La nuova opening di House of the Dragon introduce il secondo episodio della serie unendo vecchio e nuovo: la conosciuta main theme di Game of Thrones, infatti, accompagna la panoramica su di una Valyria vuota, per le cui vie di pietra scorre il sangue di drago come nelle vene dei re e delle regine dei Targaryen.
Questo fiume rosso ha come fonte la conquista del continente da parte di Aegon e delle sue sorelle per poi diramarsi nell’albero genealogico della grande casata dei draghi, attraversando le raffigurazioni araldiche dei componenti della famiglia reale e affondando i simboli di chi non è più in vita. La nuova intro non è solo ben fatta, ma ha forti corrispondenze con i temi portanti del prequel, come i problemi di successione e lo scontro generazionale intestino ai Targaryen, per non parlare della lotta di genere che queste tenzoni portano naturalmente con sé. Il primo episodio ha già ottimamente introdotto queste tematiche con scene molto forti, come il parto della regina Aemma alternato alla brutalità della giostra dei cavalieri dei Sette Regni: scene così forti richiedono però un degno seguito, perché non si scada nella violenza gratuita.
House of the Dragon è parte del mondo di Game of Thrones, ma un suo pregio è non dovere mai troppo al suo predecessore. Lo show di Benioff e Weiss è stata la trasposizione di una saga letteraria figlia del suo tempo con un pilot uscito più di un decennio fa, in un momento in cui il fantasy non era esattamente il genere di punta del piccolo schermo; da lì al 2019, la serie tratta dai libri di Martin ha attraversato molti mutamenti sociali e culturali, nonché visto un radicale cambiamento nel nostro modo di concepire la serialità. Non sempre Game of Thrones e i suoi showrunner sono rimasti al passo coi tempi e le ultime stagioni sono inciampate negli stessi cliché in cui cadono le opere più derivative da questo grande fenomeno culturale; House of the Dragon ha dunque un’eredità pesante, ma nel proseguire degli episodi è sempre più chiaro come i nuovi creatori e creatrici stiano costruendo qualcosa di diverso, con questo prequel.
Due secoli prima della ribellione dei Baratheon, il regno dei Targaryen ci offre lo spaccato di un’ambientazione sempre lontana da un ideale cavalleresco e incontriamo i sovrani dell’antica casata del drago rosso sull’orlo del declino, una volta lasciato alle spalle un passato glorioso quanto pieno di ombre. In “The Rogue Prince”, Re Vyseris racconta ad Alicent Hightower con trasporto dell’antica Valyria come un luogo ideale, ma glissa presto sull’Anogrion, un edificio dove i maghi del sangue conducevano raccapriccianti e disumani esperimenti con il benestare dei signori della Libera Fortezza; i draghi sono un simbolo dello splendore di quel passato, così come un memento delle sue barbarie. Questa attenzione divisa fra un’era di Westeros più vicina al fantastico e un presente radicato in scenari più realistici è un pregio proprio di House of the Dragon, che si distanzia ancora di più dal suo ‘sequel’ e rivendica l’appartenenza al mondo di Martin, pur reggendosi benissimo da sé. Il cuore di questi due episodi sono ancora le dinamiche fra i personaggi, raccontate attraverso dialoghi che giocano una parte importante nel caratterizzarli che, sebbene alle volte rischiano di essere ripetitivi, quando fanno centro avvicinano molto gli spettatori alle vicende rappresentate.
Il preludio dell’attesissima Danza dei Draghi è già una danza di potere, che continua dall’ottima introduzione vista in “The Heirs of the Dragon”, lasciando sullo sfondo qualche nuovo personaggio per concentrarsi sui protagonisti. Rhaenyra, per esempio, deve proteggere lo stato di erede al trono prima dallo zio e poi dagli intrighi del Concilio Ristretto, che le portano via Alicent, la sua migliore amica; la principessa è descritta come una donna capace e risoluta, tutt’altro che una sprovveduta. Le scene che la vedono protagonista nel secondo episodio sono fra le migliori finora, per come sviluppano il suo rapporto con la corte e con Daemon: l’emozionante confronto con lo zio sul ponte di Dragonstone è un esatto parallelo con la scena nella sala del trono del primo episodio.
Il faccia a faccia coinvolge di nuovo un oggetto di potere (l’uovo di drago come il ciondolo di acciaio di Valyria) e Daemon, il principe canaglia, rimane l’unico a trattare con il rispetto dovuto Rhaenyra, che in una dimostrazione di forza tutta sua si presenta come signora di Dragonstone e non solo come principessa. Alla fine, è lei a domare lo zio, farsi riconsegnare l’uovo e volare via sul suo drago lasciando a piedi e senza parole Otto Hightower, il più sprezzante verso di lei fra i membri del Concilio Ristretto. Il rapporto con gli altri personaggi femminili è appena accennato, però mostra spunti che promettono di svilupparsi nei futuri episodi: l’amicizia spezzata con la titubante Alicent Hightower, ma anche il monito di Rhaenys, la quale vede sé stessa in Rhaenyra, benché la principessa sia convinta che avrà successo dove la Regina che Mai Fu ha fallito.
La bellissima scena sul ponte racconta anche la vulnerabilità del possente e riottoso Daemon Targaryen, un uomo alla costante ricerca del suo posto nel mondo, diviso fra l’affetto verso la sua famiglia e l’indomita eredità che gli scorre nelle vene. Nascere secondogeniti è un ostacolo non da poco nel mondo di Westeros, soprattutto per uomini ambiziosi come Corlys Velaryion, patriarca della seconda casata più potente di Westeros. La lotta per sconfiggere le leggi dettate dal sangue è molto interessante e, sebbene alle volte viene relegata in secondo piano, è coinvolgente vedere Daemon, Rhaenyra e Corlys affrontare questa battaglia con tutti i rischi che si possono correre: per esempio, nello sconsiderato attacco alle forze del Crabfeeder, Craghas Drahar, un personaggio e una sottotrama che avrebbero meritato decisamente di più, vista la poco convincente uccisione di quest’ultimo offscreen, al termine del terzo episodio.
La buona riuscita nell’intreccio fra ambientazione e personaggi è la carta vincente del nuovo prodotto HBO ed è proprio Vyseris una delle figure più interessanti finora. Il Re dei Sette Regni è il centro delle attenzioni di tutti i personaggi, dal desiderio di impressionarlo di figlia e fratello al tentativo di scalata al potere delle casate Velaryon e Hightower. Il sovrano è una figura tragica; non sa decidere se comportarsi da uomo o da re e nella sua indecisione prende scelte imperdonabili, ma sa anche ammettere i suoi sbagli e non è incompetente come Daemon lo ritiene – si pensi al suo tentativo di risolvere pacificamente la crisi delle Stepstones. La pelle che avvizzisce è una metafora palese, ma efficace del potere che lo logora, in particolare perché quelle ferite sono inferte dal simbolo di questo potere: il trono di spade di Aegon.
Il simbolismo è marcato e importante nei due episodi, in particolare in “Second of His Name” dove il cervo bianco sopravvive ai suoi predatori; il simbolo di regalità non può essere reclamato da Vyseris, che si deve accontentare di un normale cervo bruno, e viene rifiutato da Rhaenyra, forse per rispetto del padre. Il re è chiaramente perseguitato dal pensiero del glorioso passato di un nome sempre più sbiadito, privato del suo drago e dell’erede maschio che i suoi antenati hanno avuto, ma è anche il padre fiero di Rhaenyra e della sua risolutezza, come è chiaro nello scambio a cuore aperto dopo il recupero dell’uovo di drago, uno scambio agognato tanto da padre quanto da figlia. Forse Vyseris l’uomo – non il re – è colui che sceglie Alicent come sua consorte, per come la Hightower ha dimostrato di comprenderlo più di altri, che l’abbia fatto genuinamente o per ordine del padre.
House of the Dragon mette a segno altri due episodi molto convincenti, sebbene il secondo sia di gran lunga superiore al terzo ed entrambi siano un po’ fiaccati da una narrazione che tiene un po’ il freno tirato. Ciononostante, i personaggi e la storia promettono molto bene, ritrovando e coinvolgendo un pubblico rimasto scettico dopo la debacle di qualche anno fa dell’ultima stagione della serie madre e ritrovando una brillantezza seppellita da alcuni errori, ma mai davvero perduta.
Voto 1×02: 7 ½
Voto 1×03: 7