Slow Horses – Stagione 1


Slow Horses - Stagione 1La storia dell’underdog è molto amata e usata nella fiction; per quanto rischi di essere ripetitiva, c’è sempre un qualcosa di catartico nel vedere il successo di chi in genere fallisce, soprattutto a spese di chi lo scherniva e si è dimostrato incapace. Queste vittorie possono avere un sapore agrodolce, non riuscire a scalfire lo status quo, ma lo spettatore non abbandona quel senso di rivalsa che questi racconti portano con sé.

La sigla “Strange Game” composta da Mick Jagger per Slow Horses, canta proprio di questo tema e le parole del testo rappresentano i personaggi principali di questo spy thriller in salsa british. Fedele al suo nome, questo show si prende il suo tempo nell’andare per la sua strada, un po’ come sembra fare uno dei protagonisti, Jackson Lamb, interpretato da un burbero Gary Oldman; o almeno così è visto dal suo tormentato sottoposto River Cartwright, (Jack Lowden del film Dunkirk) o dall’austera superiore Diana Taverner (Kristin Ann Scott Thomas, già apparsa in Fleabag).

Slow Horses fa parte delle tante serie le cui riprese sono state prolungate a causa della pandemia: già nel 2019 infatti Apple aveva dato il via libera all’adattamento dei primi due romanzi della serie Slough House del romanziere britannico Mick Herron. La prima partita di episodi copre il primo romanzo omonimo, mentre il secondo, Dead Lions, sarà materiale della seconda stagione – che vedrà sempre alla regia James Hawes, già dietro la cinepresa per alcuni episodi di Doctor Who. Hawes ha dimostrato di saper rendere alla perfezione le atmosfere cupe di una serie che per scelta non mostra mai un cielo sereno, ma che spesso si svolge la notte, la sera o sotto un cielo plumbeo: una scelta di regia davvero azzeccata per la storia di una divisione di reietti che i servizi segreti non vogliono mostrare alla luce del sole e per tratteggiare un insidioso grigiore nella figura di Lamb stesso, il primo a non desiderare alcuna luce gettata né sulla sua carriera né sul suo passato.

Slow Horses - Stagione 1La trama si avvicenda su tre filoni principali: i dogs di Taverner, gli horses di Lamb e i Sons of Albion: tutti questi convergono quando il giovane Hassan viene rapito, ma con lo svilupparsi della storia scopriamo come il rapimento, ovviamente, è solo la punta dell’iceberg.
Un pregio di Slow Horses è l’ottima gestione della sua spy story: ogni nuovo episodio mostra un nuovo strato dell’abisso coperto dai servizi segreti britannici e che siano proprio gli underdog della Slough House a strigare la matassa è una scelta prevedibile, ma senza dubbio coinvolgente. La costruzione di una vicenda così articolata si traduce in due episodi iniziali dal ritmo lento, che introducono nel dettaglio le forze in campo; in “Failure’s Contagious” la banda si presenta e abbiamo chiaro come Slough House sia come una prigione per gli agenti che hanno sgarrato, mentre in “Work Drinks” si sviluppano maggiormente i rapporti fra loro. Il rapimento rimane sullo sfondo almeno fino alla terza puntata dove i ‘cavalli lenti’, finalmente, accelerano. C’è una certa inconcludenza anche nei colpi di scena che si susseguono da “Bad Tradecraft” in poi, ma la trama di per sé, per quanto lenta è davvero godibile: le succitate atmosfere sanno catturare quel senso di ineluttabilità che pende sul capo dei protagonisti, come se una eminenza grigia tirasse sempre le fila per mettere il mondo contro di loro.

I dogs e gli horses dovrebbero stare dalla stessa parte, ma è interessante vedere come agiscano in maniera del tutto diversa. Gli agenti dell’MI5 seguono pedissequamente gli ordini di Taverner come fossero automi dall’aspetto temibile, avvolti nel loro equipaggiamento all’avanguardia. Questi professionisti dei servizi segreti però non riescono a tenere il passo con i ragazzi e le ragazze di Lamb: dalla tuttofare Standish all’hacker Roddy Ho, il gruppo di underdogs riesce sempre ad essere dieci passi avanti e nel finale di “Follies”, quando il suprematista bianco viene catturato da River e Hassan, sono Lamb e i suoi che lo proteggono, e non per una qualche ritrovata pietà. Taverner, infatti, vuole eliminare le tracce dei legami fra l’MI5, i partiti di destra e i Sons of Albion, legami che in un processo verrebbero sicuramente a galla. Sono sottigliezze, ma sono importanti in un thriller che si rispetti e ben venga un ritmo più lento, se la storia porta ad analizzare al meglio queste situazioni ambigue.

Slow Horses - Stagione 1Nel suo insieme Slow Horses convince, ma c’è da farsi qualche domanda riguardo i personaggi, fra pregi notevoli e qualche difetto. Partendo dal lato comico della serie, questo emerge anche grazie al contributo di Will Smith – lo stand-up comedian britannico, non l’attore americano omonimo – che aveva già collaborato alla scrittura di show come Veep e che qui è sceneggiatore di quasi tutti gli episodi. L’umorismo esce fuori soprattutto dai rapporti interpersonali: Lamb è caustico con i suoi horses; Cartwright intrattiene con l’agente Spider una rivalità espressa con frecciatine su vecchi rancori, o ancora il rapporto che nasce fra Louisa Guy e Min Harper dall’evitare il povero collega Struan Loy (il Paul Higgins di Utopia) e che si sviluppa in maniera molto naturale, soprattutto nelle difficoltà affrontate dai personaggi. Questo è un modo molto elegante per far emergere sia il lato più comico, ma anche l’umanità dei protagonisti. Purtroppo, forse per attinenza al materiale d’origine, possiamo notare alcune superficialità: Sid, per esempio, è un personaggio interessante, ma ha rischiato di essere vittima del temuto tropo del fridging – quella tecnica narrativa in cui un personaggio subisce traumi o addirittura muore al solo fine di causare una reazione in un altro per esigenze di trama – per motivare Cartwright nel cercare la verità sull’MI5, anche se c’è da sperare in un suo futuro ritorno. Purtroppo, sebbene l’umanità dei personaggi sia ben in risalto, ancora è troppo presto per parlare di vere e proprie evoluzioni caratteriali alla fine della stagione: la maggior parte di loro è praticamente all’inizio della propria storia e per loro ci sono ben pochi passi avanti; un esempio è Catherine Standish (Saskia Reeves, Collateral), che passa l’intera stagione a chiedere cosa sia accaduto al marito, senza ricevere risposta.

La caratterizzazione degli antagonisti è altrettanto divisa tra pregi e sbavature. Diana Taverner, per esempio, è ritratta seguendo qualche stereotipo difficile da mandare giù, oltre che essere inserita in una sottotrama a tratti ripetitiva; il suo ruolo è però perfettamente in linea con quanto ci si aspetta da una direttrice dei servizi segreti che segue i suoi obiettivi nella maniera più efficiente possibile, costi quel che costi. Di certo è un personaggio che avrebbe meritato più profondità, ma nel tirare le fila da dietro le quinte funge da ponte fra ciò che le narrazioni mediatiche – nella serie – mostrano e l’intelligente modo con cui Slow Horses ritrae i suprematisti bianchi, qui chiamati Sons of Albion.

I rapitori, se tolto l’infiltrato Alan Black, mostrano tre diversi volti di un solo problema e nonostante Curly, Larry e Zeppo siano profondamente diversi, sono accomunati dalla paura e dall’ignoranza. L’ignoranza si concretizza nei loro discorsi, nell’incapacità di leggersi l’uno con l’altro, e diventa lampante e simbolica nell’ultimo episodio: Curly vuole un palco dove sacrificare alla patria Hassan e sceglie delle rovine create ad hoc qualche secolo prima, credendole erroneamente un antico castello. Quando viene messo di fronte all’ignoranza riguardo la storia del suo stesso paese, reagisce con la violenza come ogni reazionario che (non) si rispetti.
Slow Horses - Stagione 1La paura è il collante che li tiene a malapena uniti negli ultimi tre episodi ed è la paura della pistola, fragile simbolo di potere, a stabilire chi comanda fra i tre, passando di mano da Curley a Zeppo, poi di nuovo al ragazzo, che giustizia a sangue freddo quello che sarebbe dovuto essere un compagno d’armi. Non è un caso, poi, che il più insensibile e al contempo il più violento sia il più giovane. Anche loro rimangono un’affascinante incognita; è chiaro come siano solo pedine di un gioco più grande che il politico Peter Judd (Samuel West, Jonathan Strange & Mr. Norrell) sta giocando, mentre l’MI5 si tappa il naso; ci saranno da vedere i possibili sviluppi nella seconda stagione, di cui il teaser è già stato diffuso.

In definitiva, Slow Horses è una serie peculiare, diversa dei soliti spy thriller, pur condividendone gli stilemi e le scelte narrative. Di certo, lo show Apple ha bisogno di un po’ di episodi per ingranare, ma una volta preso il ritmo della sua storia questa prima stagione risulta interessante e coinvolgente, in grado di far suscitare qualche risata nonostante le atmosfere cupe e anche qualche riflessione sul nostro mondo.

Voto: 7½

 

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