cose: di non essere un padre per Julie, di non essere il compagno di Maja e di non essere un capo per la sua band. Il dolore senza nome (perché qual è il nome di un genitore che perde il figlio?) si riflette nelle responsabilità verso gli altri, prima negate, contraffatte, poi accettate. Una volta attraversato il dolore, compresa la frattura proprio grazie agli altri, la musica può tornare. E allora ecco Elliot suonare sul palco assieme a Julie, quella melodia di Duke Ellington, per chiedersi scusa e per ricominciare.
Melancholia” (1953) è il nome del pezzo di Duke Ellington riadattato da Elliot in “Snow”. C’è una qualche magia nel sentirlo cantato da due corpi che si guardano nel presente, 67 anni dopo la prima incisione del pezzo, pensando a quanto hanno passato e al fatto che si sono perdonati. La musica di Elliot era scritta per allontanare gli altri dal suo dolore, quella di Duke Ellington era scritta per vivere assieme. Alla fine, anche le note di Elliot fanno vivere assieme, permettono di guardarsi negli occhi e di dirsi la verità.

The Eddy racconta questo, e qui si è cercato di esprimerlo senza giudizi di merito. Racconta di come sia necessario spezzarsi per ricomporsi e di come solo l’Altro abbia la risposta del sé. Le digressioni servono a questo, gli sbilanciamenti anche, come pure la macchina a mano, le performance live, i continui spostamenti di focalizzazione, la musica jazz. Tutto racconta questo spezzarsi, questo farsi rottura per lasciare entrare la luce.

Voto: 9

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Informazioni su Leonardo Strano

Convinto che credere che le serie tv siano i nuovi romanzi feuilleton sia una scusa abbastanza valida per guardarne a destra e a manca, pochi momenti fa della sua vita ha deciso di provare a scriverci sopra. Nelle pause legge, guarda film; poi forse, a volte, se ha voglia, studia anche.


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6 commenti su “The Eddy – Miniserie

  • Setteditroppo

    Cacchio, Leonardo, una bellissima recensione a cui aggiungere commenti è delittuoso. Si respira nel tuo scritto un grande trasporto per questo show. Lo comprendo e lo condivido pienamente. Diciamo però anche che gli stessi motivi per cui lo abbiamo amato possono rivelarsi decisamente respingenti anche per buongustai seriali. Se si superano resistenze iniziali poi si va avanti irrimediabilmente attratti. Buona visione e buona musica!

     
    • Leonardo Strano L'autore dell'articolo

      Ciao Setteditroppo, hai ragione, ci sono scelte di campo divisive! Buona visione e buona musica anche a te!

       
  • Daniela

    Che recensione stupenda! Sono davvero colpita da come sei riuscito ad esprimere tanti strati e significati di questa stupenda serie, complimenti.

     
  • Writer

    Visti i primi due episodi. Serie meravigliosa, si respira da subito il ritmo delle grandi opere. Eccellenti gli interpreti, con una magnifica Kulig che bissa la performance di “Cold war”.