Dopo il successo della prima stagione – che ha registrato ben 82 milioni di visualizzazioni dopo soli 28 giorni dal suo debutto – Bridgerton ritorna su Netflix con il secondo capitolo dello show, uscito il 25 marzo con otto puntate da circa un’ora ciascuna. La serie – creata da Chris Van Dusen, e prodotta da Shonda Rhimes – è ambientata a Londra durante l’era della Reggenza inglese, e propone una rappresentazione in chiave scandalistica dell’alta società.
La seconda stagione ritorna con i membri della famiglia Bridgerton, protagonisti indiscussi che oltre a dare il nome allo show ne rappresentano il nucleo della narrazione. La particolarità della serie – direttamente derivante dai romanzi bestseller di Julia Quinn da cui è tratta – è che i Bridgerton sono tutti equamente protagonisti, ma non lo sono contemporaneamente: ogni stagione infatti si focalizza su un unico personaggio. Per ognuno di loro si va dunque a costruire una storyline ben definita che si intreccia certamente con le altre, ma senza distaccarsi dal suo obiettivo primario. Anche se tutti i fratelli vengono presentati, caratterizzati e fanno la loro comparsa durante tutti gli episodi o quasi – ad eccezione di Francesca che appare di rado a causa di impegni in altre produzioni dell’attrice che la interpreta, e con un minor spazio dedicato ai più piccoli – è soltanto il protagonista della stagione ad essere l’assoluto centro della trama. L’unica anomalia in questo senso è rappresentata da Eloise (Claudia Jessie), sempre presente in misura maggiore rispetto agli altri, con una storia dalle radici già più che solide e con uno sviluppo del personaggio consistente in corso sin dal primissimo episodio. Escludendo Eloise, il racconto di ogni personaggio e la sua evoluzione iniziano e si concludono all’interno delle puntate dedicate, o almeno così ci dimostrano le prime due tranche. Infatti, dopo un primo blocco incentrato sulla figura di Daphne (dal romanzo “The Duke and I”), il focus di questa seconda tornata di episodi si sposta su Anthony (Jonathan Bailey), primogenito Bridgerton e oggetto della narrazione del secondo volume della saga, “The Viscount who loved me”.
Bridgerton 2 vede dunque il suo centro in Anthony e nella ricerca della sua futura moglie. Il Visconte parte dell’assunto opposto a quello che guidava Daphne: voler trovare una moglie perfetta, incrociando una sequenza di caratteristiche desiderate, un criterio ben più pragmatico rispetto al sogno del vero amore della sorella. Così, trovandosi nella posizione di scapolo più ambito dell’alta società, con l’inizio della nuova “stagione” Anthony pensa che conquistare il “Diamante della Regina” rappresenti la soluzione ideale per concludere facilmente il suo affare.
Una scelta ovvia, non fosse che il titolo di Diamante viene conferito a Edwina Sharma (Charithra Chandran), la cui sorella maggiore Kate (Simone Ashley, Sex Education) si pone sin da subito come ostacolo all’unione tra i due. Le sorelle Sharma si integrano bene con la cornice londinese: se Edwina però risulta essere un personaggio un po’ piatto – fatta eccezione per le ultime puntate – Kate è decisamente più singolare: indipendente e decisa, ma comunque all’altezza dell’alta società. Le potenzialità della sua figura erano ampie e di fatto il suo non scendere a compromessi l’ha resa apprezzabile, salvo poi concludere con lo scontato matrimonio con Anthony. In ogni caso è da elogiare la capacità di mettere in scena una chimica così forte e unica tra i due amanti, merito da attribuire in gran parte agli attori, anche se il loro odio-amore ricorda fin troppo quello tra Daphne e il Duca di Hastings (grande assente della seconda stagione).
Comunque, il plauso più grande di Bridgerton 2 (plauso che vale anche per il primo atto) va all’estetica: costumi elegantissimi quanto stravaganti, trucco e parrucco impeccabili, ambienti sfarzosi e curati nei minimi dettagli. I temi trattati invece non spiccano per originalità, infatti anche in questa stagione fanno da padrone quelli già proposti nella precedente: amore/famiglia, indipendenza femminile e dimensione scandalistica. Se amore e famiglia sono protagonisti tanto quanto fanno da cornice a tutte le vicende, e l’indipendenza femminile è portata avanti solo attraverso alcune figure, la tematica dello scandalo è perennemente presente e muove le sorti dell’intera società. Fa riflettere il fatto che una ragazza all’apparenza invisibile e insignificante sia in grado di muovere e manipolare chiunque a suo piacimento, con il solo uso della scrittura.
Accanto alla famiglia protagonista infatti troviamo Lady Whistledown/Penelope (Nicola Coughlan) voce narrante nonché autrice delle cronache scandalistiche che muovono i fili dell’alta società. In particolare si assiste a un accanimento mai visto verso i Bridgerton: non solo il matrimonio saltato, ma anche per lo scandalo che travolge Eloise, riportato da Penelope nel tentativo di “risolvere” la caduta in rovina della famiglia dell’amica, minacciata direttamente dalla Regina in quanto sospettata di essere Lady Whistledown. Escamotage a dir poco infelice, che rovina l’amicizia tra le due ragazze quando Eloise riesce a mettere insieme tutti i tasselli e scopre l’identità della scrittrice, apprendendo di conseguenza anche il tradimento dell’amica.
Emerge con più forza rispetto alla prima stagione il tema dell’indipendenza della donna, trattato attraverso figure come Lady Whistledown e la modista Madame Delacroix, donne d’affari che creano un’inattesa alleanza. Ma anche Eloise e Kate dimostrano una straripante volontà di emergere in una società fin troppo improntata sulla perfezione e sui pettegolezzi, fondata sull’apparenza, sulla felicità evanescente, sullo sfarzo e sul compiacimento altrui.
Legato al tema famiglia/amore, oltre a una valanga di concetti banali e già visti, è interessante il tentativo di approfondire la perdita di Edmund (Visconte Bridgerton, marito di Violet) e di quanto questo avvenimento abbia comportato in particolare per Violet e Anthony. Caricati di responsabilità e colpiti da un immenso vuoto lasciato nelle rispettive vite, la figura di Edmund riesce a trovare uno spazio corretto per essere raccontata, sbloccando alcuni passaggi fondamentali della storia e aiutando soprattutto a comprendere il carattere duro e pragmatico del protagonista.
Nel complesso se la prima stagione svolgeva il ruolo di lancio del prodotto, la seconda si assesta improntandosi su un contenuto più consistente, ma purtroppo strutturato in gran parte in un modo già visto e ripetuto. Il riproporsi di dinamiche già affrontate in precedenza può essere accettato, a patto che questo non si protragga all’infinito all’interno della serie. Genera perplessità soprattutto il fatto che il progetto globale di Bridgerton sia quello di realizzare un “atto” per ogni membro della famiglia protagonista, per un totale di otto (anche se al momento lo show è stato confermato fino al quarto). Se da un lato questo elemento rappresenta un plus, perché ogni storia è tenuta ben racchiusa all’interno dei suoi episodi e ha un filo ben delineato, dall’altro si rischia un’eccessiva ridondanza: serviranno un’aria rinnovata e personaggi sempre più appassionanti e complessi per mantenere attivo l’interesse del pubblico. Ad esempio sarebbe stimolante se la conclusione di ogni vicenda non fosse sempre e a prescindere un lieto fine amoroso, come quello proposto per Daphne-Simon e Anthony-Kate. Per entrambe le coppie si ripresenta uno schema pressochè identico: un inizio distante che a piccoli passi si trasforma in amore, salvo poi un punto di rottura in apparenza irreparabile che si trasforma in un “e vissero felici e contenti” definitivo. Questo non basta più, almeno non basta per mantenere alto il successo di un prodotto come Bridgerton, destinato a durare a lungo. Solo il tempo potrà svelare le sorti della serie, ma si auspica che per le prossime stagioni avvenga un cambio di passo consistente che spezzi la monotonia, ad esempio puntando su una trattazione di temi più appealing, e scongiurando la caduta di un prodotto dal buon potenziale.
Voto: 7-