La figura complessa e tradizionale della geisha in Occidente è ancora fortemente legata al celebre romanzo di Arthur Golden del 1997 – e poi film nel 2005 – Memorie di una geisha, che ha portato questi elementi della cultura giapponese in un contesto ai più sconosciuto. La traduzione americana, se così vogliamo chiamarla, è stata accompagnata da forti polemiche, legate soprattutto al trattamento che lo sguardo dell’uomo occidentale ha applicato a questa professione così complessa: la geisha viene in buona sostanza rappresentata come una prostituta per uomini di alto profilo, dominata dal cosiddetto male gaze, con non poche polemiche in patria.
The Makanai: Cooking for the Maiko House prova a parlare al mondo americano/europeo dello stesso argomento in un formato differente, descrivendo la cultura geiko con un’attenzione e un calibro più fedele a come viene considerato. Questa serie nasce in verità inizialmente come manga di grande successo conosciuto con il titolo inglese Kiyo in Kyoto: From the Maiko House, di Aiko Koyama, poi come anime, e si presenta infine come serie originale giapponese Netflix. La regia e la scrittura della serie è affidata a un gruppo capitanato da Hirokazu Kore-eda, autore noto soprattutto per Shoplifters, vincitore della Palma d’Oro nel 2018: si tratta della storia di due ragazze amiche d’infanzia, Kiyo e Sumire, le quali decidono di provare una vita da maiko, ovvero aspiranti geishe, a Kyoto. Nonostante le belle speranze, le cose, però, vanno in modo molto diverso: se Sumire sembra essere portata per una vita fatta di ordine, precisione e movimenti coordinati, Kiyo presenta sin da subito evidenti difficoltà ad adattarsi a tutta una serie di regole e comportamenti, chiaramente non tagliata per quella vita. Ben diverso è però il suo rapporto con la cucina, al punto che la ragazza si rende ben presto utile al resto della famiglia come makanai, ovvero cuoca.
Se il resto della stagione rimarrà sulla falsariga del pilot, siamo allora di fronte a una serie dai toni caldi e ottimisti come non se ne vedono praticamente mai sul piccolo schermo occidentale. A fronte di un mondo televisivo che fa dei colori scuri e della serietà dei propri temi la rappresentazione della produzione di maggior prestigio, The Makanai si muove sul versante totalmente opposto, lanciando lo spettatore in una gioia di colori soffusi, musica di sottofondo molto posata, e un tripudio di sorrisi e buoni sentimenti tra i personaggi (quasi tutti donne) che interagiscono in questa piccola realtà autosufficiente. C’è un’attenzione ovviamente indulgente sui ritmi e sulle tradizioni che circondano queste vicende e che non vengono mai spiegate avendo in mente uno sguardo altro sul racconto. È chiaro che la produzione della serie abbia messo in conto spettatori non avvezzi con certe parole e modi di fare, ma non c’è mai la sensazione di un racconto didascalico per mettere tutti sullo stesso piano; saranno i prossimi episodi a rendere ancor più chiaro certi ruoli e certi significati. Anche nello sviluppo della trama sembrerebbe esserci la volontà di mantenersi lontani da situazioni troppo pesantemente drammatiche, e, almeno in questo pilot, non c’è mai un inasprimento del tono del racconto.
La serie non si concentra in sé sul mondo delle geishe, quanto si mostra piuttosto un racconto centrato sulle relazioni tra persone che provengono da posti molto differenti e che devono quindi trovare un modo di ritrovarsi l’una con l’altra. È questo il segreto dietro la professione di makanai, colei che si occupa dell’alimentazione quotidiana delle aspiranti geishe: il cibo viene visto come punto d’aggregazione, capace – se fatto in un certo modo – di avvicinare le persone, metterle in comunicazione, e permettere loro di vivere come una famiglia anche se famiglia tecnicamente non sono. La cucina è quindi parte rilevante anche della messa in scena – gli stessi titoli di testa mostreranno preparazioni diverse – con la preparazione di cibi semplici ma che sembrano subito molto attraenti.
Terzo punto, e forse quello più importante: questo è un racconto di amicizia, del rapporto potente e sincero che unisce Kiyo e Sumire, le quali crescono insieme anche prendendo strade diverse. È una storia di buoni sentimenti a cui forse molti di noi non sono più abituati, trovandosi solitamente tra storie che fanno del colpo di scena il loro punto di forza. È attraverso gli occhi ottimisti di queste due sedicenni che lo spettatore è condotto per mano in un universo spesso del tutto sconosciuto e che promette di distinguersi (e certo questo episodio lo fa) da tutto quello che domina gli schermi televisivi occidentali. L’amicizia tra queste due ragazze diventa quindi subito un elemento che caratterizza l’intera storia e permette allo spettatore di scoprire l’universo complesso e sfaccettato delle geishe attraverso i loro occhi sognanti.
“Change” è insomma un buon episodio pilota, perché è capace di dire immediatamente cosa The Makanai: Cooking for the Maiko House sia e in che modo voglia proseguire la propria narrazione. Non è certamente per tutti, soprattutto per i più cinici, non tanto per cosa racconta ma come lo fa. Se si è alla ricerca di un racconto piacevole e senza grande tensione (alcuni argomenti “difficili” come il divieto dei cellulari viene appena accennato), che si nasconde dietro l’occasionale idealizzazione di comportamenti e situazioni, e promette di avvolgere lo spettatore con il calore del proprio cibo, allora siamo di fronte a un prodotto che non può che funzionare.
Voto: 6
