Pose – Stagione 3 4


Pose - Stagione 3Ce li ricordiamo tutti i titoli che nel 2018 annunciavano Pose, negli Stati Uniti e non solo: “Pose sta per fare la storia con queste 5 attrici transgender”, “Ryan Murphy mette insieme il cast transgender più ampio di sempre per una serie scripted” e altri titoli sulla stessa onda. Sono passati tre anni, tre stagioni di Pose e, sebbene siamo tutti consapevoli delle enormi difficoltà che la comunità trans (e non solo) affronta costantemente per avere una propria rappresentazione sui media, sembra quasi impossibile che ci sia stato un tempo in cui qualcuno abbia pensato a una serialità che non includesse personalità e talenti puri come quelli di Dominique Jackson, MJ Rodriguez, Indya Moore. Ciò che ha fatto Pose (e dunque Steven Canals, Ryan Murphy, Brad Falchuck, Janet Mock, Our Lady J) non ha precedenti e questo è fondamentale per comprendere molte delle scelte della serie, in generale, e di quest’ultima stagione, in particolare. 

Non è mai stato un mistero che Pose, oltre a voler raccontare la storia e la cultura delle ballroom newyorchesi, avesse come obiettivo anche (e forse soprattutto) quello di raccontare cosa ha significato per una comunità come quella – colpita non solo dall’omofobia, ma dalla transfobia, dal razzismo e dallo sfruttamento – vivere gli anni della comparsa di un’epidemia quale è stata quella dell’HIV/AIDS. E per affrontare un tema simile non esiste un modo solo: pensiamo a It’s a Sin, la miniserie di Russell T. Davies che in cinque episodi è riuscita a raccontare un mondo come quello LGBTQ+ londinese attraverso l’analisi della piaga dell’AIDS senza risparmiarsi, in una narrazione che ha voluto mettere in scena quanto quella pandemia (a differenza di quella del 2020, potremmo aggiungere) sia stata completamente ignorata perché vista come “la malattia degli omosessuali” nel migliore dei casi, “la punizione divina per i peccatori” nel peggiore.
Pose nasce con uno spirito diverso: come dichiarato dallo stesso Steven Canals, sin dall’inizio il progetto era quello di concludere la storia con la distribuzione di un cocktail di farmaci funzionante contro l’AIDS, e quindi questo – oltre ad anteporre la narrazione al numero di stagioni, come dovrebbe fare ogni serie TV – stabilisce anche un mood diverso per lo show stesso.
Pose - Stagione 3Sapere che, comunque vada, la conclusione sarà una visione ottimistica per il futuro è già di per sé un elemento importante, che permea la costruzione di tutta la serie. A questo si aggiunga, come si diceva in apertura, il fatto di avere la possibilità di raccontare non solo una storia sulla comunità LGBTQ+, ma di farlo con attrici transgender che potessero per la prima volta essere le vere protagoniste della loro storia, e non (nelle rare volte in cui un attore o un’attrice transgender entra nel cast di una serie) tutt’al più una spalla dei personaggi principali, presente come token o al massimo come elemento drammatico, usato come linea tragica del prodotto in questione.

Per questi motivi, e non solo, sin dalla prima annata Pose si è fatta la fama di essere una serie sui buoni sentimenti, quella con shade all’ultimo insulto, morti a ogni stagione, ma che poi immancabilmente lascia il pubblico soddisfatto e commosso per la riconciliazione di una lite, un rapporto risanato, una giusta premiazione alla giusta madre dell’anno. Questa terza stagione – benché non priva di difetti, come vedremo – preme sull’acceleratore in questo senso e, pur non rinunciando a mettere in scena personaggi secondari con atteggiamenti riprovevoli, sembra davvero tenerci molto a mostrare che, quando un personaggio agisce in modo giusto, lo fa senza zone grigie: non abbiamo mai l’illusione che qualcuno si stia comportando bene solo per poi cedere alla prima difficoltà (caso esemplare: Christopher, che da quando scopriamo essere compagno di Blanca semplicemente non ne sbaglia una), e anzi, tutte le volte che qualcuno mostra un qualche grado di pentimento (la zia di Pray, la madre di Cubby) viene accolto senza la minima remora, perché – e questo sembra essere davvero il messaggio di fondo di queste ultime puntate – la vita è troppo breve per non perdonare immediatamente chi si pente sul serio. Chi non lo fa (il padre di Angel, la madre di Elektra) non viene risparmiato da una seconda chance, ma quando dimostra di non avere la benché minima intenzione di mettere in discussione se stesso in nome di una figlia viene lasciato esattamente dove stava – nella solitudine della propria ignoranza.

Pose - Stagione 3Arrivare a questa terza stagione di Pose e lamentarsi del suo effetto-favola pare insomma il modo migliore per dimostrare di non aver mai compreso davvero lo show di casa FX; il che non vuol dire che tutte le decisioni prese siano giuste, anzi, ma che andrebbero sempre considerate all’interno della cornice che gli autori hanno scelto per raccontare questa storia.
Prendiamo ad esempio uno degli eventi che più hanno suscitato buzz mediatico sulla serie: il rapporto di Elektra con la mafia, il suo arricchirsi all’inverosimile senza pagare mai le conseguenze di un’alleanza grave. L’idea che l’effetto-favola potesse applicarsi anche qui è risultata ai più decisamente sconveniente, senza tuttavia considerare che la Storia non viene mai dimenticata da Steven Canals e non dovremmo farlo nemmeno noi: che ci piaccia o meno, a partire dagli anni ’60 la comunità LGBTQ+ newyorchese, costretta a vivere ai margini di una società che ne voleva la sparizione immediata a colpi di leggi repressive, è stata aiutata proprio da chi quelle leggi non ha mai voluto rispettarle. Lo stesso StoneWall Inn, il bar di New York dalle cui celebri rivolte del ’69 nasce la commemorazione del Pride, era controllato dai Genovese, famiglia di mafiosi italo-americani che garantiva al suo interno quella tranquillità che altrove non era possibile trovare.
Si è abituati a voler vedere punite le persone che, su uno schermo, collaborano con organizzazioni criminali, semplicemente perché si ritiene il proprio senso di giustizia più importante della rappresentazione di una realtà, o perché si pensa (sbagliando) che sia compito di una serie TV o di un film quello di istruirci o di mandare messaggi positivi – e basti pensare a Gomorra in questo senso. La verità è una sola: la collaborazione tra comunità LGBTQ+ e mafia negli Stati Uniti è esistita davvero, e forse dovremmo più concentrarci sul perché una comunità è stata spinta così ai margini da dover chiedere aiuto alla mafia piuttosto che chiederci perché una Elektra Abundance non venga punita per l’orrendo crimine di essersi arricchita al punto di mangiare caviale ogni giorno (e, tangenzialmente, di riutilizzare quei soldi per fare del bene, senza urlarlo in giro).

Pose - Stagione 3Pose ha sempre lavorato sulla mescolanza di generi, e sicuramente all’interno di questi troviamo il family drama, dove l’idea alla base (completamente riscritta rispetto “al canone”) è quella di famiglia che ti scegli, e che non per forza, quasi mai in questi casi, coincide con quella di sangue. Possiamo dire che sia questa la colonna portante dello show: una storia in cui i ruoli non solo vengono interpretati da altre persone (nuove madri, nuovi fratelli e sorelle), ma cambiano a seconda delle diverse situazioni. Blanca è madre dei suoi figli di casa Evangelista, che sono allo stesso tempo figli di Elektra come lo è lei; e Pray è fratello di Blanca, compagno, anima gemella, ma la madre Charlene, nell’ultimo episodio, non esita a definire Blanca un’altra madre per suo figlio, in un’ottica che non è mai stata mostrata fino a quel momento ma che in retrospettiva pare l’unica adeguata. L’idea di maternità e quella di paternità (Ricki nel series finale diventa Father della House of Evangelista, e Blanca Grandmother) si avvicinano allora sempre di più a quella di cura nel senso più affettivo del termine, e in questo senso non possono che diventare ruoli fluidi, che si interscambiano senza soluzione di continuità e soprattutto senza che questo generi dubbi o necessità di etichette più definite.
Si potrebbero citare mille esempi in questo senso, ma basti pensare a due scene in particolare: Ricky che capisce il sacrificio di Pray e viene supportato da entrambe le sue mother, Elektra e Blanca; e queste ultime che, in sedi diverse, si accorgono che qualcosa non va nelle loro figlie, Lulu e Angel, con un colpo d’occhio alla loro troppo rapida perdita di peso. Un’intuizione immediata, una preoccupazione che dice tutto senza dire poi molto – e del resto, come rispondeva Elsa Morante alle persone a cui chiedeva quale fosse la frase d’amore più vera: “No, la frase d’amore, l’unica, è: hai mangiato?”.

Pose - Stagione 3È in quest’ottica che il matrimonio tra Angel e Papi acquisisce carattere universale, come ampiamente spiegato da Elektra (“This wedding is bigger than you and Papi. This is a monumentous occasion for us all. A moment we never dared to dream”); il giorno stesso del matrimonio diventa l’occasione per riunire tutta la famiglia, mettendo da parte gli screzi – Lemar è presente nonostante il suo insopportabile comportamento delle prime puntate –, onorando le persone che non sono arrivate a vedere questo momento, come Cubby e l’indimenticata Candy, e soprattutto concedendo a tutte le invitate di indossare un abito da matrimonio, grazie a una mossa con cui arriviamo davvero a chiederci se sia la mafia a sfruttare Elektra o non l’esatto contrario.

Non possiamo non considerare, poi, la scelta molto probabilmente non casuale di Billy Porter di rivelare di avere l’HIV proprio quando venivano trasmesse le puntate del decadimento del suo personaggio, Prayerful Tell, la cui storyline in questa stagione ha seguito gli andamenti stessi del percorso per una cura per l’AIDS: tortuosa, piena di imprevisti e anche di inaspettate sorprese.
Pose - Stagione 3La scelta di mostrare anche l’impatto psicologico sui vivi di quanto stava accadendo in quegli anni, la sindrome del sopravvissuto e al contempo quella rabbia che porta a chiedersi “perché io, io con i miei sogni, io con i miei mille rimpianti?”, diventa quindi un modo di raccontarci, attraverso la figura di Pray, un percorso che davvero condensa tutte le diverse tappe affrontate da una persona che viveva quegli anni e che poi finiva con l’ammalarsi e col vedere ammalarsi, e poi morire, le persone amate – senza avere nemmeno il tempo di elaborarne il lutto. L’alcolismo, la cattiveria, il rehab, il dolore; le diagnosi secche e senza empatia, la scoperta di un trattamento da cui però si è esclusi per il colore della pelle (l’intersezionalità delle oppressioni, allora come oggi, non viene mai considerata abbastanza); la sistemazione di tutti gli irrisolti, il testamento, tutto pronto per andarsene: e poi arriva la seconda possibilità.
Non lo vediamo di frequente su uno schermo, anzi: sappiamo quanto spesso il pietismo di certa scrittura voglia cristallizzarsi lì, sui sogni non realizzati di chi ha una condanna a morte sulla testa. Ma Pose prende un’altra piega, tutt’altro che felice dato che Pray morirà comunque, ma lo farà decidendolo in prima persona; stabilendo di sacrificarsi e per chi, nel momento in cui sente che dalla sua vita ha davvero avuto tutto quello che poteva avere.
Il dialogo tra Pray e Blanca prima della loro ultima, commovente esibizione (peraltro una delle migliori della serie, sulle note di “Ain’t No Mountain High Enough” di Diana Ross) è rassicurante in questo senso: “I’ve left a lasting mark. And I understand that now”. E certo, non rende meno dolorosa la scena in cui Pray saluta il mondo e se stesso struccandosi per l’ultima volta prima di andare a morire nel suo letto, come era il suo desiderio, ma sappiamo anche che per una volta le cose sono andate come dovevano; che un personaggio come Pray, l’incarnazione del libero arbitrio e della scelta individuale, era quello che più di tutti poteva passare attraverso questo calvario e uscirne vincitore anche da morto.

Pose - Stagione 3Curiosamente, non è nell’aspetto fiabesco che questa stagione di Pose porge il fianco alle vere critiche, quanto in un’accelerazione della narrazione, che – complice la riduzione delle puntate – è andata a scapito dei personaggi. Otto episodi a coprire 4 anni così densi erano già una sfida difficile da affrontare, e lo sono stati ancora di più con la decisione di dedicare ben due puntate a uno sviluppo monografico di Elektra e di Pray, ricco di flashback (soprattutto il primo) che sicuramente sono stati necessari a chiudere il racconto su due personaggi complessi, ma che non hanno aiutato il quadro globale della stagione.
Pensiamo a Lulu, la cui dipendenza dal crack viene ritagliata negli angoli delle puntate e la cui fuga ci viene raccontata con un messaggio in segreteria a Elektra; o alla relazione tra Blanca e Christopher che avrebbe sicuramente beneficiato di un flashback esplicativo su come i due sono arrivati a creare quel legame così forte che attraversa la stagione sostenendola il più delle volte.
Ci sarebbe molto da dire anche sulla gestione del personaggio di Damon, che purtroppo è stato eliminato dopo la prima puntata per cause di forza maggiore (l’attore Ryan Jamaal Swain ha perso la sorella nel luglio 2020) e che tuttavia, nelle due volte in cui viene nominato, diventa inspiegabilmente alcolista, scappa, poi si ravvede e si ricostruisce una vita a Chicago.
Risulta insomma abbastanza chiara una certa frettolosità generale, evidenziata anche dai pochi momenti nelle ballroom di questa annata (anche se, inutile dirlo, iconici: l’idea di far vedere la prima volta di House of Abundance nella ballroom – che peraltro ha come tema il mondo delle favole, e non pare un caso – è stata sicuramente una sorpresa gradita).

Pose - Stagione 3Rimane un retrogusto amaro a fine stagione per cui ci si chiede quanto avrebbe potuto dare questa annata con due episodi in più o una gestione più oculata del tempo a disposizione. Avremmo avuto comunque quel finale positivo, quell’ottimismo che a certa critica ha fatto storcere il naso – ma a cui gli autori hanno deciso di rispondere in anticipo attraverso le parole di Blanca nell’ultimo episodio: “Happy endings are for movies. We done been through too much pain to fool ourselves into thinking that all the bad is in the past, but I do believe in… happy moments. Sometimes they last a minute, sometimes a year. But when they come… ooh, you just got to recognize and celebrate […]”; ma magari avremmo avuto meno la sensazione di corsa verso un finale che ha avuto davvero troppe cose da raccontarci.
Ciononostante, Pose ha fatto ciò che nessun’altra serie è riuscita a fare prima: ha dato voce a una storia, quella dei veri protagonisti delle ballroom newyorchesi che troviamo nel documentario Paris Is Burning di Jennie Livingstone, dando il microfono a chi aveva il diritto di raccontarla. Steven Canals, queer e afro-latinx, Janet Mock e Our Lady J, due donne transgender, hanno raccontato questa storia nel solo modo in cui poteva essere raccontata – e se per una volta una minoranza oppressa vuole avere una serie che parli delle loro difficoltà facendo prevalere non la pietà ma l’amore, non c’è proprio nulla di sbagliato; e infine il già citato cast, con la sua importantissima componente gay e transgender, ha di fatto segnato un punto dal quale non si potrà più tornare indietro.

Voto Stagione: 7½
Voto Serie: 8/9

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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4 commenti su “Pose – Stagione 3

  • Genio in bottiglia

    Stagione che, di suo, avrebbe forse faticato a raggiungere il 7: troppo patetismo, troppe soluzioni ‘telefonate’ (la morte di Pray Tell, con tanto di ultimo saluto a Blanca). Troppi buchi di trama, con parti come da te correttamente riportato solo accennate, che avrebbero avuto bisogno di essere narrate adeguatamente (in questo, Pose mi ha un po’ riportato alla mente l’ultima stagione di Girls). Ma davvero questi personaggi ti lasciano qualcosa dentro e se c’é qualcuno che si merita tutti i finali zuccherosi del mondo sono proprio loro e so già che mi mancheranno. Grazie per gli articoli che hai loro dedicato in questi anni, Federica.

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Grazie Genio! Ti dirò, io sono molto meno critica, nel senso che sicuramente in questa stagione ci sono troppi passaggi rapidi, soluzioni che di sicuro non sono sorprendenti… però per dire, sulla morte di Pray non sono così negativa: non è il primo e non sarà l’ultimo a “sentire” che sta arrivando la fine, e soprattutto in onore di un personaggio così enorme ci sta che la sua uscita di scena sia in qualche modo perfetta, sotto tutti gli aspetti. Insomma, se volessimo proprio fare la tara, ci sono serie tv molto meno “fiabesche” (passami il termine, ma ci siam capiti) e che comunque hanno morti super telefonate proprio per dare il giusto tributo ai personaggi – e mi viene da dire che in alcuni casi è proprio giusto così, alla fine stiamo guardando una serie TV, non un documentario -, figuriamoci se non ci stava in Pose!
      In ogni caso, al di là poi del gusto e del limite soggettivo, a livello complessivo siam d’accordo, ecco: si meritano tutto, e anche di più! Ci mancheranno, davvero 🙂

       
  • Boba Fett

    …non sapevo di Billy Porter e così la sua interpretazione diventa ancora più toccante: l’episodio a lui dedicato, con quel finale cantato, mi ha fatto piangere di brutto! Ecco, per me Pose è stato un musical senza la musica; un racconto corale, una ventata di positività (in tutti i sensi) in salsa barocca capace di emozionare.

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Hai proprio ragione, per molti versi per me Pose è stata una serie musical, anche se non nel senso canonico del termine.
      E la storia di Pray Tell, straziante e bellissima al tempo stesso