The Good Fight – Stagione 5 2


The Good Fight - Stagione 5Dopo una quarta stagione conclusasi in anticipo a causa della pandemia, le aspettative per questa quinta annata di The Good Fight erano molto alte. Una serie come questa, in cui Robert e Michelle King hanno sempre dimostrato di saper leggere l’attualità come pochi altri, aveva tra le mani tanto di quel materiale da non avere che l’imbarazzo della scelta. E lo show ha stupito, ancora una volta, con una season premiere che ha condensato in una sola puntata quanto accaduto nel 2020 – e con uno stile eccezionale – per ripartire da una sorta di tabula rasa, senza due personaggi storici (Adrian Boseman e Lucca Quinn) e senza la zavorra di dover mostrare proprio tutte le conseguenze della pandemia. 

“You think I’m in trouble?”
“Yes. I think you’re a Trump official who trained an insurrectionist in firearms…”
“I didn’t train…”
“…And then arranged for them to scout the Capitol.
I think that’s the definition of trouble.”

Un punto da cui non si poteva certamente prescindere, non con una serie come questa, era l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, e aver optato per Kurt come potenzialmente coinvolto è stata una mossa rischiosa ma anche estremamente intelligente. Quante volte abbiamo visto lui e Diane discutere da punti di vista opposti e ci siamo comunque consolati nel vedere che persino una donna fermamente democratica e un uomo solidamente repubblicano potevano trovare un modo per far funzionare il loro rapporto?
The Good Fight - Stagione 5L’assalto al Campidoglio ha invece cambiato tutto – perché un conto è essere repubblicano, un altro è essere un invasato che tenta un colpo di stato. Non ci stupisce che Diane difenda Kurt e che non possa minimamente immaginarlo come responsabile di un atto simile, eppure per la prima volta capiamo anche quanto il loro rapporto post-Trump non sia più solo quello di due persone che la pensano politicamente in modo diverso: non è un caso infatti che la risposta di Kurt su chi abbia votato nel 2020 non arrivi mai, come non è un caso che i King abbiano più volte preso in considerazione una nuova separazione della coppia. 

C’è un aspetto romantico, quasi favolistico nel vederli trovare sempre una soluzione come accade nel season finale, eppure il dubbio si è insinuato con più forza rispetto ad altre volte; il caso legale di Kurt ha avuto conseguenze anche sulla posizione lavorativa di Diane – come vedremo più avanti; e, sebbene il messaggio dei King sembri essere in ultima analisi volto alla conciliazione quando possibile (si vedano i riferimenti al rapporto tra Ruth Bader Ginsburg e Antonin Scalia), in questa stagione non possiamo che sentire quanto da una parte non ci siano più le certezze di una volta, e dall’altra quanto sia comunque una forma di privilegio quella di poter mettere da parte certe differenze ideologiche in nome del proprio amore (una coppia mista ma anche due persone di classi sociali diverse difficilmente sarebbero giunte alla medesima conclusione, dato che la politica impatta sulle loro vite in maniera più consistente rispetto a due persone bianche di classe alta).

Justice is only just if it’s available to everyone

The Good Fight - Stagione 5Ma le conseguenze del 6 gennaio non si fermano qui e permeano l’intera stagione attraverso la figura del giudice Hal Wackner, interpretato da un eccezionale Mandy Patinkin, e la sua idea di “tribunale del popolo per il popolo”. Che il collegamento tra Capitol Hill e la storyline menzionata sia evidente ce lo sottolinea proprio il season finale, con la distruzione dell’aula che richiama in maniera precisa (addirittura con la riproduzione fedele di alcune scene) l’assalto al Campidoglio; ma la costruzione dell’intera vicenda parte proprio da quelle fondamenta, cioè dalle conseguenze culturali lasciate da quattro anni di trumpismo in cui le istituzioni sono state sbeffeggiate e l’iniziativa individuale è stata esaltata fino al parossismo. Non possiamo certo dire che questa tendenza sia nata con la presidenza Trump, e difatti la storyline di Wackner (già dal nome) prende le mosse da una storia vera, ossia uno show televisivo: tra il 1981 e il 1993 negli Stati Uniti andò in onda infatti The People’s Court”, presieduto dal giudice Joseph Wapner nelle sue prime dodici stagioni, e incentrato su piccole dispute che potevano essere affrontate con l’accordo di entrambe le parti. Insomma, quello che da noi è stato – ed è ad oggi – un programma come Forum.

Dove sta quindi l’innovazione da parte dei coniugi King?
Per riadattare questa storia al 2021 era necessario cambiare un dettaglio di non poco conto, cioè la professionalità: a differenza di Wapner, il personaggio di Wackner non è affatto un giudice – scopriremo solo alla fine il suo vero lavoro – ma un comune cittadino che, con quello spirito che negli ultimi 10/15 anni ha invaso gli Stati Uniti (e non solo), vede nella partecipazione diretta alla cosa pubblica la più alta forma di “giustizia e giustezza” al mondo. Non è un mistero come in questi ultimi anni un po’ dappertutto abbiano preso piede movimenti populisti e richieste di democrazia direttissima che, nei loro estremi, possono condurre anche a questo: auto-darsi il compito di intervenire laddove il potere risulta fallimentare, in un’ottica per cui il potere è del popolo e quindi tutti possono esercitarlo se coloro a cui hanno dato delega non soddisfano i (loro, personali e soggettivi) requisiti.
The Good Fight - Stagione 5È, come pare evidente, una posizione che porta a derive anarchiche (ce lo mostra il montaggio che chiude l’episodio finale), ma i King soprattutto all’inizio decidono di bilanciare questo estremismo con dei princìpi condivisibili e un genuino amore per il paese da parte di Wackner, per poter “vendere” la storyline a un pubblico che non rigetti subito un’idea evidentemente folle. Insomma, per brevi istanti – soprattutto quando vediamo un sistema giudiziario che non sta funzionando – i discorsi del sedicente giudice non ci sembrano così pazzi, e anzi, in alcune misure risultano persino convincenti, anche perché a seguirlo è Marissa, del cui istinto siamo portati a fidarci. È quando il “sogno” di Wackner si incontra con i soldi di David Cord e le capacità comunicative di Del Cooper che cominciamo a vedere quanto persino la migliore delle utopie possa diventare presto una distopia – e neanche troppo lontana dalla realtà: il riferimento alle prigioni private negli Stati Uniti è più contemporaneo che mai.

Dove però questa storia non funziona è nel suo bilanciamento: occupa troppo spazio e, sebbene funzioni perfettamente all’inizio e nella sua conclusione, è impossibile non sentire soprattutto nella seconda metà un senso di fiacchezza nella scrittura, come se per diverse puntate si cercasse di evidenziare quello che è già ovvio. La storia insomma comincia a perdere la sua presa prima di arrivare a degna conclusione, e se mantiene alta una parte del suo fascino è grazie al già citato Mandy Patinkin, all’ottima alchimia con Sarah Steele e ad alcuni casi che vengono rappresentati al “distretto giudiziario 9¾”.

“Fighting the good fight”: dove sono le giuste battaglie?

The Good Fight - Stagione 5Un altro problema di questa stagione si trova nei casi trattati dallo studio, le cui diatribe interne hanno certamente un peso sociale e morale più intricato e interessante di quello dei vari casi presentati – basti pensare che il cliente più rappresentativo è Oscar Rivi, un signore della droga che cerca di ripulirsi il nome ma che continua a ricadere in comportamenti illegali o al limite. Ci troviamo insomma ad avere più interesse per il tribunale di Wackner e per i mille modi con cui i casi lì trattati vadano in conflitto di interesse di volta in volta con tutti, e già questo è di per sé un po’ deludente; ma la sensazione è che questa quinta stagione abbia un po’ ceduto sul fronte legale – che è invece sempre stato un punto forte non solo di questa serie ma anche di The Good Wife.
Tutto l’aspetto legale ne esce un po’ peggio del solito, anche per i personaggi coinvolti. Marissa ha finalmente deciso di diventare avvocata e, per quanto il suo coinvolgimento con Wackner sia avvincente e per certi versi innovativo, sono pochissime le volte in cui la vediamo alla prova nel vero senso della parola; Carmen Moyo, che sin dall’inizio si preannunciava un’aggiunta di grande valore soprattutto per il suo comportamento in generale e con Liz in particolare, si è rivelata un buon personaggio, con un discreto margine di crescita per il futuro, ma dalle cui premesse ci si aspettava di più, soprattutto per quell’aura di mistero che sembrava avvolgere ogni sua mossa all’inizio e che invece è sfociata in un nulla di fatto. Jay, infine, che rimane l’unico ad avere un legame con la vicenda pandemica – ed è importantissimo ad oggi parlare di Long-Covid –, risulta come al solito essenziale per molti aspetti, ma la natura delle sue allucinazioni lascia un po’ perplessi, soprattutto per come di fatto non viene contestualizzata in alcun modo se non come generico sintomo post-Covid. La genialità dei coniugi King nel giocare con l’assurdo è indiscutibile, ma a volte, sebbene di rado, si ha l’impressione che non riescano (insieme alla loro writers’ room) a vederne i limiti: era successo nella terza stagione con la decisione di usare i “The Good Fight Shorts” in ogni episodio e succede qui con le allucinazioni di Jay, perfette all’inizio, eccessive e sempre meno interessanti a mano a mano che vengono reiterate.

I think I like starting over. I like the… the chutes and ladders of life.
I mean, I want the corner office, but then I want to slip back to the beginning and fight for the corner office.

The Good Fight - Stagione 5I King hanno usato l’uscita di scena di Boseman e il cambio della presidenza come leva per mostrare il cambiamento interno alla Reddick/Lockhart, che si è concretizzato in un’opposizione tra Liz e Diane. Se da una parte è vero che lo studio ha accolto Diane quando non aveva più nulla, è anche vero che una firm afro-americana ha avuto tutto da guadagnare dall’avere una name partner bianca durante i 4 anni di presidenza Trump.
D’altra parte, è di certo comprensibile che gran parte dello studio abbia problemi a vedere Diane capa al 50% quando suo marito è stato in qualche modo coinvolto con quanto accaduto il 6 gennaio, considerando inoltre che è stata la stessa Reddick/Lockhart a difenderlo. E ciononostante, è altrettanto vero che stiamo parlando di una donna sì privilegiata ma pur sempre di una donna, che ha dovuto farsi strada in un mondo scritto e gestito da uomini e per uomini – non è un caso che lo “spirito guida” di Diane, per la sua vita privata ma anche per le scelte in ambito lavorativo, sia Ruth Bader Ginsburg, che fu giudice della Corte Suprema e soprattutto una donna bianca il cui contributo nel mondo dei diritti civili statunitensi è stato indescrivibile.
Per la prima volta Diane si ritrova a dover confrontarsi non con la sua lotta personale ma con il suo privilegio, a dover mettere sul tavolo le sue aspirazioni in quanto donna in un mondo di uomini e al contempo il suo “senso di colpa bianco”; non sempre però queste due parti riescono a bilanciarsi in modo da produrre delle reazioni con cui ci si possa relazionare in modo positivo.

The Good Fight - Stagione 5La scelta della writers’ room è quella di metterne in crisi il personaggio, facendole anche prendere una decisione eticamente scorrettissima e indifendibile – avvisare del suo allontanamento tutti i clienti bianchi in odore di razzismo per portare a una enorme reazione in sua difesa con David Lee. Christine Baranski come sempre illumina la scena, capace com’è di mostrare sia gli aspetti più vulnerabili di un personaggio che ormai interpreta da 13 anni, sia quelli più competitivi. Ed è significativo che l’ultimo episodio veda un suo passo indietro in ottica di riconciliazione con Liz e lo studio, ma con uno sguardo al futuro (il legame tra Kurt e la STR Laurie) che potrebbe rappresentare il suo nuovo punto di partenza. Diane ha insomma mentito a Liz con il suo passo indietro? Certo che no, ma è anche vero che, come tutti i personaggi, non è monolitica, e sa altrettanto bene quanto alto sia il suo valore. Del resto, è un discorso che si può benissimo riflettere su Liz (una sempre eccellente Audra McDonald): anche lei durante la stagione è passata attraverso diversi cambi di comportamento, e non sempre corretti nei confronti della sua socia. L’idea di uno studio legale a conduzione femminile esaltava Diane quanto lei, e il cambio di rotta è stato dettato più dal suo non riuscire a gestire la reazione degli associati – che rischiavano di rivoltarsi anche contro di lei – che da una effettiva necessità condivisa di rimuovere Diane.

I King ci hanno abituato da tempo a osservare la realtà da diversi punti di vista, anche quando scomodi, e lo dimostra ad esempio il doppio approccio al concetto del “politicamente corretto” e della “cancellazione”: da una parte la puntata con la stand up comedian e il tema di una comicità impossibile, passata al vaglio della sensibilità individuale; dall’altra l’episodio con il comedian simil-Louis CK e la professoressa del caso legato alla parola “n-word-ly”. Puntate diverse, casi differenti, punti di vista da calare nelle singole realtà ogni volta.
The Good Fight - Stagione 5Non deve quindi stupire che, per quanto sia comprensibile la necessità di avere una black firm che non sia rappresentata al 50% da una donna bianca, ci siano mosse scorrette e uscite infelici anche da parte di Liz – impossibile non citare il confronto finale tra le due donne, in cui Diane menziona i 35 anni di personale lotta alla discriminazione di genere e Liz risponde con i 400 anni di discriminazione razziale degli afro-americani. È una risposta semplicemente scorretta, perché oppone un discorso generale a uno particolare: se dovessimo mettere tutto su un piano generale, potremmo dire che le donne lottano contro le discriminazioni di genere da millenni.

Il punto è proprio questo, ed è una delle parti meno riuscite di questa stagione: aver reso questo confronto/scontro una guerra tra chi è più discriminato, senza chiamare in causa i veri responsabili, ossia il patriarcato e il colonialismo. È stato difficile assistere per un’intera stagione a un conflitto che sicuramente aveva le sue valide ragioni per esistere, ma che ha messo una contro l’altra due donne che non dovevano proprio starci dalle parti opposte della barricata; o che quantomeno avrebbero potuto starci a patto di giungere ad una diversa conclusione.
Va riconosciuto tuttavia ai King di avere sempre un modo eccellente di raccontare i rapporti di persone in conflitto – sin dai tempi di The Good Wife con il trio Alicia, Will e Diane – ed è così che colpisce per creatività e risulta adatta al tono della serie la sottotrama di Liz e Diane che, per via di un folle servizio giornalistico di Fox, finiscono nella settima puntata con l’essere considerate una coppia di fatto non solo dal giudice del caso che stanno seguendo, ma anche dalla stessa STR Laurie. La gestione della tensione non è mai stata un problema per gli autori e anche in questo caso si dimostrano abili ad abbassare il tono proprio quando sembrava diventato insostenibile.

The Good Fight - Stagione 5In definitiva ci troviamo davanti a una stagione di The Good Fight che, pur conservando la complessità tipica della serie e la sua indubbia capacità di rappresentare l’attualità con un tempismo eccezionale, rappresenta un calo rispetto alla qualità fino a qui osservata. Inutile dire – ma lo diciamo – ciò che si dice in genere in questi casi: una stagione problematica di The Good Fight supera comunque di diverse spanne la qualità media di ciò che vediamo in giro. Purtroppo, però, i King ci hanno abituato tanto alla loro genialità quanto ai loro cali (ricordiamo tutti l’andamento altalenante di The Good Wife dopo la quinta stagione) e, pur considerando le ovvie difficoltà dovute alla produzione in era Covid, non si può non notare come alcuni problemi siano proprio endemici alla narrazione. Non avrà di certo aiutato l’allontanamento di Cush Jumbo e Delroy Lindo, per quanto le aggiunte siano state accattivanti – fino alla genialità di inserire una leggenda comica come Wanda Sykes nei panni di Allegra Durado. La buona notizia è che la serie è stata rinnovata per una sesta stagione: e siamo certi che la realtà non mancherà di fornire ottimi spunti per i prossimi episodi della serie.

Voto: 7+

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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2 commenti su “The Good Fight – Stagione 5

  • Genio in bottiglia

    D’accordo sul voto, Federica. Nel corso della stagione, mi sono chiesto anch’io cosa mancasse, più volte. Di certo non ha aiutato la perdita di molti dei personaggi dai quali la serie era partita – eccezion fatta per Diane. Sicuramente l’aspetto legal non era mai stato il punto forte di The Good Fight, non come lo era stato per The Good Wife. O, semplicemente, la rimozione del totem Trump presente dalla prima puntata ha fatto sgonfiare tutto il resto. Peccato perché gli attori sono bravi, perché la scrittura è sublime, e perché al mondo del King ci siamo affezionati. Ma forse sarebbe giunto il momento di far calare il sipario.

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Ciao, scusa ma mi ero persa il commento! Ma sai che non sono mica tanto d’accordo sul fatto che l’aspetto legal non fosse il punto forte della serie? Secondo me invece lo è stato eccome, semplicemente è stato mescolato con l’attualità e questo ha permesso di mettere in scena dei casi tratti dalla realtà contingente e di cui far vedere aspetti non scontati, con punti di vista non convenzionali (mi viene da pensare al #metoo, per dirne uno). È anche per questo che questa stagione mi ha delusa sotto questo profilo, perché appunto, come mi chiedo nella recensione, dove sta la giusta battaglia? Se parliamo di quella interna alla firm, come ho scritto non credo sia stata gestita benissimo. Per il resto… Ecco, i casi interessanti non vengono certo dalla Reddick/Lockhart. Non so, forse davvero la perdita di Boseman e Quinn è stato un colpo da dover metabolizzare in più tempo. Io sono convinta che possano tornare sui binari dell’eccellenza, quindi nono, per quanto mi riguarda teniamo su il sipario e incrociamo le dita! 😊