Negli ultimi anni il panorama televisivo si è affollato di prodotti che raccontano mondi post-apocalittici, universi nel quale le cose non sono andate bene per il pianeta Terra o per l’umanità. Tra i più noti nell’ultimo periodo possiamo menzionare See su AppleTV+ che immagina l’essere umano del futuro completamente privo della capacità di vedere, ma anche prodotti di genere diverso che fanno del trope del “last man on earth” una parte importante della propria trama come The Umbrella Academy. Prima però di additare Y: The Last Man come derivativo o poco originale, bisogna ricordare che questo show è tratto da un fumetto della Vertigo di Brian K Vaughan e Pia Guerra pubblicato dal 2002 al 2008; più di dieci anni fa quindi, in un contesto culturale e socio-politico estremamente diverso.
Il 2002 era praticamente il giorno dopo l’11 settembre, e tutti sappiamo quanto l’attentato al World Trade Center abbia ispirato tutto un filone letterario pessimista e volto a esplorare in modi sempre diversi il possibile declino dell’umanità. La fine del mondo è diventata improvvisamente mainstream e tutti vedevano un cielo nuvoloso all’orizzonte per il pianeta Terra: nel caso di Y: The Last Man Vaughan si è immaginato un misterioso e improvviso evento che ha eliminato tutti i mammiferi con il cromosoma Y lasciando dunque sostanzialmente il mondo da ricostruire in mano al genere femminile. La premessa è di quelle con un potenziale quasi illimitato, anche se, come abbiamo già sperimentato, in tv i risultati possono essere molto diversi: se paragoniamo per esempio uno show molto riuscito come The Leftovers che parte da premesse simili – l’umanità deve fare i conti con un evento apocalittico di portata planetaria – con un’altra distopia televisiva di qualità discutibile come Brave New World – tratta dal classico di Huxley – o addirittura con The Walking Dead si capisce che il ventaglio di possibilità che si aprono all’orizzonte per questa serie è davvero ampio.
L’adattamento di Y: The Last man è sviluppato per FX da Eliza Clarke (The Killing, Animal Kingdom) e racconta la storia di Yorick Brown, unica persona di sesso maschile ad essere stata risparmiata dalla catastrofe insieme alla sua scimmia cappuccina Ampersand – anche lui un maschio. In un mondo totalmente stravolto il ragazzo deve sopravvivere aiutato dall’Agente 355, guardia speciale al servizio del Presidente degli Stati Uniti, e cercare le risposte rispetto alla sua speciale condizione. La narrazione del materiale originale si sviluppava come una road story, con i personaggi che si ritrovavano a incontrare, numero dopo numero, persone e situazioni differenti volte un po’ a sviluppare una trama verticale ad ogni numero ma anche ad esplorare il vastissimo worldbuilding che questo tipo di prodotti portano fisiologicamente con sé. Da questo punto di vista è ancora troppo presto per capire come si svilupperà la serie televisiva: dai primi tre episodi non si intuisce moltissimo.
Il primo episodio, per esempio, è un lungo antefatto che introduce tutti i personaggi mostrando i dieci giorni precedenti alla catastrofe. Il secondo, d’altro canto, mostra le conseguenze dirette dell’evento e come l’umanità – anche se in realtà lo show è ambientato solo negli Stati Uniti – ha reagito ad esso, tra il panico generale e le istituzioni che cercano di ricostruire dalle macerie. Il terzo comincia a costruire maggiormente in vista del resto della stagione, composta da dieci episodi, con un focus maggiore sul personaggio di Yorick e sul suo futuro, oltre che approfondire le altre sottotrame che faranno da completamento a quella principale.
Y: The Last Man si presenta fin da subito come una serie di poche parole, e questo è un bene: a differenza di altri prodotti non vuole a tutti i costi spiegare quello che sta accadendo – se non in alcuni momenti – ma si fida dell’intelligenza dello spettatore e lascia che siano le immagini a parlare. Questo lo si nota soprattutto nel secondo episodio, subito dopo il cataclisma, con gli eventi che si succedono: tocca a chi guarda unire i punti e fare i collegamenti tra le cause – o la Causa, ovvero la scomparsa improvvisa del cromosoma Y – e le conseguenze sociali e politiche. Questo aspetto è anche quello potenzialmente più interessante di una serie di questo tipo: quali sono le implicazioni di un mondo governato dalle donne e gravato da un lutto collettivo improvviso? Come si ricostituirà una società che ha perso improvvisamente circa la metà della popolazione e che dovrà – logicamente – fare i conti con una crisi demografica nell’immediato futuro?
Questi aspetti sono ovviamente ancora acerbi nei primi episodi della serie, concentrati più sull’emergenza e sui momenti critici dei primi giorni dopo l’infausto evento piuttosto che sulla proiezione verso il futuro; l’unico accenno ad una visione programmatica è legata all’esistenza di Yorick e si scopre solo alla fine del terzo episodio.
Il problema principale di questa partenza e di come sembra essere strutturato Y: The Last Man, tuttavia, è una certa difficoltà per la serie di trovare una propria identità: si diceva di come le narrazioni post-apocalittiche sono tantissime e molto simili tra loro, e lo show di FX si accoda difatti a questa scarsa originalità nella messa in scena. Utilizzare l’intero pilot come flashback prima di mostrare l’evento che farà partire la trama vera e propria appare da subito esagerato, soprattutto perché lo spettatore sa benissimo quello che accadrà – è la premessa della serie – e segue l’episodio solo in attesa di ciò; il resto appare come una distrazione piena di lungaggini. In tal senso sarebbe stato più funzionale un inizio in medias res, o un’idea originale – sebbene nei fatti non riuscitissima – come quella avuta dall’adattamento di quest’anno del romanzo di Stephen King The Stand, il cui pilot intrecciava senza soluzione di continuità scene prima e dopo la catastrofe non temporalmente consecutive.
Anche dal punto di vista registico e di immagini non ci sono particolari guizzi: una fotografia spenta e un tono serioso e drammatico permeano l’intera narrazione; tutto appare asettico e poco caratterizzato. Non che nessuno si aspettasse una comedy alla The Last Man On Earth, ma nemmeno una copia così poco audace di un qualunque altro prodotto che parta da premesse simili. Persino la sigla, per quanto ben fatta dal punto di vista tecnico, non colpisce e sa di già visto e già sentito.
Se da un lato, dunque, ci sono buoni indizi per aspettarsi una serie interessante anche dal punto di vista tematico, dall’altro chi si aspetta il prodotto che innoverà il genere potrebbe rimanere molto deluso. Si sospende il giudizio sulla chimica tra i protagonisti: tra i tre che si vedono di più in questi episodi spicca naturalmente la splendida Diane Lane, la sorpresa è Ashley Romans, mentre è abbastanza deludente l’interpretazione di Ben Schnetzer, al suo primo ruolo davvero importante.
Voto 1×01: 5
Voto 1×02: 6
Voto 1×03: 6 ½
Nota: nel fumetto non vi era alcun specificazione su come il virus avesse avuto effetto sulle persone transgender, per la serie però gli autori hanno specificato in varie interviste che l’argomento sarebbe stato trattato nella serie. A morire, infatti, sono tutti i mammiferi con il cromosoma Y, quindi anche eventualmente le donne trans; in questi primi episodi ci sono già un paio di linee di dialogo che sottolineano questo aspetto.
onestamente, non ho capito la chiosa sulle persone transgender. C’è un motivo particolare, la serie è stata criticata per questo o cosa?
Ciao leah! In effetti forse non era chiara l’intenzione di quella nota: in realtà non c’è stata nessuna critica perché le interviste citate sono state pubblicate nella fase di produzione della serie.
Semplicemente Eliza Clarke ha sottolineato come questo argomento fosse totalmente assente dal fumetto mentre lei ha ritenuto importante ci fosse nel suo “Y-universe”. Ho pensato di inserirla nell’articolo principalmente per due motivi: 1) è una questione interessante, anche perché il discorso sul genere si presta benissimo ai temi affrontati dalla serie; 2) penso che sia una scelta importante ed inclusiva, soprattutto perché avvenuta in totale autonomia e non in risposta a delle critiche per esempio.
Poi al momento (primi tre episodi) non è altro che un accenno, vedremo come il tema si svilupperà negli episodi successivi.