Succession – Stagione 4 4


Succession - Stagione 4Nella storia della serialità degli ultimi vent’anni ci sono stati show che hanno fatto dire più volte al pubblico frasi come “dopo questa serie niente sarà più come prima” e altre esagerazioni dettate dal sentimento del momento. Essere troppo vicini – di più, contemporanei – alla materia trattata rende troppo emotivamente coinvolti per essere obiettivi, e solo il tempo può mettere le cose in prospettiva. Tuttavia, è innegabile come alcune serie si presentino generando una fascinazione che va oltre il momento stesso, per cui si percepisce un’insolita dualità: da una parte si vede infatti lo show come emblema dello zeitgeist, prodotto rappresentativo dello stato dell’arte di un determinato genere in quel periodo, e dall’altra ne si coglie una sorta di vibrazione anticipata, di riverbero del suo successo che sembra tornare indietro dal futuro. Bando ai catastrofismi, dunque, la serialità rimarrà viva anche dopo questo show, ma, se proprio dobbiamo sbilanciarci, facciamolo: Succession è una delle cose migliori che ci siano capitate in questo decennio, e ci sono buone probabilità che lo diremo anche fra dieci anni. 

Sin dall’inizio, grazie alle storie della famiglia Roy e della Waystar Royco, l’intento della serie HBO creata da Jesse Armstrong è stato quello di mostrarci una guerra di successione all’interno di un impero mediatico: infatti lo show inizia proprio con un malore del patriarca Logan Roy, che incrina per la prima volta la solidità del CEO dell’azienda e dà il via a tutti i giochi di potere che abbiamo visto per tre annate. Ed è proprio quando finalmente ci ritroviamo con Kendall, Shiv e Roman dallo stesso lato della barricata, uniti contro il padre all’inizio di questa quarta stagione, che le carte vengono mescolate di nuovo: Logan muore (inaspettatamente ma con un’intuizione geniale) già al terzo episodio, e questo evento fa tremare la terra sotto ai piedi dei fratelli Roy non solo perché ognuno di loro si ritrova ad affrontarne il lutto, ma anche perché quell’alleanza, già fragile, viene spezzata nuovamente.
Succession - Stagione 4Dalla morte del padre-padrone – il cui lutto è una cosa dannatamente seria, perché se non è facile affrontare la perdita di un padre amato, è quasi impossibile uscire indenni da quella di un genitore così, larger than life e generatore automatico di traumi –, i tre figli si ritrovano a dover gestire un’eredità ambita ma senza sapere come orientarsi. O peggio: se prima erano senza bussola, lanciati l’uno contro l’altro ma con obiettivi comuni (conquistare il potere e la stima del padre), ora si ritrovano con una bussola impazzita, che, ancor più di prima, li porta ad allearsi uno con l’altro e a tradirsi dopo pochi secondi, o a pensare subito a piani alternativi. È lo stesso gioco che abbiamo visto sin dall’inizio ma portato all’ennesima potenza, eppure nemmeno così perde di realismo: in qualunque altra serie questo continuo cambio di alleanze avrebbe fatto storcere il naso, ma qui il lavoro riesce incredibilmente bene, e per un motivo preciso.
La chiave del successo della serie di Armstrong si trova proprio nel suo delicato equilibrio tra tragedia e commedia, tra motivazioni reali e tremendamente umane da una parte e ridicoli comportamenti da classe iperprivilegiata dall’altra; sarebbe stato tutto davvero poco credibile se a sorreggere questa impalcatura non ci fossero stati questi due pilastri – tragico per il portato umano e interiore dei personaggi, satirico per quello sociale ed esteriore.

Succession - Stagione 4Potremmo insomma dire che quello della “successione al trono” sia stato un escamotage per indagare due macrotemi, quello del mondo esterno (mezzi di comunicazione, business, corruzione, politica) e quello del mondo interno, riassumibile con la definizione “famiglia disfunzionale e condanna sulle generazioni successive”. Può sembrare eccessivo, ma questo richiamo alla tragedia greca, in cui gli errori dei padri ricadono sui figli, è perfettamente in linea col gusto della serie, innanzitutto perché questa è una tragedia, in tutti i sensi, specialmente nel suo essere inevitabile: “Good tragedy should feel inevitable, shouldn’t it?”, come ricorda Mark Mylod, regista del primo, terzo, nono e ultimo episodio della stagione (aggiungendo poi queste parole sul finale: “Le verità essenziali dei personaggi, le conseguenze della loro natura e della loro formazione… tutto ha condotto a questo momento”). Lo è al punto che quando in un episodio assistiamo a un momento di leggerezza tra i fratelli, la nostra pressione comincia a salire, perché sentiamo che sta arrivando velocissimo il treno che li dividerà per l’ennesima volta e che li farà andare di nuovo in mille pezzi.
Inoltre, la condanna che ricade sui figli, un concetto da oracolo di Delfi che pare così lontano dal nostro mondo, diventa più vicino quando lo analizziamo usando un linguaggio a noi comprensibile, quello appunto del trauma familiare. Al vertice c’è il padre-patriarca, amato e odiato al tempo stesso, che gioca psicologicamente con i figli crescendoli a suon di ricatti e di dosatissime mani tese solo per avere qualcosa con cui legarli a sé; un padre che teme i legami tra di loro perché forse – forse – solo insieme sono in grado di sconfiggerlo, ed ecco che allora non perde occasione per allontanare uno dall’altro. Possiamo davvero pensare che le colpe del padre, di questo padre, non ricadano sui figli sotto forma di trauma, di coazione a ripetere, di tentativi di ribellione che vengono abortiti proprio all’apice della loro messa in atto (perché un conto è minacciare di sfidare papà, un altro è farlo davvero)?

We called Wisconsin. Now we’re gonna call Arizona, so we call the election.

Succession - Stagione 4Succession non è certo la prima serie a raccontarci le disastrose conseguenze di educazioni troppo folli per pensarle vere, ma ha il pregio di averlo fatto con un approccio diverso seguendo due binari: prima di tutto rendendolo chiaro sin da subito, con quella sigla così iconica che non lascia dubbi sul fatto che il passato dei figli sarà determinante, eliminando il cliché delle “scioccanti rivelazioni” in corso d’opera; poi perché sceglie come protagonisti di questa tragedia dei sentimenti i personaggi che meno al mondo si meriterebbero la nostra compassione. Sono ricchi, ricchissimi, potenti a livelli inimmaginabili per delle persone comuni: è questa l’annata in cui viene eletto un presidente degli Stati Uniti di retaggio nazista, e tutto per avere l’accordo sperato in termini di vendita (o meno) dell’azienda. “Il mio regno per un cavallo!” urlava Riccardo III nell’omonima tragedia shakespeariana, e già era follia allora – figurarsi ora, dove a svendere gli Stati Uniti sono persone che tecnicamente sono cittadini come tutti gli altri.
C’è del tormento in questa scelta? Forse in Kendall, che ogni tanto riscopre di avere un’anima prima di annichilirla con un sorriso da brivido; forse in Shiv, che però – per ammissione della stessa Sarah Snook – si trova per puro caso a sostenere la parte giusta della Storia e che a parti invertite non avrebbe avuto poi così tante remore; di sicuro non per Roman, il cui disinteresse per i comuni mortali è pari solo a quello che ha sentito per anni dal padre nei suoi confronti.

Se detta così questa vicenda sembra correre il rischio di rappresentare una sorta di lamento per cui “anche i ricchi piangono”, Armstrong muove invece i giusti passi per evitare che questo accada, e qui arriviamo alla seconda colonna portante della serie: la componente comedy, che passa dalla potente satira contro il mondo rappresentato dai Roy, a venature dark e persino cringe – un aspetto essenziale tra l’altro per mantenere attiva la sfera critica del pubblico, mai passivo davanti alle vicende ma costantemente strattonato tra questi poli. Continuando a muovere il pendolo delle nostre preferenze, la serie ci porta con coscienza a provare più emozioni allo stesso tempo – con buona pace di chi pensa che davanti a persone di un certo calibro si possa essere assolutisticamente pro o contro.
Succession - Stagione 4Sono lontanissimi i tempi dei personaggi buoni con cui schierarsi, e sono lontani ormai quelli dell’antieroe, di cui si riconosceva la cattiva natura ma per cui ci piaceva tifare: Succession ci ha dato personaggi che abbiamo amato odiare e odiato amare, e può sembrare un cliché ma non lo è. Riconoscere che il trauma ci identifica e ci unisce come esseri umani, darci un contesto e delle spiegazioni, non vuol dire giustificare: ecco quindi che possiamo trovarci davanti a una serie in cui non parteggiamo per nessuno, in cui anzi alcuni dei personaggi che osserviamo sono semplicemente orrendi, e ciononostante provare per loro un’umana pietà quando si ritrovano a costruire e decostruire crisi intorno a loro solo perché è l’unico modo in cui hanno imparato a crescere.
Con un approccio simile era impossibile pensare a una conclusione pacifica, e in effetti nessuno vince davvero. C’è Tom (un eccezionale Matthew Macfayden), che ne esce con una corona di cartapesta, e che per lo stesso Armstrong sta lì a rappresentare tutti quelli che si muovono verso l’alto mettendosi a completa disposizione del potere; c’è Greg, ripescato da Tom per ricostituire il più bel duo della storia seriale, ma bollato come nuovo Giuda davanti a tutti; c’è la vecchia guardia pronta a essere silurata, e poi ci sono gli stessi Stati Uniti a uscirne con le ossa rotte – a meno di nuove clamorose rivelazioni dal Wisconsin, di cui però non veniamo messi a conoscenza. Persino Connor si trova sul crinale di due opzioni per lui non favorevoli: se vincerà effettivamente Mencken il suo sarà un matrimonio a distanza – e chissà quanto durerà; se vincerà Jiménez, salterà anche l’accordo che lo riguarda.

I love you, but you are not serious people.

Succession - Stagione 4E poi ci sono i kids, come spesso ci si riferisce a loro: le “persone non serie”, così definiti da Logan stesso – e sì, aveva ragione, ma chi è che li aveva portati a quel punto?
Ogni persona adulta dovrebbe arrivare a un momento in cui smettere di colpevolizzare l’educazione ricevuta e cominciare a guardare al lavoro svolto su di sé: ma, per usare una metafora bellica, è davvero possibile guarire da un PTSD mentre si è ancora sotto le bombe? I figli di Logan (tolto Connor che si è in parte salvato proprio per il suo essere esterno alle vicende) sono stati sotto l’influenza paterna e dentro le vicende dell’azienda per tutta la vita – e certo, questo accade anche dopo la morte di Logan, non solo perché diegeticamente passano pochi giorni dalla terza all’ultima puntata, ma anche perché il lutto non si esaurisce in breve tempo.

Il finale è un momento di pura distruzione e nichilismo, in cui sono stati costretti a confrontarsi col loro non essere le persone giuste per quel posto e soprattutto non riuscire a esserlo insieme: “We are bullshit”, “We are nothing”, dice Roman, ma forse è proprio in quel loro non essere adeguati al ruolo che si nasconde – su un lungo termine che non vedremo – la chiave per uscire dal loop tragico in cui si ritrovano. Sembra dirci questo il più giovane dei Roy, che si ritrova nelle ultime scene seduto al bar come quando tutto è iniziato, con un sorriso che non trattiene un certo sollievo.
Forse l’unico modo per guarire da quelle ferite, o per iniziare a farlo, è proprio non essere successori di Logan Roy, non essere costretti a confrontarsi tutti i giorni col fantasma del padre, non dover chiedersi a ogni singolo bivio “Cosa avrebbe fatto papà?” – una domanda che sentiamo più volte in queste puntate, e che di certo non si sarebbe fermata con Kendall come CEO e Roman e Shiv in posizioni di potere dentro l’azienda. Recidere il cordone ombelicale infetto che ancora li collega a Logan sarà per alcuni il più grande ostacolo della vita, per Kendall di sicuro: del resto il padre gli aveva dato le chiavi dell’impero a sette anni, quindi risulta difficile stupirsi del suo attaccamento al ruolo, del suo voler riempire coi piedi quelle scarpe sempre troppo grandi da colmare. Per Roman potrebbe significare libertà: è stato più volte suggerito che lui quel posto non lo volesse davvero e forse è proprio così; che poi in futuro possa o meno fare i conti con l’aver giocato col destino dell’umanità per un buon affare, è un altro discorso.

Succession - Stagione 4E poi c’è Shiv, l’autrice dell’autosabotaggio più incredibile e al contempo prevedibile della vicenda. Potremmo interrogarci a lungo sul perché del suo voto, e potremmo anche farci andare bene la “semplice” spiegazione che Kendall su quello scranno diventa un uomo insopportabile, ben lontano dal Re-fratello scelto con un “meal fit for a king” e incoronato con un frullato sulla testa. “I love you, but I can’t fucking stomach you” è una frase potentissima, non solo perché riassume la quasi totalità delle relazioni in questa serie, ma soprattutto perché è vera. Eppure non si può sottovalutare quello che Shiv sta facendo in tutto questo: dare l’azienda a Mattson – l’uomo che più l’ha raggirata dopo il padre e i fratelli –, vedere suo marito pugnalarla alle spalle e prendersi il ruolo che era destinato a lei, e decidere comunque di stargli accanto. La figlia che ha fatto di tutto per convincere suo padre che anche le donne possono stare al potere ed essere degne di fiducia e di rispetto, proprio lei, pur di non vedere suo fratello in quel posto, ha fatto saltare il banco intero, inclusa se stessa; e, come se non bastasse, l’ha fatto per trovarsi esattamente nella posizione che meno desiderava. È impossibile non notare il parallelo: Shiv voleva essere una donna diversa da sua madre, ma finisce col ricalcarne le orme, prendendo il posto di moglie del CEO della Royco, senza uno straccio di potere e con in grembo un erede. Si potrebbe obiettare che sia l’unica ad avere ancora mezzo piede nella porta, ma dopo tutto quello che è successo è difficile immaginarsi un suo ruolo di rilievo nell’azienda.
Possiamo davvero dirci che l’abbia fatto “solo” per non vedere suo fratello come CEO, o forse decenni di soprusi da parte di Logan hanno avuto la meglio e l’hanno fatta inconsciamente schierare con il padre, evitando anche solo il rischio che uno di loro potesse prendere il potere? Può essere solo un caso che la frase sopra citata rivolta a Kendall abbia la stessa struttura (“I love you, but…”) dell’ultima frase che Logan ha rivolto ai figli? Nessuna risposta è davvero quella giusta, ma se c’è un merito – enorme – da riconoscere alla serie è proprio quello di aver lasciato aperte tutte queste possibilità in character e plausibili, in una vicenda in cui nessuno di loro può dirsi davvero vincitore.

All’inizio di quest’ultima stagione Brian Cox, interprete di Logan, ha dichiarato in diverse interviste che secondo lui ogni annata di questa serie riesce a superare la precedente, e, per quanto si possa vederla come un’intelligente pubblicità per lo show, è difficile dargli torto. Quest’ultima stagione ha avuto dalla sua la possibilità di lavorare su un livello di emozioni mai riscontrato prima, causato proprio dalla morte di Logan così anticipata rispetto al previsto: questo, unito a un cast eccezionale e sempre più aderente ai propri personaggi, ha fornito un materiale di inestimabile valore, che solo un’ottima regia poteva esaltare. Tra i diversi registi di queste ultime puntate, è impossibile non sottolineare il contributo essenziale del già citato Mark Mylod, che soprattutto in “Connor’s Wedding” e “Church and State” ha adottato precise tecniche per diminuire il più possibile le interruzioni durante le riprese.
Succession - Stagione 4Girare di continuo, seguendo i personaggi in modo fluido senza staccarsi dai loro volti o dalle loro emozioni, amplifica ancora di più le già incredibili doti degli attori che in diversi casi si sono ritrovati a improvvisare, ormai interamente assorbiti dalla vicenda. Senza arrivare per forza agli eccessi identificativi di Jeremy Strong – che non usciva dai panni di Kendall neanche tra una ripresa e l’altra, ma non ci lamenteremo mai del risultato –, Alan Ruck, interprete di Connor, ha definito molto chiaramente questo processo nel “dietro le quinte” del terzo episodio: riferendosi al momento in cui Shiv va da Connor per dirgli che il padre è morto, Ruck dichiara come l’aspetto stesso di Sarah Snook in quel momento abbia innescato la sua reazione – “It was just like “game over”. You don’t have to act”. Questo approccio della macchina da presa, definito dallo stesso Mylod “sadicamente voyeuristico”, ha prodotto dei risultati inimmaginabili sia nella terza puntata che nella nona, che trova il suo picco nel discorso di Roman e nel suo successivo crollo, interpretato magistralmente da Kieran Culkin.

Sono poche ormai le serie che riescono a chiudere alle loro condizioni e pochissime quelle che sanno fermarsi al momento giusto. Armstrong ha individuato la conclusione qui, non perché non ci siano cose interessanti da raccontare nelle vite dei Roy rimasti, ma perché il tema era la successione e questo momento è arrivato: cavalcare l’onda del successo sarebbe stato facile, ma portare avanti Succession mostrandoci la rivalsa dei Roy avrebbe trasformato la serie in una cosa che non è mai stata, e alla fine l’avrebbe rovinata. Queste quasi 40 puntate sono quello che ricorderemo di una serie che sembra davvero non aver sbagliato un colpo: come sempre l’ardua sentenza andrà ai posteri, ma possiamo dirci sufficientemente certi del fatto che Succession si sia guadagnata il suo posto tra i capolavori della serialità.

Voto Stagione: 10
Voto Serie: 9

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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4 commenti su “Succession – Stagione 4

  • Boba Fett

    C’è poco da aggiungere, siamo di fronte ad un vero e proprio miracolo. Non saprei come definire diversamente uno show che in quattro stagioni ci ha ripetutamente mostrato un conflitto di famiglia senza mai annoiarci; una guerra dove è impossibile parteggiare per qualcuno in particolare perché sono tutti, e ribadisco tutti, orribili ma al tempo stesso incredibilmente magnetici. E dietro la guerra dei Roy c’è il mondo che cambia in peggio, con le democrazie che diventano autocrazie, con il controllo e il potere dell’informazione, il divario crescente tra chi ha tutto e chi niente.
    Succession è grande scrittura e interpreti straordinari, immensi e nel terzo episodio di quest’ultima stagione ci sono tutti i prossimi Emmy.

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Io credo che dal terzo episodio non si possa uscire indenni neanche volendo. Ricordo quando l’ho visto di aver passato una buona metà del tempo a pensare “mmmh mi sa che è l’ennesimo inganno di Logan ai danni dei figli”, e la cosa assurda è che tantissime persone con cui ho parlato mi hanno detto di aver pensato lo stesso. Ora: arrivare a ritenere plausibile una mossa del genere cosa ci dice di quello che abbiamo visto dei Roy in questi anni? Armstrong, i vari registi tra cui Mylod, il cast, ci hanno fatto un regalo enorme. Era da tempo che non mi trovavo con quella sensazione lì, davanti a una puntata nuova – esaltazione da una parte e tensione vera dall’altra, all’idea di quello che avrei potuto vedere. Ci mancheranno moltissimo!

       
      • Boba Fett

        Io invece me lo aspettavo, sicuramente non all’inizio di quest’ultima stagione! Ma quel turbinio di emozioni e quella gamma di reazioni che noi spettatori viviamo attraverso i quattro figli di Logan, sono qualcosa di pazzesco, un’autentica esperienza, personalmente mai provata prima…

         
  • Genio in Bottiglia

    Perché Succession è stata (sic) una serie così bella? Voglio dire, il tema in sé è abusato, dai tempi di Dallas per fermarmi alla mia infanzia televisiva. Solo perché i Roy sono più ricchi, mostrandoci aspetti dell’esistenza di esseri umani che sfuggono persino all’invidia (perché per invidiare devi immaginare, e come lo immagini l’abitante di un pianeta disperso in un’altra galassia)? Per la scrittura, per la messa in scena Shakespeariana di ogni singolo episodio che ti lascia svuotato, ad odiarli ancora di più, eppure senza poterti esimere dal compatirli, almeno un po’, perché una vera chance di essere meglio dello schifo che sono diventati non l’hanno mai avuta. Dalla morta oscena (fuori scena, oskenè) di quello che fino all’istante precedente, era stato il protagonista indiscusso, quello che non ne sbaglia una e ne sa sempre più del diavolo, a ricordarci che comunque tutti da quella porta dobbiamo passare, anche lui, che ha speso cinque milioni per quel mausoleo dove, alla fine, riposeranno anche le spoglie degli eredi. Il colpo di scena di quella morte anticlimatica, sette episodi e mezzo prima della conclusione della serie che comprime la successione del titolo all’ultimo 20 per cento, ma nel quale Logan Roy è presente persino più di prima, perché non se ne è andato (davvero) mai. I destini che attendono i quattro figli appaiono segnati, per certi versi non c’era più nulla da dire. Conn che può solo sperare di ottenere una posizione lontano da una moglie che non ha mai celato di non amarlo, ora che ha dovuto mettere in soffitta le risibili ambizioni di diventare Presidente di un Paese che gli preferisce un neonazista. Roman intrappolato in un’esistenza vacua ma magari felice, perché lo abbiamo visto tutti il suo sguardo da “scampato pericolo” quando capisce che l’azienda è andata e quell’ambizione obbligata può finalmente spegnere da qualche parte. Shiv che è l’unica ad averla avuta una scelta e preferisce essere la moglie di un CEO che ha smesso di amarla e che lei non ha mai davvero amato, che la sorella di uno che non vuole detestare, ma che non potrebbe accettare in quel ruolo, perché renderebbe la sua sconfitta troppo più fragorosa. E poi Kendall, programmato sin da piccolo a desiderare quella poltrona, e che non può averla, due volte sul punto di farlo e due volte tradito dal sangue del suo sangue. E forse è Kendall quello che non posso fare a meno di compatire, più di tutti gli altri. Conn, Roman, Shiv non hanno mai avuto una chance. Lui ha pensato di averla. Come un novello Icaro ha pensato di poter raggiungere il sole. E, come Icaro, si è andato a schiantare da qualche parte, lontano dai nostri sguardi. Grazie, come sempre, Federica: con ritardo, ma ho letto la tua recensione con immenso piacere.