In un panorama televisivo come quello odierno, dove il numero di contenuti aumenta di mese in mese, è sempre più difficile restare rilevanti al suo interno. Che sia con la forma più “arcaica” del rilascio settimanale o dell’arrivo di un’intera stagione sulle piattaforme di streaming, il discorso attorno a una serie, anche nei casi di maggiore successo, spesso si spegne nel giro di pochi giorni. Si tratta di una dinamica, però, che non sembra minimamente interessare Succession, diventata ormai la serie di punta di HBO, coccolata – giustamente – dai critici e amatissima dal pubblico.
Podcast, recensioni e approfondimenti hanno accompagnato i due mesi di programmazione della terza stagione con grande entusiasmo, in un’annata per la serie creata da Jesse Armstrong che ha confermato la sua grandezza e ha tolto ogni dubbio a chi temeva arrivasse un primo passo falso. Che ci fossero gli elementi per un altro splendido capitolo della saga familiare dei Roy era già chiaro dall’ottimo episodio che ha aperto le danze, “Secession”, ma di settimana in settimana Succession ha infilato una striscia di puntate meravigliose, non facendo mai nulla di scontato e mantenendo il difficile equilibrio tra commedia pura e dinamiche da dramma shakespeariano.
Andando più nello specifico, è logico iniziare parlando di Kendall, colui che, dopo la conferenza stampa che aveva chiuso la scorsa stagione, sembrava essere davvero a un passo dal mettere in ginocchio il padre. Dopo l’euforia della premiere in cui Logan, forse per la prima volta, è apparso davvero in difficoltà, le cose hanno lentamente – e, soprattutto, dolorosamente – iniziato a ritorcersi contro Kendall, a riprova del fatto che il leader di questa famiglia e questo impero mediatico, per quanto disprezzato da tutti, continua ad esercitare un potere e un’influenza che lo rendono praticamente inattaccabile. Sicuramente le carte che Kendall aveva in mano, a lungo andare, non sarebbero state sufficienti per portare a compimento il suo grande progetto ma, nonostante abbia dimostrato alcune competenze nel corso degli anni, è evidente – e questo vale anche per gli altri fratelli – che non abbia davvero le capacità per prendere le redini della Waystar Royco.
Bisogna anche prendere in considerazione l’enorme quantità di abusi emotivi che ha subito nel crescere con un padre come Logan, e gli effetti di questa tossica relazione padre/figlio sono ancora più evidente nella terza stagione. Kendall, per quanto patetico e odioso nel cercare di cavalcare l’onda del #MeToo per emergere come paladino della giustizia e istigare l’opinione pubblica contro il padre – fallendo miseramente –, dà un enorme senso di tristezza in quei rari casi in cui lo vediamo investito dal senso di impotenza e solitudine che lo affliggono quando si rende conto di non avere nessuna chance, come nella scena in cui cerca il regalo dei figli durante “Too Much Birthday”.
Non è un caso che in molti, al termine di “Chiantishire”, dopo averlo visto a mollo in piscina in un’inquadratura che ricorda molto quella iconica del cadavere in acqua di Sunset Boulevard, abbiano pensato che Kendall si fosse tolto la vita. Da un certo punto di vista, per il suo personaggio, in quel momento avviene una sorta di morte, in quanto, dopo la cena della sera prima con Logan, Kendall si rende conto che la sua vita sarà sempre all’ombra della figura paterna, una prigione emotiva senza via di scampo.
Non se la sono passata tanto meglio gli altri potenziali eredi al trono della Waystar Royco. Shiv, indipendentemente dalla qualità delle sue azioni, non sembra riuscire a entrare mai veramente nelle grazie del padre. Allo stesso tempo, come Kendall, anche quando cerca di allontanarsi, viene risucchiata immediatamente, forse incapace di dire davvero addio ai Roy. L’esempio più lampante è il finale del sesto episodio “What it Takes”, in cui Shiv inizialmente sembra rifiutarsi di prendere parte alla foto che la vedrebbe ritratta con il futuro candidato repubblicano filo-fascista Jeryd Mencken, prendendo apparentemente una forte posizione etica e morale contro la politica familiare, ma quando il padre le chiede se faccia parte di questa famiglia, improvvisamente torna a essere succube di Logan. Il “You win, Pinkie” è quanto di più paternalista ci possa essere, una finta ammissione di sconfitta che evidenzia ancora più quanto Shiv e gli altri fratelli siano trattati ancora come dei bambini.
Per Roman, invece, sembrava davvero essere l’anno buono, almeno finché non ha mandato una dick pic al padre nel cuore di Milano, in uno dei momenti più esilaranti della serie, rivelando la sua natura a una padre che in più di trent’anni non si è mai accorto – o interessato – di chi fossero davvero i suoi figli. Nonostante la preziosissima guida di Gerri, non è riuscito a capitalizzare le numerose opportunità createsi anche grazie al suo intuito e alla sua bravura, finendo col sabotarsi come hanno sempre fatto Kendall e Shiv. Per un breve periodo è davvero sembrato che potesse essere lui il “prescelto”, ma forse sarebbe bastato guardare a Connor dall’inizio per capire che, alla fine, Logan non aveva nessuna intenzione di cedere il suo trono a loro. Il fratello più grande, in una logica puramente monarchica, avrebbe per anzianità il diritto di ottenere la carica (“I’m the eldest son!”), ma in realtà non è mai stato minimamente considerato.
Logan naviga abilmente il rapporto con i figli, dando loro prima un piccolo assaggio di affetto per poi condirlo con litri di odio. In loro vede dei bambini viziati e privilegiati che non hanno mai fatto nulla per meritarsi la ricchezza in cui navigano, e da questo punto di vista la scelta di accettare la proposta di Matsson sembra quasi indicare che in lui abbia trovato una mente affine e, soprattutto, un “ragazzo” che ha costruito il suo impero con le sue mani, esattamente qualcosa che Kendall e gli altri non hanno mai fatto. Logan rappresenta alla perfezione l’1% dell’1%, quel gruppo di ricchi e potenti che controllano il mondo, in maniera estremamente discutibile, con metodi dettati più dall’orgoglio che dalla logica; nonostante dei passi falsi o delle reali accuse che potrebbero metterli in ginocchio, alla fine per loro le cose non cambiano mai, e tutti quelli che ruotano attorno a loro ne sono inevitabilmente vittime.
Succession è una serie cinica su un gruppo di persone profondamente odiose: non appena ci affezioniamo a uno dei protagonisti, gli autori ci ricordano quanto viscidi e spregevoli siano davvero. Eppure, in tutto questo, c’è spazio per una delle scene più toccanti della serie, cioè il momento in cui Kendall, seduto sul terreno polveroso della toscana, confessa a Shiv e Roman quello che ha fatto alla fine della prima stagione e di come la morte di quel ragazzo lo abbia intrappolato emotivamente per tutto questo tempo. La grandezza dello show sta anche nella reazione quasi imbarazzata di Shiv e Roman che non hanno assolutamente idea di come reagire in maniera umana di fronte al fratello che si dimostra così vulnerabile per la prima volta. Roman, per esempio, attua l’unica tattica a sua disposizione, ovvero metterla sul ridere. Quello che però nasce da questo momento è qualcosa che per lungo tempo i fan della serie hanno atteso: i tre fratelli uniti contro il padre. Sembra l’inizio di uno scontro finale epico, di una battaglia generazionale in cui i più giovani, che per così tanto tempo hanno subito la malvagità del perfido Logan Roy, hanno finalmente trovato la forza di compiere il tanto desiderato colpo di stato.
Eppure, come ormai sappiamo da diverse puntate, Succession non fa mai nulla di prevedibile, e, per quanto esaltante sia vedere Kendall, Shiv, e Roman uniti, il loro colpo di genio arriva inevitabilmente troppo tardi. Logan è sempre un passo avanti, e, in una scena in cui come mai prima d’ora i tre figli appaiono come dei veri e propri bambini alla mercé di un padre imbestialito per l’ennesimo capriccio, avviene qualcosa che apre le porte a una quarta stagione dall’enorme potenziale, in cui tutte le carte in tavola vengono completamente scombussolate e fare ogni tipo di previsione diventa impossibile. Kendall e gli altri sono finalmente liberi di fare quello che vogliono, ma questa possibilità arriva come una condanna, anche grazie all’operato di Caroline, candidata numero uno per il premio “peggior madre dell’anno”. I tre fratelli sono fuori da giochi, in castigo, puniti severamente dai loro genitori, e ora sarà interessante vedere come reagiranno di fronte a questa possibilità.
Oltre a Logan, chi esce a testa alta da questa stagione è l’inseparabile duo Tom-Greg. Il primo, coinvolto in uno dei matrimoni più tristi mai visti sul piccolo schermo, benché spesso preso di mira dai fratelli Roy (in primis da Shiv), a testa bassa è riuscito a entrare nelle grazie di Logan, e dopo mesi passati su blog carcerari e a provare il cibo nei diner, Tom diventa protagonista di uno dei tradimenti più taglienti di Succession, in una scena che gli è valsa l’appellativo di “Tomfather” – complice anche la scelta registica di inquadrarlo dalla porta proprio come nei momenti conclusivi del primo film de Il Padrino – e che chiude in maniera perfetta la stagione. Greg, invece, tra una rivalità con Greenpeace e l’essere a un solo disastro aereo dal diventare il re di Lussemburgo, si è sempre più avvicinato allo stile e alla cinismo che contraddistinguono gli altri, passando dall’essere quel ragazzo che si fumava uno spinello in macchina nel pilot, a qualcuno che, in quanto vice di Tom, è ora in una posizione di potere superiore a quella dei fratelli Roy.
La terza stagione di Succession conferma come al momento non ci sia una serie in grado di rivaleggiare con questo capolavoro HBO: dalla regia all’incredibile cast (Jeremy Strong ha ipotecato un altro Emmy), fino alla brillante e impeccabile scrittura degli autori, ogni tassello si inserisce alla perfezione in questo mosaico produttivo. Nell’attesa che arrivi la già confermata quarta stagione – sperando che passino meno di due mani – non ci resta che gioire di fronte alla possibilità di avere una serie così unica a farci compagnia.
Voto: 10
“Succession è una serie cinica su un gruppo di persone profondamente odiose”: definizione semplicemente perfetta, Ivan.
Terza stagione strepitosa: avvio, secondo me, più lento del solito e un crescendo costante fino ai botti dei tre episodi finali. Anche io trovo incredibile il magnetismo di questo Dallas 3.0 dove non ci sono personaggi amabili e temi altrettanto interessanti, però la scrittura, la regia e le interpretazioni rendono questo family drama fra le serie più belle degli ultimi anni.