Killing Eve – Stagione 3


Killing Eve - Stagione 3Arrivati alla fine della terza stagione di Killing Eve, è possibile cominciare a tirare le somme non solo dell’andamento della serie, ma anche del confronto tra il lavoro di diverse showrunner all’interno dello stesso prodotto seriale. Se infatti, con due sole stagioni all’attivo, il paragone si riduceva semplicemente alla differenza tra un modus narrandi e un altro (quello di Phoebe Waller-Bridge e quello di Emerald Fenner), ora è possibile allargare il discorso parlando sicuramente di differenze, ma anche di disegno complessivo, potremmo dire di fattibilità di una serie che ha come prerequisito quello di cambiare showrunner ad ogni stagione.

Questa terza annata, nelle mani di Suzanne Heathcote (Fear The Walking Dead, See), ha preso una piega diversa dalle precedenti due, le quali, pur nelle loro differenze, erano accomunate da una forte trama orizzontale che viaggiava parallelamente rispetto alla costruzione del rapporto tra Eve e Villanelle. È innegabile infatti come le prime due annate siano state contrassegnate da una narrazione capace di tenere lo spettatore sempre sull’attenti, soprattutto grazie all’alternanza continua di efferati omicidi e di fughe rocambolesche che facevano da perfetto contraltare alla costante sfida tra le due protagoniste. Un rapporto che ad ogni incontro-scontro ha portato Eve e Villanelle dall’essere acerrime nemiche al provare un’attrazione quasi inspiegabile l’una per l’altra; una curiosità reciproca che si è trasformata in ossessione, un sentimento ritenuto talmente impossibile da portare le prime due stagioni a concludersi nello stesso, ma speculare, modo – la prima con Eve che accoltella Villanelle, la seconda con quest’ultima che spara all’agente dell’MI6.

Killing Eve - Stagione 3Non può quindi non saltare all’occhio come Suzanne Heathcote abbia decisamente rallentato il passo di marcia, dando meno attenzione alla parte thriller-action e concentrandosi maggiormente sul carattere introspettivo della serie: come se, insomma, dopo due stagioni di corse e rincorse per ritrovarsi o per scappare l’una dall’altra, le due protagoniste avessero la necessità di guardarsi dentro per capire non solo i propri sentimenti, ma anche come la presenza dell’una abbia influenzato la vita dell’altra, in un modo che nessuna delle due poteva davvero immaginarsi. Questo lavoro di autoanalisi, pur con qualche sbavatura, rimane l’aspetto più riuscito della stagione – ed è anche per questo che la puntata finale, “Are You Leading or Am I?”, funziona molto bene, soprattutto per quanto riguarda l’ultima scena, di cui parleremo.
Non possiamo però dire lo stesso per quanto riguarda la trama orizzontale: il rallentamento di per sé non è sbagliato, soprattutto se si vuole per coerenza dare una frenata a tutto il racconto; ma nel fare questo, la narrazione ne ha risentito in termini di credibilità, oltre che di mordente, risultando a tratti poco interessante quando non addirittura assurda, soprattutto per la risoluzione di alcune storyline.

Partiamo quindi da qui, dalle vicende che fanno da sfondo al rapporto tra le protagoniste. Messa da parte la questione degli obiettivi dei Dodici, la vicenda che dà il via alla trama è la morte di Kenny, totalmente inaspettata, nella season premiere; una perdita che ha portato ad un maggior coinvolgimento di Carolyn nella trama – grazie anche ad una Fiona Shaw come sempre impeccabile – e anche ad un rientro forzato nelle indagini di Eve, determinata più che mai a scoprire chi avesse ucciso il suo amico. L’intera trama della stagione si muove proprio a partire da questo presunto omicidio, ed era lecito aspettarsi una spiegazione che incontrasse le aspettative createsi nel corso degli episodi; la scoperta del coinvolgimento di Konstantin sembrava muoversi in tal senso, ma la risoluzione finale – la morte di Kenny pare essere stata un incidente – depotenzia totalmente il significato di questo evento, lasciandoci con l’unica speranza che nella prossima stagione si scopra qualcos’altro a riguardo. La morte di Kenny, se non altro, ha avuto delle conseguenze importanti in termini di evoluzione dei personaggi e di messa in moto degli eventi, tuttavia non si può dire lo stesso degli altri morti della stagione: Dasha, Mo, Rhian, Paul, sono tutti assassinii che arrivano quasi sempre accompagnati dalla sensazione che coincidano molto più con l’esaurimento della funzione del personaggio piuttosto che per un motivo specifico all’interno della narrazione.

Killing Eve - Stagione 3Stupisce in questo senso soprattutto l’uccisione di Paul da parte di Carolyn: quel confronto finale, che vede nella stessa stanza Carolyn, Konstantin, Eve, Villanelle e appunto Paul, raggiunge un livello di tensione altissimo per tutti i personaggi in scena e spiace vedere come la scelta di uccidere Paul e non Konstantin sia stata presa per evidenti esigenze di trama – il primo aveva appunto esaurito la sua funzione, il secondo viene chiaramente ritenuto un personaggio troppo importante per essere eliminato. Tutto questo va contro qualunque logica e soprattutto va contro tutta quella che è la costruzione di Carolyn in questa stagione: non è una donna che si lasci influenzare dai suoi sentimenti – e lo abbiamo visto sia nel rapporto con Geraldine, sia nel suo modo di affrontare la morte del figlio e di Mo –, eppure dovremmo credere al fatto che per lei sia più importante uccidere una spia dei Dodici dentro l’MI6 (che sarebbe in ogni caso utile per le indagini) piuttosto che l’unico responsabile, seppur in modo indiretto per quanto da lui dichiarato, della morte del figlio, solo perché in passato hanno avuto una relazione.
Il salvataggio incredibile di Konstantin trova un suo degno sfidante nella vicenda di Niko, la cui sopravvivenza all’attacco di Dasha è talmente assurda che praticamente tutti lo davano per morto dopo la quarta puntata, “Still Got It”. Non c’è alcuna logica e soprattutto non c’era alcun bisogno di tenerlo in vita – se non per fargli esprimere per l’ennesima volta la sua esigenza di distaccarsi da Eve – e la sensazione che rimane davanti alla conferma che è ancora vivo è che Killing Eve, almeno in termini di sorprese legate agli omicidi, sia ben lontana dai fasti della prima stagione. Ricordiamo tutti, probabilmente con ancora l’orrore negli occhi, la morte di Bill nella discoteca di Berlino ad opera di Villanelle: non c’è nulla in questa stagione che arrivi anche solo lontanamente ad ottenere lo stesso risultato. Potevano arrivarci molto vicini sia con Kenny che con Niko: ma il primo omicidio, come detto, si sgonfia davanti alle motivazioni, e il secondo si rivela essere una non-morte praticamente per miracolo. Tutti gli altri assassinii sono privi di attrattiva, e spiace perché la parte action della serie era davvero un elemento appassionante; forse ciò che si avvicina di più al passato è il contributo di Eve alla morte di Dasha – che pure inizia come un incidente da parte di Villanelle – ma la scelta di farla rimanere abbastanza in vita per permetterle di confrontarsi con Konstantin è, di nuovo, qualcosa che fa intravedere troppo da vicino i fili della trama, in un modo che nelle precedenti due stagioni semplicemente non era neanche considerato.

Killing Eve - Stagione 3Passiamo invece al rapporto tra Eve e Villanelle, la sezione sicuramente più riuscita nonostante le due protagoniste siano per la maggior parte del tempo separate. Di certo l’inizio non è dei migliori, dato che la legittima paura di Eve dopo il tentato omicidio di Roma viene mutata di nuovo in ossessione e attrazione per Villanelle con una rapidità forse eccessiva; ciononostante, il percorso che era già stato intrapreso nella seconda stagione viene portato avanti con coerenza e profonda analisi di entrambe le donne, che si trovano per la prima volta a lasciare spazio a qualcosa di diverso nel loro animo. Eve sente che dentro di lei c’è qualcosa di malvagio, un lato oscuro verso cui inizialmente provava repulsione – come accaduto alla fine della seconda annata – e che ora la attrae anche perché percepisce come questo suo aspetto sia legato a Villanelle; quest’ultima, al contrario, è forse delle due quella che compie il percorso più lungo in termini di introspezione, risalendo alle origini del suo trauma senza nemmeno sapere che lo sta davvero facendo.

Killing Eve - Stagione 3Si autoconvince infatti per tutta la stagione di voler avere più potere, di desiderare di entrare a far parte dei Dodici così da non dover rispondere a nessuno, ma nella pratica i suoi omicidi cominciano ad essere non più precisi e infallibili come al solito, un segnale – prima ancora che lei lo realizzi – che quella non è più la vita che vuole portare avanti, per quanto cerchi di dimostrare a se stessa e agli altri l’esatto contrario. La sua disperata ricerca di affetto, evidente nel tentativo infantile e maldestro di entrare a tutti i costi nella famiglia di Konstantin, risponde a un disagio ancora più profondo, che è quello dell’abbandono da parte di sua madre: quando decide di tornare a casa in “Are You From Pinner?”, un episodio eccellente che è quasi uno standalone, la sua necessità di trovare una famiglia, una dimensione in cui riconoscersi e a cui appartenere, si scontra con la realtà di essere considerata anche lì come una “strana”, un agente esterno che nulla ha a che spartire con quel luogo e soprattutto con quella famiglia. L’uccisione della madre Tatiana da parte di Oksana è in realtà la risoluzione del grande enigma, cioè di cosa ha portato Oksana a diventare Villanelle: non solo la mancata accettazione da parte di sua madre, ma anche la totale assenza di ammissione da parte della genitrice di condividere questa sua natura con la figlia – cosa che l’avrebbe in qualche modo legittimata. Ad alcuni può essere sembrato strano dedicare un intero episodio a questa vicenda, ma non lo è affatto se si pensa che con ogni probabilità la spinta ad uccidere che ha guidato per tutti questi anni Villanelle è stata solo un surrogato del suo bisogno primario: uccidere la madre, che fosse in modo figurato – qualora avessero avuto un confronto, un chiarimento – o in modo letterale. Ecco perché da questo episodio in poi il cambiamento della donna risulta ancora più evidente: perché ciò che è stato innescato dalla presenza di Eve, quella sorta di “pulsione” verso il bene che Villanelle ha rifiutato fino ad ora, trova finalmente un suo spazio con la risalita verso il trauma e la sua abolizione attraverso una vera e propria esplosione.

Killing Eve - Stagione 3Il cambiamento che affrontano le due protagoniste raggiunge l’apice nell’ultimo episodio, che le vede insieme dopo una stagione passata ad inseguirsi incontrandosi sempre quasi per caso. Dopo l’incontro tra Carolyn e Villanelle, in cui quest’ultima si dice pronta a lasciare la sua vita per lavorare con l’MI6, nonostante il rifiuto ricevuto Villanelle non reagisce come ci aspetteremmo da lei – sfogando tutta la sua rabbia proprio nei confronti di chi l’ha fatta cambiare –, ma fa l’esatto opposto. Si incontra con Eve nel luogo dove ha compiuto il suo primo omicidio in Inghilterra per cercare di capire cosa sarebbe successo se le cose avessero preso un’altra piega, se quel momento in cui ha accettato l’incarico e l’ha portato a termine l’avesse vista rifiutare: è una domanda che non può avere alcuna risposta, ma la certezza di Villanelle di una vita se non altro più spensierata è così radicata da aspirare almeno un po’ a provare a sentirsi nello stesso modo, ed è Eve a capirlo per prima e a consentirglielo, ballando insieme a lei. Pur vivendo due percorsi diversi, le due donne si capiscono proprio perché viaggiano su direzioni uguali e opposte grazie al peso che ognuna di loro ha avuto nella vita dell’altra: ed è su questa immagine, metaforica da stagioni e letterale alla fine della puntata, che si articola il loro ultimo confronto, in cui entrambe danno prova di quanto sia forte il loro legame ma soprattutto di quanto siano cambiate.

Le carte sono ormai tutte sul tavolo: dopo due finali di stagione in cui l’una ha cercato di uccidere l’altra, si arriva al momento della verità, all’ammissione non solo dei sentimenti provati When I try and think of my future, I just… see your face over and over again ma anche di quel legame che le ha portate a cambiare così tanto. Eve sente che c’è un mostro dentro di lei, che viene alimentato proprio da Villanelle e di cui vuole liberarsi; ma Villanelle non ha più intenzione di approfittarsene, perché ormai ha capito che vivere come non si è davvero è una fonte di dolore inesauribile, e non potrebbe mai augurare questo a Eve. Per questo rinuncia al loro legame in nome del benessere mentale della donna, ma è proprio questo atto di completo altruismo che dà ad Eve la prova di quanto lei si sia trasformata. Ed ecco che nel finale non si gira solo una delle due, come accade in modo prevedibile nella maggior parte di questo genere di scene: si girano entrambe, si guardano e capiscono che senza l’altra non possono andare da nessuna parte.

Killing Eve - Stagione 3Appare quindi evidente come questa stagione di Killing Eve sia la più sbilanciata al suo interno: là dove la narrazione si fa sfilacciata, perdendo di vista non solo i propri obiettivi ma anche un mucchio di occasioni, troviamo invece una costruzione attenta e calibrata delle due protagoniste, con un’attenzione particolare rivolta sia al loro legame – che è poi il focus della serie – che alle loro singole individualità, così diverse e per questo così difficili da separare. È arduo anticipare cosa accadrà nella quarta stagione – che vedrà come showrunner Laura Neal, già autrice di quattro episodi di quest’anno –, soprattutto perché arrivati a questo punto bisogna osare se si vuole mantenere alto il livello; quello che ci si augura è che la trama dell’annata riprenda spunto dal passato, sia più coraggiosa e meno titubante rispetto a questa. Per le due protagoniste si spera che la serie saprà ripartire da questo nuovo punto di arrivo, approfittando delle bravissime Jodie Comer e Sandra Oh che, quest’anno ancor più del solito, hanno saputo esaltare una scrittura già altissima con le interpretazioni dei loro personaggi.

Voto stagione: 7+

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.

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