Forte della sicurezza di un rinnovo pluri-stagionale, Rick and Morty è tornata ancora una volta con un tono nuovo. Lo show di Adult Swim è in costante evoluzione, complice l’anima autoriflessiva che lo caratterizza: un processo che si traduce – in questo caso più che in altri – in gruppi di episodi sempre diversi, ognuno arricchito dall’esperienza accumulata nel lavoro fatto in precedenza.
Questa stagione è forse la cosa più vicina, in senso lato, ad un documentario sulla realizzazione della serie: le tinte metanarrative viste nelle prime annate si sono trasformate in veri e propri spunti per il racconto, che viene spesso guidato dalla volontà di esplorare il processo creativo di Dan Harmon e Justin Roiland.
Dopo una terza annata più introspettiva e cupa, la quarta racconta il conflitto degli autori e dei protagonisti nel tornare ad un tipo di avventure più “normali” e spensierate. Non è raro che Rick e Morty stessi si riferiscano alla questione, spesso subito dopo un esperimento particolarmente coraggioso, in cui, ad esempio, i due personaggi vengono ridotti ai loro corpi fisici per lo sviluppo di una storia che coinvolge gli alieni che se ne sono impossessati e Summer, che ne guida lo sviluppo verso una società funzionante in nome di Glorzo. È la stessa questione che sta al centro di un intero episodio, in cui un treno portato dalla Cittadella diventa letteralmente uno story device che buca la quarta parete e va ad attaccare non i personaggi, ma la serie stessa: e lo fa estraendone e mettendo in scena le idee inesplorate che avrebbero avuto più successo, in una sorta di fan service al contrario che funziona nonostante – e grazie a – i momenti del tutto assurdi che va a toccare, tra cui la discesa di Gesù Cristo in persona per salvare i protagonisti.
Nel corso dell’annata, questa parte metanarrativa si declina anche nello sviscerare all’estremo certi topos o generi, come l’intero episodio incentrato sugli heist movie e su un utilizzo incontrollato del double-cross come strumento narrativo; o quello sull’incontro con un pianeta di serpenti e la loro scoperta del viaggio nel tempo (e le sue devastanti conseguenze). A differenza di quanto accadeva nelle scorse stagioni, la serie affronta questo tipo di citazionismo con una consapevolezza più marcata, frutto del legame col proprio pubblico stabilito negli anni precedenti. E così l’intricata vicenda (riferimenti a Terminator inclusi) dei viaggi nel tempo dei serpenti viene raccontata senza che una parola venga pronunciata, come i riferimenti a Star Wars nel season finale vengono messi in scena praticamente controvoglia e di fretta. È un lavoro di decostruzione di genere con cui Harmon ha già sperimentato ampiamente in Community e che in ogni stagione del suo discendente animato viene portato un passo più avanti, in modo che la parte più pop che alimenta la comicità della serie non sappia mai di stantio. In quest’annata, praticamente ogni citazione viene messa in discussione o altre volte minimizzata, come se gli autori avessero deciso di eliminare ogni barriera tra lo spettatore e il processo travagliato che porta alla realizzazione dell’episodio. Nonostante la scelta sia costantemente a rischio di diventare troppo cerebrale o fine a se stessa, Harmon e Roiland sembrano trovare il giusto equilibrio tra quest’anima decostruttiva e l’attenzione alla vera storia – spesso semplice, soprattutto quest’anno – alla base dell’episodio.
In generale, la libertà degli autori da un evento da gestire come il divorzio nella terza stagione ha creato un clima più rilassato e divertito durante l’annata. Questo ha portato a storie dalle pretese più ridotte in termini di sviluppo dei personaggi, ma spesso incredibilmente creative nello sviscerare temi complessi e nel costruirci un umorismo solidissimo. L’esempio forse più riuscito della stagione è “The Vat of Acid Episode”, un episodio che, da un lato, mette in scena il diverbio creativo sull’utilizzo di un espediente stupido come una falsa vasca d’acido in cui nascondersi, mentre dall’altro lo proietta sui protagonisti esplorando il lato meschino e vendicativo di Rick. Allo stesso tempo, l’episodio esplora un altro espediente dibattuto – quello del poter tornare indietro nel tempo per evitare le conseguenze delle proprie azioni – legandolo a Morty e al suo carattere più ingenuo ed inconsapevolmente egoista: la possibilità di tornare indietro non elimina comunque la realtà soggettiva dell’aver commesso un atto dannoso, come il ribaltare la sedia a rotelle di un anziano. In quel momento la vendetta di Rick si fonde con l’anima disillusa della serie nello sviscerare l’idea ed esplorarne le conseguenze morali, ma non prima di aver messo in scena un montaggio musicale magistrale in cui Morty riesce a liberarsi dal dispositivo e a lottare per sopravvivere ad un incidente aereo insieme all’amore della sua vita. È il mix di elementi che Rick and Morty sa gestire meglio, costruendo 20 minuti che, tra una risata e l’altra, lavorano sui personaggi e su concetti esistenziali complessi senza banalizzarli.
Se l’impressione iniziale di questa stagione è quella di un ritorno alle basi dopo un’annata più scura, col passare degli episodi diventa sempre più chiaro come sia anche emerso un tono più consapevole del rapporto della serie col proprio pubblico e le proprie strutture ricorrenti. È forse anche per questo che, per rompere ancora più gli schemi, la serie arriva spesso a sperimentare o esagerare di proposito, come a testare quali siano davvero i suoi limiti: e si pensa all’impianto narrativo spiazzante di episodi come “Never Ricking Morty” (sul treno) e “Promortyus” (in cui la seconda parte è un intero flashback che spiega la nascita della società di Glorzo), o alla scelta di basare un intero episodio sui figli che Rick ha avuto da una relazione con un pianeta – e di trasformare la risoluzione in una rissa da parcheggio con Zeus. Il risultato è, come sempre, una collezione di racconti dalla creatività praticamente insuperata, in grado di sviluppare una comicità spesso legata a doppio filo con gli spunti di riflessione che genera. La più scarsa attenzione ai personaggi di quest’annata porta di certo ad un quadro meno coeso, in cui l’impatto emotivo del finale di stagione (basato sul rapporto tra Rick e Beth) viene un po’ azzoppato dalla (poca) costruzione che lo precede; ma è forse un piccolo prezzo da pagare dato il percorso della serie, che con una stagione fisiologicamente più “leggera” ha comunque dimostrato di avere pochi eguali nel suo campo.
Voto: 8½