Kaleidoscope, disponibile dal 1° gennaio sulla piattaforma Netflix, si propone come prodotto dal carattere “rivoluzionario”, grazie al particolare format che prevede la possibilità per ogni spettatore di selezionare ogni episodio seguendo un ordine non lineare. La serie di Eric Garcia costruisce così la narrazione di un maxi furto da 7 miliardi di dollari concentrando ogni puntata su una delle fasi del colpo – dalla sua pianificazione ai momenti ad esso successivi – andando ad illustrare la storia per singoli tasselli.
La trama di Kaleidoscope verte dunque su un colpo miliardario alla banca SLS, per cui il protagonista Leo/Ray (Giancarlo Esposito, Breaking Bad e Better Call Saul) compone una banda di criminali dalle competenze diversificate e funzionali al piano, reclutando le persone tra le sue conoscenze. Tra i personaggi principali la figura a cui viene dato più spazio è proprio quella di Leo, che guida l’intera vicenda, sviluppandola nel corso di 25 anni: lui chiama a raccolta i membri della banda, dall’avvocato corrotto Ava all’ex compagno di cella Stan, gli altri due membri a cui viene dedicata una porzione maggiore di screen time.
Nel corso delle puntate si assiste non solo alla reciproca e faticosa collaborazione per un colpo tanto rischioso quanto pianificato, ma anche alla narrazione delle vite dei personaggi, con le loro caratterizzazioni – anche se non molto approfondite -, le loro controversie interne e in relazione agli altri criminali. Il fatto che non venga dato maggior spazio allo sviluppo delle figure dei singoli rapinatori – di fatto sono personaggi piuttosto piatti, ad eccezione di Leo che attraversa un’evoluzione che si articola nel corso dell’intera serie – è una pecca di cui lo show soffre per la sua stessa natura: dovendo garantire una visione in ordine non lineare, mostrare lo sviluppo dei personaggi sarebbe stato poco comprensibile, o comunque avrebbe penalizzato il risultato se non visto nella sequenza corretta.
Un punto interessante sull’interiorità dei personaggi, ma che si chiarisce abbastanza in fretta, è che se per tutti l’obiettivo primario del colpo risiede nel denaro, questo non vale per il protagonista. La motivazione dietro al maxi furto, per la mente dell’attacco, è infatti nella volontà di vendetta serbata per ben 25 anni: un’operazione per vendicarsi di Roger Salas (Rufus Sewell), ex compagno di crimine ritenuto responsabile di aver distrutto la sua vita.
Legato a questo aspetto del racconto un tassello fondamentale è rappresentato da Hannah (Tati Gabrielle, The 100) che si affianca agli altri personaggi assumendo un ruolo di ponte: la ragazza è infatti sia figlia di Leo che dipendente di Roger. Hannah è la chiave per lo sviluppo della narrazione e, anche se purtroppo non viene approfondita in modo adeguato, la sua figura riveste il duplice ruolo di talpa e di traditrice: di fatto è proprio lei, e non il padre, a muovere davvero le sorti del colpo. Quello che fa lo fa in parte per sé e in parte per il padre, ma soprattutto per ripristinare un equilibrio tra bene e male perso da tempo.
Da questo punto di vista è interessante vedere come attraverso la sua figura si ha appunto l’occasione di sviluppare il tema della convivenza bene-male ma anche della moralità della vendetta. Hannah comprende i motivi dietro le scelte del padre, ma decide di non assecondarlo: forse per un senso di giustizia più ampio, o perché comprende che tutto il male che ha subito in tenera età non potrà in ogni caso essere riequilibrato, nemmeno da una perfetta vendetta. In ogni caso Leo raggiunge il suo scopo perché riesce a mandare Salas in prigione, ma la assapora ben poco perché a sua volta la subisce da parte del figlio dell’ex complice. Questa è in un certo senso una chiusura del cerchio e ciò che mostra che ogni azione ha la sua conseguenza.
Focalizzandoci invece sul format, l’elemento rivoluzionario doveva essere dato dall’ordine non lineare: le otto puntate – introdotte da “Nero”, una sorta di breve trailer che spiega la modalità di visione – non hanno una numerazione e portano il nome di un colore che le caratterizza cromaticamente. Ogni capitolo si colloca poi per temporalità rispetto al colpo, da 25 anni prima a sei mesi dopo, e consegna una prospettiva su una delle fasi del piano o sulle sue conseguenze, restituendo un quadro più chiaro della vicenda con l’avanzare delle puntate.
Ci sono oltre 40.000 combinazioni possibili per vedere Kaleidoscope e tra questi si può prediligere l’ordine cronologico per una comprensione più chiara, mentre per un’esperienza diversa un cronologico contrario, o ancora lasciarsi guidare dalla completa casualità. Affidandosi a quest’ultima però si potrebbe incorrere in salti temporali tali da rendere difficoltoso un soddisfacente “completamento del puzzle”. La divisione in capitoli che dovrebbero “stare in piedi da soli” di fatto non è totalmente funzionale, perché, per quanto siano tutti connessi al furto e visibili in qualunque ordine, alcuni episodi perdono di forza se non si ha sufficiente contesto per comprenderli. Se ad esempio si scelgono per primi quelli collocati nel passato lontano, come “Viola” e “Verde”, è più semplice ed efficace godere degli altri perché si ha una base propedeutica, anche se si perde qualcosa dal lato colpi di scena. In ogni caso, per avere quantomeno una conclusione sensata, è consigliato terminare con “Bianco” – la puntata dedicata al colpo – che illustra e chiarisce la maggior parte degli aspetti lasciati in sospeso e rappresenta il fulcro di Kaleidoscope.
Di fatto ogni spettatore fruisce della serie in modo differente, andando a percepire determinati aspetti più di altri, e attribuendo di conseguenza un valore diverso a ciò che vede. Si genera così una visione unica: ma il prodotto, nella sua globalità, beneficia del format? A posteriori non si può dire che il format arricchisca particolarmente lo show, questo perché manca nella concretezza l’elemento di unicità, che forse si sarebbe potuto raggiungere attraverso l’interattività. Infatti, tutti gli spettatori vedono gli stessi identici episodi. A differenza di Bandersnatch – progetto di Black Mirror simile per format ma interattivo -, Kaleidoscope non offre una diversa esperienza di visione, perché le scelte non ne escludono altre né cambiano il finale. Lo show, alla fine, è il medesimo per tutti: cambia l’approccio alla storia perché alcuni elementi prendono o perdono di forza se visti in momenti diversi, ma si esaurisce qui.
Per quanto il format rappresenti quindi una novità nel panorama seriale, non sembra dare un reale valore aggiunto alla serie. Lo spettatore può decidere sì l’ordine di visione, ma il metro di scelta può essere anche solo la casualità, e può generare persino problematiche nel tenere le fila della storia. Nel complesso non si può dire che si tratti di un brutto prodotto, per quanto forse non così spettacolare come ci si aspettava: la trama è ispirata a una storia vera avvenuta a Manhattan nel 2012, quando un’azienda, a causa di un allagamento dovuto all’uragano Sandy, perse miliardi di dollari in obbligazioni. Questa base di partenza poteva forse avere più potenziale, ma non è molto dinamica nella rappresentazione e tiene ben poco con il fiato sospeso, compresa l’esecuzione del furto. Gli elementi più interessanti di Kaleidoscope risiedono così nella rivelazione della traditrice (ma dipende dall’ordine di visione) e nella morale che porta con sé: nell’intreccio tra bene e male a trionfare non è che un sottile equilibrio tra i due, ed è l’unico trionfo a cui si assiste perché nemmeno uno dei rapinatori ha un riscatto o un cambio di vita – in tutti i casi infatti rimangono con meno di quello che avevano in partenza.
Voto: 6