La prima stagione di The White Lotus aveva rappresentato una delle novità di maggior successo dello scorso anno. L’ironia graffiante di Mike White nei confronti dei ricchi americani alle prese con un mondo che guarda a loro con meno ammirazione e indulgenza d’un tempo permise alla serie di vincere ben dieci Emmy e di guadagnare un meritato rinnovo.
Con il passaggio da miniserie a serie antologica, quindi, il racconto si trasferisce in un altro dei resort della White Lotus, questa volta nientepopodimeno che a Taormina (anche se il racconto si estende in varie parti della Sicilia). Il cast è quasi completamente rinnovato, con la sola eccezione di Jennifer Coolidge che, in risposta al clamoroso successo ottenuto con la prima stagione, ritorna con la sua Tanya.
Ancora una volta, Mike White si presenta alla scrittura della serie con l’intenzione di creare un’opera che è difficilmente ascrivibile a un unico genere: c’è il dramma – anche questa stagione si apre con la scoperta che qualcuno morirà – ma c’è anche tanta satira. Se la prima annata aveva preso di mira il senso di superiorità degli ospiti ricchi e bianchi che affollano magnifici resort in posti ‘colonizzati’, questa volta lo sguardo si sposta di obiettivo. L’Italia, d’altra parte, non richiama un passato da colonizzato (anche se in parte vive ostaggio del proprio passato), quanto piuttosto di una bellezza ora perlopiù (e certo per gli americani) sfiorita, lasciata a disposizione dei loro soldi e desideri. Ecco, quindi, che questa ossessione per la bellezza – di cui si fanno portavoce Tanya e Quentin – evolve in un rapporto malato e persino violento con il sesso. Non c’è bisogno di molta analisi per vedere sin dai primi episodi come sia la lussuria come moneta di scambio il fulcro intorno al quale gira l’intera stagione e come tutti i personaggi si ritrovino a dover gestire il proprio rapporto con essa, sebbene in modi e declinazioni differenti.
Sono il sesso e il tradimento l’elefante nella stanza nei rapporti malati che legano i quattro amici e i due matrimoni tra Daphne, Cameron, Harper ed Ethan. Le due coppie, che sin da subito costruiscono un rapporto di concorrenza e paragone, via via che gli episodi proseguono avvelenano le loro relazioni con gelosie, segreti, e clamorose incomprensioni. Non solo la relazione tra Daphne e Cameron si rivelerà essere molto meno perfetta di quello che in apparenza sembrerebbe, ma mostra anche le ipocrisie a cui si sottopongono quelle coppie che accettano la verità solo se non viene pubblicamente rivelata. I due, che più o meno apertamente si tradiscono a vicenda, diventano però lo specchio di quello che Ethan e Harper arriveranno a diventare. Non va meglio, infatti, ai due outsider recentemente arrivati al successo economico: illusi di appartenere a un mondo diverso, i due si scoprono enormemente distanti tra loro e arrivano al punto di non credere più al fondamento del loro rapporto – ovvero l’incapacità di mentirsi. L’assenza di interesse sessuale nella coppia è però solo la spia di un problema molto più grande e il reciproco tradimento (presunto?) è come se fosse avvenuto lo stesso: quella relazione è pressoché morta. Lo è, almeno, nella precedente formulazione: è solo quando Ethan e Harper accettano quella che è la massima di Daphne (fare quello che è necessario per non sentirsi una vittima), che la loro passione ritorna, ma chissà quanto durerà e in che condizioni. Sebbene ciascuno degli attori di queste due coppie funzioni perfettamente, è in particolare a Meghann Fahy e Aubrey Plaza che va il merito di incapsulare tutte le tensioni che vanno accumulandosi. Da un lato, Daphne è spezzata dentro ma ha trovato un modo per accettare, purché sia taciuto, tutto il male che aleggia nella sua relazione; Plaza è invece precisa nel mostrare la complessità di Harper, che passa da ossessionata a ossessione, da vittima a carnefice, senza mai rivelare troppo dei pensieri del suo personaggio.
Il sesso come merce di scambio è ovviamente ancor più palese nei personaggi di Lucia e Mia, e il modo in cui interagiscono con il mondo che le circonda. Mia, che inizialmente non sembra convinta di volersi prostituire, si rivela ben più cinica di quanto pensasse pur di raggiungere i propri scopi. Ancor più di Lucia, che nella seduzione di Albie trova il suo modo per uscire dal circolo lavorativo in cui si ritrova, Mia utilizza ogni carta per ottenere quello che vuole, che sia un posto come cantante o le attenzioni di cui ha bisogno. Le due ragazze sono consapevoli di quello che devono fare per ottenere ciò che vogliono con le carte che sono state servite loro: non si nascondono dietro falsi moralismi o nobili intenzioni. Lo stesso non può effettivamente dirsi dei Di Grasso, tre uomini ciascuno di loro ossessionato dal sesso e con un rapporto malato con le donne. Se Bert e Michael sono più aperti nel loro tradimento – l’uno convinto di aver fatto tutto all’oscuro di tutti, l’altro incapace di accettare la gravità delle sue azioni –, Albie è invece più subdolo, in quella sua non meno maschilista ossessione nel vedere le donne come vittime e solo vittime, da salvare quali principesse rinchiuse in una torre, impossibilitate a esercitare una qualsivoglia volontà. È chiaro, dunque, sin da subito che Lucia voglia fregarlo; sembra però quasi che, stando a come reagisce alla fine della serie, questo tutto sommato poco importi: alla fine ha comunque ‘salvato’ una ragazza.
C’è un simbolismo ricorrente in questa stagione che si riverbera non solo sulle avventure e disavventure degli ospiti del resort, ma persino sull’immaginario siciliano che White decide di sottolineare. Colpisce, in particolare, il ricorso costante all’immagine della testa di moro, con la storia della giovane sedotta e abbandonata da un uomo infedele. La tragedia della storia siciliana – tra l’altro riecheggiata non a caso dalla scelta di Madama Butterfly, la donna che commette suicidio, come preannunciato dalla cartomante – si rispecchia sugli eventi che capitano a Tanya, la cui storyline parte tardi ma diventa via via sempre più interessante. È però nelle sue avventure che si concentra il lato dark comedy, con il piano del marito Greg di farla uccidere da una squadra di assassini gay. È tutto così deliziosamente surreale che quasi ci spinge a perdonare che tutto sommato il suo personaggio non abbia troppe sfumature; e la sua domanda – ovvero se il marito abbia un’amante – mentre Quentin è a terra agonizzante serve a ribadirlo. La scelta di farla morire in quel modo è perfetta.
Non possiamo non parlare, per motivi campanilistici, della rappresentazione dell’Italia – o meglio, della Sicilia – all’interno del racconto. In generale, siamo sempre sul chi vive quando si tratta dell’Italia all’interno dell’intrattenimento americano, per una generale tendenza dei loro media a rappresentarci com’eravamo, nei sogni più incantati, negli anni ’50, perennemente divisi tra Roma di Fellini e il Neorealismo. Mike White è sinceramente innamorato della Sicilia, ne riprende gli scorci con attenzione per la sua bellezza e la sua incredibile storia; si lascia inoltre ispirare dall’opera, e cerca di ricrearne le atmosfere quando possibile. Certo, non mancano alcune stereotipizzazioni – in particolare la decadenza barocca della nobiltà italiana (sembra intravedersi la Grande Bellezza di Paolo Sorrentino) o l’ipersessualizzazione dei maschi italiani, descritti per la maggior parte come predatori sempre in agguato. In compenso, però, alcuni dei personaggi italiani rappresentati – Mia e Lucia, ma soprattutto Valentina – hanno una profondità che li distacca dallo sfondo da cartolina. Il personaggio di Sabrina Impacciatore, sebbene non abbia quella preponderanza che era stata invece concessa a Murray Bartlett nella prima stagione, è tra i più riusciti di questa annata: non solo per il lento lavoro di svelamento dei suoi interessi saffici, quanto per la capacità di alternare tra la sua anima riservata e ferita e quella tosta alle prese con un ruolo di responsabilità. Certo, di mezzo c’è anche il suo comportamento del tutto inappropriato con Isabella – ironico che lei faccia ciò di cui accusava Rocco, esteso poi all’intero genere maschile; ma si riprende giusto in tempo. Interessante ma poco sviluppato è il tema delle radici italiane degli italo-americani, che si risolve nel penultimo episodio con la rottura delle aspettative di chi, tornando a casa, s’era immaginato ben altro benvenuto. Questo, però, non poteva che accadere alle tre generazioni maschili (e maschiliste) dei Di Grasso, i quali vengono rifiutati da altrettante donne incapaci di comprenderli e quindi di cadere vittime del loro fascino.
Mike White costruisce un ultimo episodio di grande efficacia visiva, in cui il ritmo è costantemente altissimo e la risoluzione finale di molte delle storie funziona. Forse c’era chi si aspettava qualcosina in più da questa seconda stagione, ma The White Lotus riesce comunque a entrare in profondità nei rapporti umani portati all’estremo grazie al costante gioco tra tensione e satira, tra desiderio e violenza, tra la bellezza dei luoghi e la povertà emotiva di certi suoi personaggi.
Voto: 7½