Dopo poco più di tre anni, torna sulla rete americana FX Fargo, una delle serie più apprezzate e di maggiore successo degli ultimi anni. Inizialmente prevista per l’Aprile di quest’anno, la creatura di Noah Hawley, come del resto buona parte delle produzioni recenti, ha dovuto fare i conti con la pandemia di Covid-19, causando un importante ritardo nell’uscita.
Otto delle undici puntate previste erano state completate prima della blocco totale dovuto al coronavirus, mentre le restanti sono state terminate a partire da Agosto in poco più di un mese. Uno sforzo mastodontico che, come riportato in un articolo di Variety, ha visto la realizzazione dei due episodi finali in simultanea, con oltre 500 membri tra cast e crew che lavoravano contemporaneamente per permettere di portare al termine le riprese il prima possibile, il tutto rispettando diligentemente le norme sanitarie e di sicurezza.
Con una doppia premiere composta dalle puntate “Welcome to the Alternate Economy” e “The Land of Taking and Killing”, la serie ispirata all’omonimo capolavoro dei Coen lascia per la prima volta alle spalle i freddi confini del Minnesota per spostarsi più a sud, precisamente nel Missouri della Kansas City degli anni cinquanta. Al centro del racconto c’è la rivalità tra due famiglie malavitose, i Fadda e i Cannon Limited – una italiana e l’altra afroamericana. Una scelta interessante non solo per il potenziale narrativo, ma anche perché sembra quasi volerci dire che Noah Hawley sia più interessato a un altro film dei fratelli Coen, cioè il cult del 1990 Miller’s Crossing, sempre incentrato sugli scontri tra gangster.
Come però ci ha insegnato Hawley nel corso degli anni, questa semplice premessa è il punto di partenza per un racconto più ampio e profondo che, nonostante l’ambientazione risalente a ormai settanta anni fa, è più attuale che mai. Al centro vi sono infatti l’immigrazione e il razzismo – non solo verso gli afroamericani ma anche gli italiani – elementi che continuano a essere in prima fila negli scontri politici e ideologici che caratterizzano gli Stati Uniti d’America. Il punto di vista è quello della liceale Ethelrida Pearl Smutney (interpretata da Emyri Crutchfield), il cui saggio di apertura letto in classe fa da voice-over al lungo e bellissimo prologo della prima puntata, l’ennesimo esempio delle grandi doti registiche e di scrittura di Noah Hawley.
È proprio nel prologo che appare Tommaso Ragno, volto noto della TV italiana visto recentemente in Baby ma anche ne Il Miracolo, nel ruolo del boss Donatello Fadda e padre del personaggio interpretato da Salvatore Esposito, Gaetano Fadda. Entrambi non sfigurano di fronte all’incredibile cast americano della serie – una peculiarità della serie antologica di Nahwley -, anche se l’evidente differenza nella pronuncia della lingua italiana, benché giustificata dal fatto che, per esempio, Gaetano arrivi proprio dall’Italia, crei un effetto un po’ straniante per l’orecchio abituato all’idioma del Bel Paese. Il problema sorge soprattutto se si fa un confronto con l’interpretazione forse un po’ macchiettistica della lingua da parte di altre figure come Jason Schwartzman, un attore che con l’Italia ha molto a che fare visto che lo zio è il grande Francis Ford Coppola. Si tratta comunque di un problema minore al quale alla fine ci si abitua e che non intacca la visione.
Restando in tema cast, non si può non menzionare Chris Rock, in un ruolo – quello del boss Loy Cannon – che lui stesso ha definito come il migliore della sua carriera e nel quale si cala perfettamente; nonostante sia un delle figure più importanti della tradizione comedy americana degli ultimi vent’anni, Rock dimostra delle grandi doti anche nel genere drammatico. Chi però colpisce di più è l’irlandese Jessie Buckley, vista di recente nel film Netflix di Charlie Kaufman I’m Thinking of Ending Things ma conosciuta soprattutto per aver interpretato Lyudmilla Ignatenko in Chernobyl. Nella quarta stagione di Fargo la vediamo nel ruolo dell’infermiera Oraetta Mayflower, l’incarnazione assoluta del male che torna anche in questo capitolo della serie e che segue altri personaggi storici introdotti proprio da Hawley come il Lorne Malvo di Billy Bob Thornton o il V.M. Varga di David Thewlis. I metodi di Oreatta sono decisamente meno violenti – anche se estremamente efficaci -, ed è proprio questo a renderla ancora più inquietante rispetto a quelli che l’hanno preceduta. La scena in ospedale in cui elimina Donatello Fadda ne è un esempio perfetto, e la reazione del boss malavitoso, impotente di fronte a Oreatta, è estremamente angosciante.
Proprio come negli anni passati, Fargo può dunque sfruttare un cast molto ampio – in questa quarta stagione più del solito – con un numero altissimo di storie che si intrecciano, tant’è che ci sono volute ben due puntate per mettere in moto i meccanismi narrativi della stagione e per introdurre tutte le figure principali (pensiamo che un attore del calibro di Timothy Olyphant appare soltanto negli ultimi secondi). È forse questa abbondanza che, soprattutto nella seconda puntata, impedisce al racconto di eccellere e raggiungere i livelli tipici della serie, percepiti invece in “Welcome to the Alternate Economy” che ci ha riportato con grande stile nel mondo di Fargo.
Un altro elemento che pesa, e che per molti è stato uno dei più grandi problemi di Legion, è la tendenza di Hawley a rendere unica quasi ogni scena, tra split screen, ralenti e così via. È sicuramente sintomo della grande creatività e abilità di un autore-regista che non cede mai a compromessi e che punta sempre al massimo, ma che alla lunga può risultare controproducente perché impedisce alla visione di seguire quella serie di alti e bassi indispensabili affinché l’esperienza sia, da un punto di vista emotivo, davvero forte. Se ogni scena è unica, allora alla fine nessuna lo è.
Nonostante questi problemi e la densità narrativa e tematica, non si può di certo dire che Fargo sia tornata con una accoppiata di episodi deludenti. Non siamo (ancora) ai livelli della prima o della seconda stagione, ma gli elementi per un altro grande capitolo in questa serie antologica ci sono tutti. Ora che le figure sono state schierate, la speranza è che il prosieguo del racconto sia molto più fluido e che l’intreccio delle storie avvenga in maniera più organica. Hawley ha dimostrato di saper fare grandissime cose e, dopo il flop al cinema di Lucy in the Sky, la quarta stagione di Fargo è il teatro perfetto per rivederlo al meglio delle sue capacità, in attesa di quel film di Star Trek che sta scrivendo e che speriamo lo porti alla redenzione anche sul grande schermo.
Voto 4×01: 7 ½
Voto 4×02: 7-
Speriamo sia l’ultima stagione, basta con ste serie infinite, e comunque sta serie pur valida la trovo sopravvalutata , non è ai livelli del film dei Coen, quindi sicuramente la vedrò ma sperando che poi chiudano qui, 4 stagioni sono sufficienti.
Ciao Ivan, grazie per la recensione. Per ora la serie ha sicuramente spunti e personaggi molto interessanti, però ancora qualcosa deve scattare per farle raggiungere i livelli delle prime due stagioni.
Da sardo ho notato con sorpresa che la famiglia criminale italo-americana non è, come generalmente accade nel cinema americano, di origine siciliana o napoletana ma proprio sarda. Fadda è un cognome sardo e il nome Josto è tipico credo solo dell’isola e nel terzo episodio viene menzionato Tempio Pausania e la Corsica; in più Gaetano si lascia sfuggire uno “scimpru” e sembra l’unico a cercare di avere almeno una lontana cadenza sarda. Ho apprezzato che abbiano dato i ruoli degli italiani a veri attori italiani, e trovo comprensibile la scelta di Jason Schwartzman per Josto perché il personaggio a differenza del fratello è cresciuto (non so se anche nato) in America.
Forse la cosa che mi sta convincendo di meno è l’interpretazione di Esposito, un po’ troppo macchiettistico, ma è anche vero che personaggi di questo tipo ce ne sono già stati nelle altre stagioni di Fargo.
Si sono quasi accorti prima in America che in Italia di che ottimo attore è Francesco Acquaroli, spero che abbia più spazio.
Ottima rece,Ivan…io ho molto amato,”Legion,da te citata e solo per curiosità nel ruolo di Leon Bittle ecco proprio uno degli attori di quella serie,Jeremie Harris(era Ptonomy Wallace)…