È risaputo che per anni le storie raccontate al cinema e in tv sono state dominate di una certa visione del mondo, in linea generica quella dell’uomo bianco medio-borghese eterosessuale che, soprattutto nella cultura americana che guidava (e guida ancora) il mercato, portava sullo schermo problematiche e questioni per lui rilevanti; negli ultimi anni per fortuna è stato dato più spazio (sebbene siano ancora una minoranza) ad altre voci che hanno reinterpretato i generi classici affrontando temi mai toccati prima o raccontati attraverso gli occhi di chi non li vive in prima persona, come la discriminazione razziale, quella di genere, il punto di vista di classi sociali svantaggiate e così via.
Questa nuova sensibilità che spinge per una società più equa e per una rappresentazione culturale appropriata e diversificata ha portato in auge prodotti e autori sul piccolo e grande schermo che hanno saputo unire il genere horror con il racconto del razzismo sistemico negli Stati Uniti: si pensi per il cinema a Jordan Peele e ai suoi film campioni di incassi Get Out e Us e, per la tv, a Misha Green con l’acclamato Lovecraft Country dello scorso anno. Questo lungo preambolo è utile a capire il contesto nel quale nasce e si sviluppa Them, serie creata per Amazon Prime Video da Little Marvin (The Time Is Now) e che vede tra i produttori esecutivi Lena Waithe (Master Of None, The Chi). Lo show in questione attinge a piene mani dall’eredità di Peele e Green e costruisce la sua identità sul sovvertimento dell’ambientazione classica che fa da sfondo al sogno americano, i bianchissimi sobborghi californiani, rubando un po’ anche dalla recente miniserie Little Fires Everywhere.
They always come from someplace worse.
La storia è ambientata negli anni della seconda Grande Migrazione, ovvero quel fenomeno del secolo scorso che vide milioni di afroamericani fuggire dagli stati rurali del Sud degli Stati Uniti e dalle loro leggi razziste e discriminatorie – chiamate in gergo “Jim Crow laws” utilizzando il nome di una famosa maschera razzista statunitense – per cercare negli stati del Nord e dell’Ovest luoghi migliori in cui vivere. Come già qualche mese fa ha mostrato il film candidato agli Oscar Ma Rainey’s Black Bottom, però, questa migrazione non si è sempre tradotta come un arrivo in paradiso per gli afroamericani, tutt’altro. Gli stati che ricevevano i nuovi abitanti erano a dir poco diffidenti, quando non apertamente ostili, nei confronti delle famiglie nere che andavano a popolare i loro quartieri, dimostrando nei fatti il razzismo strisciante, ma decisamente non nascosto, che li caratterizzava. In Them sono gli Emory a trasferirsi nel sobborgo di Compton, la famiglia è composta da Lucky (Deborah Ayorinde), Henry (Ashley Thomas) e le loro due figlie Ruby e Gracie; malvisti e osteggiati fin dal loro arrivo dai vicini – in primis dalla coppia formata da Betty (Alison Pill) e Clarke (Liam McIntyre) – si troveranno a confrontarsi oltre che con il terrore provocato dalle loro azioni intimidatorie con delle forze oscure che infestano la loro nuova casa.
Siamo di fronte dunque ad uno show antologico – ogni stagione racconterà una storia diversa e ne è già prevista una seconda – la cui prima annata prende il sottotitolo di “Covenant”, con l’intento di caratterizzare ogni “capitolo” della serie, nello stile al quale ci ha abituato la serie di Ryan Murphy American Horror Story. Le ispirazioni le abbiamo già citate e anche rispetto al genere horror abbiamo l’ennesima variazione del trope della casa infestata: in questo caso sembra che la metafora cercata da Marvin sia l’idea che a volere gli Emory fuori da Compton sia la risultante di tutte le entità che infestano la città, dal razzismo endemico dei cittadini alle forze sovrannaturali che remano nella stessa direzione. Lo show avverte immediatamente lo spettatore della tragedia che andrà a consumarsi nel corso delle dieci puntate di questa prima stagione: un testo in sovraimpressione, infatti, spiega nei primi minuti in modo fin troppo didascalico il contesto nel quale si svolge la storia e svela fin da subito che si sta per assistere agli unici dieci giorni che gli Emory passeranno nella loro nuova abitazione.
When we got this, it came with a promise. They will never take from us again.
L’intenzione è nobile: creare su due livelli paralleli le minacce che gli Emory devono affrontare per mettere in scena il terrore che ogni afroamericano viveva solo per il fatto di essere se stesso. Betty e gli abitanti di Compton sono genuinamente convinti che la città gli appartenga e vedono nella famiglia protagonista una minaccia vera e propria al loro stile di vita; il titolo stesso della serie d’altronde sottolinea uno dei meccanismi mentali che fondano e alimentano una mentalità razzista, ovvero il dividere sempre un “noi” e un “loro”, creare delle gerarchie e considerare l’altro, il diverso, un essere inferiore. Tutto questo è amplificato nella serie in ogni ambiente: dalle strade di Compton, ovviamente, al luogo di lavoro di Henry ed è perfino esplicitato in modo chiaro nel contratto di acquisto dell’immobile, sul quale vige un vecchio divieto di vendita alle persone nere, un retaggio della cultura del luogo da poco – per il tempo in cui è ambientata la serie – diventato incostituzionale.
Peccato che nonostante il buono spunto e le ambizioni del prodotto il pilot fatichi a ingranare un ritmo soddisfacente e non lascia granché voglia di proseguire la visione. Pur trattandosi di un episodio introduttivo destinato chiaramente a spingere ad un binge-watching, il sapere praticamente per certo fin dall’inizio che le cose degenereranno in modo implacabile fino ad un finale in tragedia è un’arma a doppio taglio che potrebbe sì incuriosire per scoprire il “come” ci si arriverà ma allo stesso tempo assomiglia fin troppo a tantissimi altri prodotti, e il sottotesto politico di cui è intriso non sembra abbastanza solido o approfondito per renderlo abbastanza interessante. Lo show prova a farsi notare anche con uno stile di regia e montaggio molto particolare, con più di una strizzata d’occhio al cinema horror del passato, altra scelta rischiosa che si teme da subito possa essere puro manierismo fine a se stesso. Insomma, quando si trattano temi così delicati è necessario fare scelte molto coraggiose e trovare sin da subito uno stile particolare per emergere: a giudicare solo dal primo episodio – il resto della stagione potrebbe confermare o smentire – Them risulta molto freddo e asettico, incapace di catturare davvero l’attenzione nonostante qualche scena abbastanza paurosa e inquietante.
Il punto di forza di Them è forse proprio quello di iscriversi in un vero e proprio filone che si sta imponendo negli ultimi anni, quello di utilizzare il genere horror per rendere protagonista l’oppressione subita per secoli dagli afroamericani – ancora oggi un tema attuale e decisamente caldo – ma a parte questo si fatica a trovare una caratteristica particolare che faccia brillare questo “Day 1” che, alla fine, risulta un prodotto tecnicamente validissimo ma tutto sommato nella media delle produzioni odierne.
Voto: 6