Tratta dall’omonimo romanzo di Sarah VaughanAnatomy of a Scandal è la nuova miniserie drama targata Netflix, disponibile dal 15 aprile: sviluppata da David E. Kelley (creatore di The Undoing e Nine Perfect Strangers) e Melissa James Gibson, con i suoi 6 episodi di circa 45 minuti propone la narrazione di uno scandalo sessuale inserito nel contesto della classe politica britannica. La spinosa vicenda raccontata dallo show vede come protagonista il ministro James Whitehouse (Rupert Friend) e la sua famiglia: la moglie Sophie, e i due figli piccoli.
L’esordio vede sgretolarsi la reputazione del ministro Whitehouse: James non è il politico, il marito e il padre di famiglia perfetto che si credeva. La prima pietra dello scandalo è la relazione extraconiugale con Olivia Lytton, a cui si aggiunge l’accusa di stupro mossa dalla giovane collaboratrice, a cui a sua volta si somma un’altra accusa, sempre di stupro, ai danni di una compagna di college, Holly Berry.
Sin dai primi minuti si notano diverse somiglianze con The Undoing, serie con cui Anatomy of a Scandal condivide non solo il creatore; infatti oltre ai temi trattati – il tradimento, il colpevole all’apparenza insospettabile, il rapporto tra marito e moglie malato e destinato a rompersi -, anche lo stile con cui viene condotta la narrazione è analogo: la lentezza, la focalizzazione sui dettagli, il proporsi di scene povere di dialoghi ma molto emblematiche, e lo schema che svela poco a poco i particolari dell’intricata vicenda, portando a un costante dubbio nella corretta interpretazione di ogni nuovo elemento.
Anche se è chiara quasi da subito la poca genuinità del personaggio principale – James Whitehouse ha un carattere forte e determinato e appare sin troppo tranquillo in relazione al fiume di eventi che lo travolge -, nonostante appaia falso e opportunista soprattutto nei confronti della moglie, si creano una serie di scenari per cui non si riesce a identificarlo immediatamente come colpevole al 100%. Accanto al protagonista, poi, la storia si snoda attraverso altre due figure centrali: Kate e Sophie.
Kate Woodcroft (Michelle Dockery, Downton Abbey ) avvocato dell’accusa nel processo Whitehouse, è una donna all’apparenza indipendente, determinata e sicura, che ben presto svela una natura dubbiosa e piena di drammi esistenziali. Già nel corso delle prime puntate si nota un certo dualismo, che viene svelato con certezza nel quarto episodio, in cui scopriamo finalmente quello che già poteva essersi intuito da diversi dettagli e passaggi della storia: Kate è in realtà Holly Berry, compagna di studi di Sophie, stuprata da James al college. Kate serba un rancore smisurato verso l’uomo, ma lo tiene a bada un po’ per la sua posizione e un po’ per l’identità ignota, che le consente – anche se contro le disposizioni di legge – di processare il suo stupratore, alla ricerca di una vendetta lenta quanto ben studiata.
Anche la moglie di James, Sophie (Sienna Miller), riesce a catalizzare l’attenzione: è all’apparenza succube del marito e agisce in modo estremamente controllato, cercando di proteggere l’immagine della sua famiglia e la vita serena dei figli. Ma oltre alla particolare caratterizzazione, il personaggio riesce a proiettare il pubblico in una dimensione di incertezza e costante tensione. Noi spettatori conosciamo quello che via via apprende, percorrendo con lei il processo e l’intera vicenda, e condividendone i dubbi: Sophie è una moglie sempre più distrutta, incerta e soprattutto travolta dallo scandalo del marito, che in breve tempo le sfugge dalle mani. La donna tenta di apprendere la verità in modo costante, ma proprio come lei fino agli ultimi episodi lo spettatore non ha un quadro completo, e non sa davvero se James sia solo travolto da una congiura contro di lui (con scopo politico, magari) o se sia realmente colpevole; sebbene molti elementi portino a pensare che sì, il ministro era ed è un mostro senza scrupoli, alla ricerca di un tornaconto esclusivo che lo porta a una costante manipolazione della realtà a suo favore, altri elementi ci portano a scagionarlo o a non reputarlo un personaggio totalmente negativo. Vediamo sempre più punti di vista e più sfaccettature delle storie che coinvolgono Olivia – James, e Holly – James. È davvero sempre stato un uomo brutale guidato dal suo interesse e dai suoi fini egoistici? O il suo impeto e la sua passione l’hanno portato a essere frainteso, leggendo segnali come desiderio e non come opposizione? A complicare le cose c’è il fatto che sia Olivia che Holly fossero innamorate di lui. Solo negli ultimi episodi si chiarisce davvero come l’educazione e la posizione sociale privilegiata l’abbiano portato a pensare di poterla fare sempre franca, in ogni occasione, e fare quanto necessario per ottenere i suoi scopi.
Solo Sophie riesce davvero a comprendere la sua natura e unire tutti i tasselli, quando capisce che Holly e Kate sono la stessa persona. Una scoperta che la fa sentire così presa in giro da James, schiacciata e travolta dagli eventi, che le dà lo slancio necessario a sottrargli l’appoggio incondizionato che fino a quel momento gli aveva concesso. Solo la moglie riesce a togliere a Whitehouse quel diritto che pensava di avere su tutto e tutti, e lo fa decidendo non solo di lasciarlo ma anche di incastrarlo, riprendendo in mano la propria vita e quella dei figli.
Vediamo così emergere il tema dell’autodeterminazione femminile, di cui sia Sophie che Kate/Holly incarnano sfaccettature ben precise. Se la prima è impegnata nella lotta per sé e per la propria famiglia, l’altra ne conduce una più egoistica, ma entrambe sono guidate da un desiderio di riscatto e di controllo totale della vita che desiderano vivere, e l’epilogo è lieto, nonostante le difficoltà interne ed esterne con cui le due donne si trovano a fare i conti.
Particolarmente caratteristica dello show è anche la riproposizione di scene di smarrimento dei protagonisti, che vengono trascinati da momenti di riflessione solitari che li catapultano in una dimensione inconscia, escamotage utilizzato soprattutto per esprimere a pieno le emozioni vissute dai personaggi: ne è un esempio la scena in cui Sophie precipita nel vuoto alla fine della seconda puntata, che mostra alla perfezione il crollo emotivo della donna.
Altro elemento che caratterizza Anatomy of a Scandal è l’uso dei flashback, che consentono di scoprire a poco a poco i 3 interpreti principali. Il rapporto tra Sophie e Holly/Kate viene mostrato soprattutto attraverso il passato, che le vede più compagne di studi che amiche, coinvolte in un rapporto basato sugli interessi opportunistici di Sophie. Un motivo in più che la spinge a voler rimediare al suo errore, aiutando Kate ad ottenere vendetta, anche se differente da quella prefigurata.
Ma i flashback consentono anche di approfondire il protagonista e la sua natura meschina ed egoista, il lusso dell’agio derivato dal ceto sociale, l’appartenenza alla confraternita e gli atti scorretti compiuti per coprire se stesso e l’amico, il Primo Ministro, che spiegano il rapporto di “amicizia” così stretto che li lega, basato su una logica guidata dall’occultamento di fatti spiacevoli e scorretti con soldi e potere, una logica conosciuta dalle persone privilegiate che pensano di poterla sempre scampare, come il ministro insegna ai suoi stessi figli: “I Whitehouse alla fine trionfano sempre”. O quasi.
Interessante, quindi, anche la trattazione del rapporto potere – scandalo. La dimensione politica e il rapporto opportunistico tra Whitehouse e il Primo Ministro vengono trattati con un grado di dettaglio che poteva essere approfondito ulteriormente, ma comunque costruttivo per la storia. Il ruolo del direttore della comunicazione, Chris Clarke, dà l’occasione di mostrare alcune delle strategie comunicative adottate da esponenti politici di rilievo, modalità studiate ad hoc per passarla quanto più liscia possibile, mostrando l’artificio dietro un sistema di per sé corrotto e costruito.
Gli episodi raccontano dunque la storia passo a passo, aggiungendo particolari che rendono il quadro via via più chiaro con il passare degli episodi, e rendendo così perfettamente l’idea di “anatomia” dello scandalo, un processo lento e meticoloso che permette di studiare e comprendere a fondo le componenti della vicenda. Anche se la dovizia con cui viene trattato lo scandalo porta a un’apparente dichiarazione di innocenza del protagonista, la seconda metà dell’ultima puntata ribalta l’esito finale del processo, riuscendo a portare un trionfo del “bene” o almeno tentando di invertire la rotta, lasciando così una sorta di morale: il processo e il giudizio altrui potranno anche condurre a un dato epilogo, ma la vita vera è un’altra storia, ogni variabile può condizionare il futuro perché tutto quello che facciamo ha un impatto sul nostro avvenire.
In conclusione la miniserie ci regala una prospettiva rinnovata: dopo aver mostrato un mondo fatto di differenze e di privilegi, ci insegna come la rivincita possa sempre essere possibile, pur credendo nelle proprie capacità e impegnandosi a fondo per ottenerla. Un lieto fine per tutti, anche per la miniserie, che per la scelta dei temi e la modalità con cui questi vengono trattati si qualifica come un buon prodotto; per quanto la visione possa risultare impegnativa se paragonata ad altri show dall’impronta scandalistica, con uno sguardo meno superficiale si può riconoscere come proprio questo elemento rappresenti il maggiore punto di forza di Anatomy of a Scandal.
Voto: 7+