Il 3 novembre Netflix ha rilasciato sulla sua piattaforma i dieci episodi che compongono la prima stagione di Blockbuster, una workplace comedy creata da Vanessa Ramos e ambientata nell’ultimo negozio sopravvissuto della celebre catena che dà il nome alla serie.
La premessa dello show è al tempo stesso semplice e ricca di potenziale, oltre che ispirata a una storia vera: portare sugli schermi di Netflix – tra i principali fautori del fallimento della pratica del noleggio di prodotti audiovisivi su supporto fisico – la storia del proprietario e degli impiegati dell’ultimo punto vendita Blockbuster, e delle difficoltà che incontreranno per mantenere in vita l’attività nell’era dello streaming. I possibili spunti narrativi sono quindi numerosi: dalla riflessione sul modo in cui la nostra esperienza di fruizione di film (e serie tv) sia profondamente cambiata negli ultimi anni, alle conseguenze che alcuni aspetti dello sviluppo tecnologico hanno avuto sul mondo del lavoro. Si tratta naturalmente di tematiche complesse, ma non per questo fuori dalla portata di una comedy, come ci hanno insegnato di recente prodotti come Superstore e Brooklyn Nine-Nine, che devono buona parte del loro successo proprio alla capacità di inserire nel racconto riflessioni sui temi più disparati senza perdere neanche un briciolo della loro carica comica, ma anzi arricchendola proprio tramite questo incontro.
Nonostante Vanessa Ramos abbia fatto parte della writers’ room di entrambi gli show che abbiamo citato, l’autrice non è riuscita a riprodurre questa efficace formula nel suo primo progetto da showrunner: pur essendo presenti, questi spunti non vengono infatti mai approfonditi, restando sullo sfondo per poi emergere sotto forma di battuta (come quelle furbescamente dirette alla stessa Netflix) o di monologo infarcito di luoghi comuni (ad esempio quello che fa il protagonista Timmy alla fine del pilot sull’importanza della condivisione e dei rapporti umani). Anche il cosiddetto effetto nostalgia su cui sia la serie che i personaggi sembrerebbero voler puntare non prende mai veramente sostanza: in più momenti, infatti, l’impressione è di assistere a una workplace comedy così generica, nella scrittura e nelle dinamiche, che potrebbe essere ambientata in un qualsiasi negozio americano e non proprio nell’ultimo Blockbuster.
Tutto questo non sarebbe un problema insormontabile se l’aspetto prettamente comico funzionasse alla perfezione, ma, purtroppo, anche su questo versante la serie di Ramos si rivela carente. Non solo le battute a sfondo cinematografico non sono particolarmente brillanti, ma, soprattutto, raramente riescono a integrarsi nel racconto, dando spesso l’idea di essere state infilate a forza nei dialoghi, come a ricordarci, di tanto in tanto, che la serie è ambientata in un negozio di noleggio di DVD. Lo stesso può dirsi delle gag relative alla contemporaneità, che spaziano dalla tecnologia a tematiche woke: la sensazione è che la vera anima comica della serie si trovi altrove, in una dimensione decisamente più classica e tradizionale, fatta di equivoci e battute sull’età della protagonista femminile. Spiace dirlo ma, in sostanza, si ride davvero poco.
Se è vero che il segreto della buona riuscita di una comedy sta, innanzitutto, nella scrittura dei personaggi, è proprio qui che troviamo la conferma della mancata riuscita di questo progetto, a partire dalle due figure centrali, benché siano interpretate da due attori di talento e con una vasta esperienza nel mondo della commedia. Il Timmy di Randall Park manca del tutto del carisma necessario per ricoprire il ruolo di protagonista in una comedy (pensiamo a Jake di Brooklyn Nine-Nine o a Leslie di Parks and Recreation), mentre il personaggio di Eliza, interpretato da Melissa Fumero, finisce col sembrare solo una versione più anonima della Amy di Brooklyn Nine-Nine. Di conseguenza, anche la storyline romantica che li vede protagonisti (il classico “Will they or won’t they?”) finisce con l’essere l’ennesimo buco nell’acqua, in parte per la difficoltà dello spettatore nell’affezionarsi a loro, in parte perché segue il più prevedibile dei copioni, senza che questo venga bilanciato da un briciolo di chimica tra i due attori. Anche il lavoro fatto sui co-protagonisti ha risultati alterni, nonostante l’apprezzabile tentativo di offrire a tutti un arco narrativo di crescita: se il rapporto padre-figlia tra Percy e Kayla risulta francamente dimenticabile (forse a causa del fatto che i due sono abbastanza insopportabili), il trio formato da Connie, Carlos e Hannah funziona decisamente meglio, riuscendo a regalare alcuni momenti teneramente divertenti nel corso delle puntate.
In conclusione, anche se in passato molte comedy hanno messo a frutto tutto il loro potenziale solo a partire dalla seconda stagione, è innegabile che, giunti al termine di questi primi dieci episodi, Ramos e la sua writers’ room non siano stati in grado di farci appassionare ai loro personaggi e alle loro vicende sentimentali e lavorative, complice una scrittura poco brillante che non riesce, malgrado gli evidenti sforzi, a risultare al passo coi tempi. L’impressione è di avere di fronte un prodotto mediocre, una copia sbiadita delle workplace comedy targate NBC che hanno fatto la storia più o meno recente del genere, di cui vengono pedissequamente riprodotti gli elementi fondanti ma senza che a questi vengano poi infuse un’anima e una personalità. È ancora presto per sapere se Netflix deciderà o meno di dare un’altra chance alla serie rinnovandola per una seconda stagione; quel che è certo è che al momento Blockbuster sembra destinata a fare la fine dell’omonima catena di negozi.
Voto: 5 ½