Sulla scia dell’ambizioso lavoro compiuto ne Il primo re, Matteo Rovere torna a raccontare le origini di Roma nei dieci episodi di questa nuova serie televisiva prodotta da Sky, Cattleya e Groenlandia. La differenza sostanziale tra film e serie tv riguarda gli intenti iniziali: se Il primo re vuole raccontare e mettere in scena la leggenda della fondazione di Roma, Romulus, invece, si propone di esplorare le vicende che hanno contribuito alla nascita stessa della leggenda, impostando così l’intera narrazione sotto una lente più realistica.
Ne nasce così un racconto peculiare, in cui figure storiche e mitologiche si uniscono e si alternano in un intreccio suggestivo che ben sottolinea le probabili atmosfere presenti nell’antico Lazio del VIII secolo a.C.; un tempo in cui la distinzione fra ragione e irrazionalità non era contemplata e in cui tutte le azioni degli uomini – anche e soprattutto quelle più decisive per i loro destini – erano guidate e manipolate dal volere degli dèi, la cui lettura e interpretazione rappresentava una parte fondamentale della vita quotidiana del tempo.
Potere e suggestione
Non è un caso, dunque, se Romulus imposta la sua trama proprio a partire dalla decisione “divina” di far allontanare Numitor (Yorgo Voyagis) da Alba Longa per scongiurare la siccità, aprendo così la strada al complotto del subdolo Amulius (Sergio Romano) e al difficile percorso che condurrà Yemos (Andrea Arcangeli) a cambiare radicalmente e a incontrare i personaggi e la divinità che porteranno, infine, alla nascita di Roma. L’universo creato da Matteo Rovere riesce a delineare con successo gli aspetti di un mondo crudele che non concede sconti a nessuno, in cui alle oscure e spesso crudeli volontà degli dèi si affiancano intrighi e ambizioni squisitamente umane.
I personaggi, infatti, assecondano o tradiscono i segni divini a seconda delle circostanze e le lotte di potere che vanno delineandosi nei dieci episodi di Romulus; anche se seguono dei tòpoi narrativi ampiamente visti altrove, riescono comunque a distinguersi e a brillare proprio perché la serie mantiene un perenne fascino magnetico e suggestivo che viene alimentato dalle caratteristiche del periodo storico preso in considerazione. Tutto ciò trova i suoi maggiori punti di forza nella resa estetica e visiva dello show, ma anche nel modo in cui vengono delineati i delicati equilibri di potere del tempo. Dopotutto, a detta dello stesso regista, Romulus vuole essere anche un racconto sulla genesi del potere occidentale e sulle forme prototipali della sua organizzazione.
Risulta chiara fin da subito la portata dell’ambizione e degli sforzi compiuti da Rovere e dal suo entourage per mettere in scena uno show capace di distinguersi dalla tradizione seriale italiana e di spingersi, nella narrazione e nell’estetica, verso uno stile più internazionale che ha sicuramente preso ispirazione da show dello stesso genere (primo fra tutti, Vikings). È un’ambizione che, fortunatamente, ha trovato un riscontro più che positivo nella messa in scena delle puntate, costruite con una cura minuziosa che ha permesso alla serie di sfuggire dal rischio di risultare pretenziosa: Romulus ha davvero il merito di immergere nell’immediato gli spettatori in quel mondo antico che vuole raccontare grazie soprattutto al rispetto per la Storia stessa e all’accuratezza della sua rappresentazione. Si tratta di un’immersione che viene oltretutto accentuata se la serie viene vista nella sua versione originale in protolatino, che concorre a una rappresentazione ancora più centrata e suggestiva del racconto e del suo mondo arcaico.
“Io non sono niente, e allora posso essere tutto.”
In questo universo complesso e crudele, in cui la sopravvivenza stessa è una conquista da ottenere a caro prezzo, si incrociano i destini di tre giovani che concorrono, in un modo o nell’altro, alla creazione della forma prototipale di Roma e, soprattutto, della leggenda sulla sua fondazione. Yemos, Wiros (Francesco Di Napoli) e Ilia (Marianna Fontana) sono profondamente diversi fra loro, ma tutti attraversano traumi, perdite, riconquiste e cambiamenti profondi che concorrono ad un’evoluzione riuscita dei loro personaggi.
Tra gli aspetti più interessanti dell’intera stagione c’è, senza dubbio, il rapporto fraterno che va instaurandosi tra Yemos e Wiros, segnato da due tipi di percorsi molto diversi: il primo è nato, infatti, per diventare re, mentre il secondo non ha radici, è nato dal “niente” (come lui stesso ripete più volte nelle puntate) e vive da schiavo. La congiura di Amulius, nel costringere Yemos a fuggire strappando temporaneamente il futuro a cui era destinato, ha permesso ai due di incontrarsi in un luogo neutro e peculiare, il bosco, che funge spesso come simbolo di riscoperta di se stessi, di cambiamento e di rinascita. Incontrandosi in un momento quasi privo di speranza per entrambi, i due hanno iniziato a forgiare il loro stesso destino liberandosi dalle paure e dai preconcetti e trovando il coraggio di incontrare ed abbracciare l’ignoto, che è rappresentato in Romulus dalla misteriosa e sanguinaria tribù dei Ruminales, con a capo la fiera e feroce Lupa (Silvia Calderoni) e la dea Rumia, che unisce elementi animali, umani e divini, rappresentando la summa stessa delle caratteristiche fondamentali dell’intero show.
Nel rappresentare le vicende affrontate da Yemos e Wiros nel bosco e, soprattutto, lo stile di vita selvaggio dei Ruminales, la serie rende la corporeità la vera protagonista del racconto: i corpi e i movimenti studiatissimi degli attori dicono molto di più rispetto a quanto non facciano le loro parole. Ogni minima sensazione provata dai numerosi personaggi della serie viene infatti incisa sui loro corpi che, a seconda delle circostanze, esprimono rabbia, forza, fragilità e paura con un’immediatezza che fa brillare la serie. Nel trionfo delle battaglie, nel piacere del sesso o nel dolore (a tal riguardo, Romulus non ha paura di essere cruda), le scene utilizzano i corpi per arrivare dritte al punto, per colpire laddove vogliono farlo. Si tratta, dopotutto, del risultato di una scelta ben precisa di Rovere, che ha girato le scene all’aperto e che ha costretto gli attori a un tour de force non indifferente che, però, ha dato i risultati sperati.
La contemporaneità nel mito
Anche il percorso di Ilia, seppur diverso e più solitario rispetto a quello di Yemos e Wiros, condivide la stessa ribellione e la stessa voglia di riscatto che hanno unito i due. Da pacata vestale ad agguerrita guerriera guidata dalla ferocia di Marte, Ilia è senza dubbio uno dei personaggi più affascinanti dell’intera stagione. Gran parte dell’interesse nei riguardi della sua figura è dato anche dal rapporto controverso con il subdolo padre Amulius, che la inganna fino alla fine. È proprio nella resa finale – con il disvelamento dell’inganno paterno e con il confronto della giovane con Amulius e con Yemos – che la serie, purtroppo, paga il prezzo di un ritmo non sempre equilibrato e che, in alcune puntate, è stato fin troppo disteso.
I due confronti finali, che le puntate dello show hanno caricato di aspettative, seppur ben fatti, non dimostrano l’intensità che avrebbero meritato e risultano fin troppo affrettati. Nonostante questo, l’epilogo della stagione (che suggerisce una continuazione della serie) rende il personaggio di Ilia ancora più interessante: non più vestale e non più guerriera, la giovane donna adesso può costruire il suo destino libera finalmente da bugie e da inganni.
Nella costruzione dei tre giovani personaggi risiede gran parte del merito di Romulus, che è stata capace di inserire in un racconto di un mondo così arcaico e distante elementi squisitamente contemporanei. E lo ha fatto senza sacrificare o snaturare l’accuratezza e la credibilità storiche (come accade, ad esempio, in Britannia) del periodo rappresentato. I richiami contemporanei risiedono non solo nel respiro internazionale dello show, ma anche e soprattutto nell’universalità e nella semplicità delle emozioni e dei desideri mostrati dai personaggi: sete di potere, voglia di rivalsa, paura del diverso, fratellanza e lotte generazionali sono tutti aspetti ed emozioni ben comprensibili a chiunque, a prescindere dal modo in cui scaturiscono. La loro riuscita messa in scena ha permesso ad una serie come Romulus, che racconta di un tempo e di un mondo ormai così distanti dal nostro e dai nostri stili di vita, di avvicinarsi all’empatia stessa dei propri spettatori.
Per concludere, la nuova serie di Matteo Rovere colpisce nel segno delineando un universo suggestivo, di grande impatto e curato tecnicamente ed esteticamente nei minimi dettagli e nel pieno rispetto della Storia. Anche se non perfetta, Romulus, con la sua grande ambizione, ha indubbiamente avuto il merito di rinnovare il genere e di alzare l’asticella dell’ambizione e della qualità seriale italiana. Non resta che scoprire se questo universo avrà modo di continuare il suo percorso seriale: alla luce del colpo di scena finale della stagione, è facile pensare che l’avventura di Romulus non finisca qui.
Voto: 8
Un grande plauso allo show che non sfigura di fronte alla concorrenza internazionale e che spero faccia conoscere meglio un attore con i controcoglioni, e scusate la sottigliezza, come Sergio Romano, ad esempio. Voto e giudizio che quindi non si può non condividere e che deve incoraggiare gli autori a migliorare il punto debole dello show che è dato dal ritmo della narrazione (ma è la parte più difficile da apprendere dalla scrittura seriale anglosassone che ha decenni di vantaggio). Non solo il finale anticlimatico: eh per arrivare all’anticlimax ci vuole un climax ;). Anche l’assenza di scene di alleggerimento incide (poiché non si può fare di ogni scena una scena madre) sul ritmo e lo appesantisce affaticando o rischiando di affaticare la visione. Magari in altra sede si dovrà ragionare sulla seriosità della serialità italiana (ora non parlo solo di Romulus che ha perlomeno un minimo di giustificazione nel tipo di ambientazione) e in genere del suo cinema frutto del declino cominciato negli anni novanta e conclamato nell’ultimo ventennio (ovviamente con eccezioni qua e là)….ho straparlato, sorry
Bella recensione,condivisibile(…mamma mia che orrore “Britannia”…abbandonata al suo destino dopo la prima stagione)…