Arsenio Lupin è il celebre ladro gentiluomo creato dallo scrittore Maurice Leblanc nel 1905 e protagonista di innumerevoli racconti. Trasposto in vari adattamenti teatrali, televisivi e cinematografici, per molti è noto nella sua versione manga e anime Lupin III, in realtà molto liberamente ispirato ai suddetti romanzi.
Il successo di Arsène Lupin nei primi anni del secolo scorso è in larga parte dovuta al fascino del suo protagonista, alle invenzioni brillanti di alcuni casi, ma soprattutto al senso di rivalsa che questo Robin Hood francese poteva dare ai suoi lettori: si tratta infatti di un un ladro elegante e sofisticato — laddove Robin Hood era un nobile decaduto — che non commette omicidi e che ruba per sé e per gli altri solo da persone ricche.
Il nuovo adattamento dei romanzi di Lupin di Netflix, però, stravolge completamente (o quasi, come vedremo) queste premesse, per creare qualcosa di molto peculiare nel panorama televisivo, almeno in questo senso. Prima di tutto, l’ambientazione narrativa cambia: si passa, infatti, ai giorni nostri, in una Parigi (e Francia in generale) del 2020. A differenza, però, di quanto fatto molto bene da Gatiss e Moffat in Sherlock, non si tratta solamente di un passaggio di ambientazione storica, perché ad essere protagonista non è Arsenio Lupin quanto piuttosto un personaggio completamente diverso, ossia Assane Diop, figlio di un immigrato senegalese e interpretato da Omar Sy. Le avventure di Arsenio Lupin vengono trattate in quanto tali, cioè come serie di romanzi a cui il protagonista è legato per via dell’importanza che ha rivestito per il padre. Assane decide di prendere questi romanzi come ispirazione per compiere i propri furti, seguendone così gli snodi e le caratteristiche principali, ma mantenendosi ancorato alla realtà contemporanea e tutti i suoi pregi e difetti. Si tratta dunque di un’operazione interessantissima, in cui tecnicamente non si tratta di una vera e propria trasposizione letteraria, ma di letteratura c’è tantissimo.
I risvolti, dunque, sono molto positivi: la storia può permettersi molte licenze, soprattutto nel proprio protagonista splendidamente interpretato da Omar Sy, qui a proprio agio nel passare in pochi attimi da una tuta da lavoro a un costosissimo vestito da gala. Assane è alla ricerca della verità su suo padre, suicidatosi dopo essere stato accusato d’aver rubato in casa della potente famiglia Pellegrini, presso cui svolgeva il lavoro di autista. Convinto dell’innocenza del padre, il quale gli aveva regalato poco prima di morire un romanzo di Lupin (la serie ha come sottotitolo Dans l’ombre d’Arsène), l’uomo decide di ripercorrere tutta la storia, a cominciare dal furto della collana di Maria Antonietta, appartenuta proprio ai Pellegrini e soprattutto alla giovane Anne, figlia del padre padrone Hubert Pellegrini. In tutto questo, Assane è anche alle prese con un figlio col quale vuole formare un rapporto più stretto, nonché una serie di vicende parallele che lo terranno occupato in questi primi cinque episodi.
A causa del Covid, infatti, la prima stagione è stata spezzata in due parti, in modo da avere il tempo di finire la produzione e al contempo allungare la libreria di Netflix. Nonostante questo, la prima parte di questa stagione di Lupin funziona molto bene, perché al netto di qualche sbavatura—la scrittura dei personaggi, ad esempio, non è proprio perfetta—intrattiene, diverte, e lascia curiosi di vedere la risoluzione delle diverse azioni narrative La serie, infatti, pur mantenendo una struttura di trama orizzontale generale, presenta anche delle trame verticali che rendono ogni singolo episodio quasi un racconto a sé; questo vale in particolare per il pilot, il quale è un heist-movie molto efficace, quasi del tutto isolabile dal resto della stagione, ma che, pur seguendo i tropoi del genere, non si presenta né come derivativo né come prevedibile. Inutile dirlo che c’è sempre, in prodotti del genere, un po’ di sospensione dell’incredulità da mantenere, ma questi episodi non cercano mai di fregare lo spettatore con eventi esagerati.
L’altro risvolto—forse il più interessante—riguarda l’attualizzazione degli eventi e la scelta di un protagonista nero in una Francia rappresentata, se non apertamente razzista, comunque piena di quelle piccole azioni quotidiane che ben descrivono il razzismo casuale a cui i non-caucasici sono spesso soggetti. Nato e cresciuto in Francia da un immigrato dal Senegal (e qui in realtà si delinea l’ulteriore sfumatura della Francia coloniale), Assane è alle prese con una società che continua a vederlo come l’outsider, il cui padre è stato incastrato per il colore della pelle, così come la sua vita è stata condizionata dall’avere uno sponsor dell’alta società bianca.
Quanto fatto con Lupin da Netflix (la serie è in lingua francese) sembra essere un esempio che andrebbe colto più di frequente, anche con prodotti nostrani, perché permette di recuperare la vasta tradizione letteraria senza però darsi a trasposizioni che possono sembrare fuori tempo massimo o adattamenti privi di anima. Lupin affascina perché diverte, perché sa parlare della contemporaneità anche in un prodotto di intrattenimento, ma soprattutto perché dà a un testo con più di cent’anni una nuova vita, con rispetto e innovazione.
Voto: 7 ½