Dal 4 aprile è disponibile su Netflix con le sue otto puntate la nuova miniserie Ripley: si tratta della versione seriale del film The Talented Mr. Ripley, film del 1999 che vedeva protagonisti dei giovanissimi Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow. Entrambi sono adattamenti dell’omonimo romanzo thriller di Patricia Highsmith, ma non i primi: infatti l’opera dell’autrice statunitense – uscita nel 1955 e prima di una serie di 5 volumi dedicati al personaggio di Tom Ripley – ha ispirato anche il film Plein soleil realizzato nel 1960, e altre versioni meno conosciute.
La nuova trasposizione di questa storia ormai proposta più volte nel corso del tempo è frutto del lavoro di Steven Zaillian, che firma regia e sceneggiatura; un nome che ha segnato il grande schermo vincendo l’Oscar per la sceneggiatura di Schindler’s List e ottenendo altre quattro nomination per la sceneggiatura di altrettanti film, tra cui The Irishman.
La miniserie ha come protagonista Tom Ripley, un enigmatico truffatore che vive a New York nella cornice degli anni ‘60, dove viene assoldato dal ricco signor Greenleaf nel tentativo di convincere il figlio di quest’ultimo a tornare negli USA. Infatti il nullafacente Dickie, questo il nome del figlio, si trova in Italia, dove vive un’esistenza di letterale “dolce far niente” ad Atrani, piccolo paese della costiera amalfitana, nel quale Tom viene inviato a compiere il suo lavoro.
Da subito il protagonista appare impenetrabile e sfuggente; di lui non si sa nulla, se non che conduce un’esistenza fatta di continui cambiamenti, instabilità e piccole truffe ai danni di sconosciuti; non è un personaggio interessante in sé, anzi la sua vita sembra dozzinale e senza un vero scopo. Tutto cambia con il suo arrivo nella piccola Atrani, dove si reca inizialmente con l’unico obiettivo di svolgere il lavoro affidatogli. Diversamente dalle aspettative, entrando in contatto con un’esistenza molto diversa dalla sua, viene colto dal desiderio irrefrenabile di far parte del modo di vivere di Dickie e della sua compagna Marge, con cui scopre la bellezza di agio, ricchezza e spensieratezza. Incantato da queste persone così diverse da lui capisce di dover sfruttare quest’opportunità unica al di là dello scopo originario e inizia così a vivere la loro vita, sempre più letteralmente.
È talmente affascinato da loro, e soprattutto da Dickie, da voler diventare come lui: così esplode in un’escalation di follia, passando dallo stare costantemente con lui, fino a imitarlo spinto dal desiderio di rubargli l’identità e arrivando infine a ucciderlo. Al fianco di Tom troviamo quindi principalmente Dickie (Johnny Flynn), ma ancor più Marge (Dakota Fanning), che è presente nell’intera serie in modo ricorrente come unico soggetto che sin dall’inizio dubita di quello sconosciuto dallo sguardo scuro che piomba all’improvviso nella sua vita in modo così totalizzante. Oltre a loro troviamo poi personaggi minori interpretati da attori italiani: Margherita Buynelle vesti della tranquilla Signora Buffi e Maurizio Lombardi, che porta in scena un interessante ispettore Ravini, personaggio che diversamente da altri aveva percepito un che di equivoco in Tom, ma che solo troppo tardi si rende conto dei suoi inganni.
A vestire i panni del protagonista troviamo un bravissimo Andrew Scott (Fleabag, Sherlock), che dà il massimo in questa interpretazione, restituendo un Tom Ripley disturbato e quasi inumano, inquietante in ogni mossa – profondamente calcolata – e capace di raggelare qualsiasi atmosfera portando con sé una sensazione di brivido costante. L’attore è riuscito a conferire a Tom un tocco cinico e macabro, che tuttavia non scoraggia gli altri personaggi dall’avvicinarsi a lui; il Ripley di Scott è di un narcisismo inarrestabile, talmente bravo a circuire e ordire inganni da riuscire a conquistare la fiducia di diverse figure intorno a lui e persino quella di Dickie, che pur messo continuamente in guardia da Marge si apre al punto da coinvolgerlo in modo crescente nella sua quotidianità.
La miniserie acquisisce a pieno il carattere di thriller psicologico portandoci sempre più nella dimensione interiore di Tom, ma senza mai entrarci realmente lasciando in un certo senso lo spettatore sempre sulla soglia. Non abbiamo mai un inquadramento sulla prospettiva più intima e personale del protagonista che sembra senza coscienza e senza sentimento, pronto davvero a tutto pur di ottenere ciò che ha compreso di volere per se stesso. Infatti anche se può non sembrare, Ripley evolve nel corso degli episodi, percorrendo la strada di una crescente e oscura ambizione che lo porta a volere sempre di più, passando da piccolo truffatore anonimo ad assassino seriale e senza scrupoli, guidato unicamente dal suo interesse personale.
La sua è una follia cieca ma allo stesso tempo così calcolata da riuscire in modo impeccabile; nonostante la sua vita diventi sempre più complessa, Tom riesce a gestirla in modo lucido e privo di qualsiasi etica. Gli inganni sono sempre più articolati, le continue truffe e gli omicidi si susseguono in un vortice sempre più avvolgente, che lo fa uscire sempre – nonostante tutto – pulito e vincente. Questa sua abilità di “scamparla” sempre dalle sue responsabilità lo rende un personaggio davvero affascinante, capace di un’autoconservazione senza eguali.
Un altro elemento molto interessante risiede nel fatto che per gran parte dello show il protagonista interpreta due personaggi contemporaneamente: l’apparentemente insignificante e anonimo Tom, che trasforma pian piano in una persona di successo con un nuovo stile di vita, e il ricco e “arrivato” Dickie a cui invece fa vivere una sorta di declino. Il tutto riuscendo a far combaciare le vicende di entrambi i suoi personaggi, che trasforma in due complici incrollabili: la componente psicologica di Ripley è davvero notevole e in questo dualismo si vede benissimo.
A sostegno di questa narrazione troviamo numerose sequenze mute o composte solo da suoni ambientali, che aiutano lo spettatore a comprendere la sfera interiore di Tom, mostrandolo più volte solo con se stesso. Il protagonista, tuttavia, non viene mai mostrato turbato o alle prese con scrupoli di coscienza, quanto più risulta rafforzato e tranquillo, nutrito dalla “forza” che acquisisce appropriandosi della vita e degli agi altrui. Questo porta in evidenza il profondo disturbo interiore, la freddezza priva di emozioni e la follia lucida, sottolineando il carattere thriller dello show, che viene spinto anche da diverse scelte estetiche, su tutte quella di realizzare la serie in bianco e nero, elemento che unisce la necessità di dare un taglio noir con la collocazione temporale anni ‘60.
Ripley ha un’estetica affascinante con una forte componente italiana, che non è legata solo alle location: abbiamo il senso di dolce far niente – che riporta a vibes simili a quelle del film La Dolce Vita -, colonne sonore che spaziano da Mina a Buscaglione, e persino numerosi dialoghi interamente in italiano. Tutti questi elementi contribuiscono a creare un’atmosfera molto ricercata da Zaillian, che si unisce alla bellezza dei luoghi della nostra penisola che fanno da sfondo alla narrazione. Da Atrani – teatro iniziale e ricorrente – nella splendida costiera amalfitana, passando per le più conosciute Roma, Napoli e Venezia: il viaggio in un’Italia d’altri tempi e le atmosfere sognanti vanno in netto contrasto con la trama dai toni drammatici, creando un effetto che nel complesso funziona.
Volendo tirare le somme di Ripley si può affermare come sia difficile collocarlo nella cerchia dei prodotti Netflix vincenti già in partenza, e questo per diverse ragioni che contribuiscono a posizionare lo show in modo diverso dalle classiche serie amate dai più, andando a “sfidare” ciò che il pubblico cerca nelle produzioni seriali, capaci di tenere alti ritmo e attenzione. In questo caso l’intera miniserie si caratterizza per elementi che vanno in deciso contrasto con questi due dogmi: le scene sono eccessivamente lente, spesso scarseggiano i dialoghi in favore di lunghi silenzi, e si assiste a sequenze interamente dedicate a suoni della natura e della città, accompagnate da inquadrature statiche. In generale è molto presente l’attenzione all’ambiente e alla creazione di atmosfere ricercate; il già citato bianco e nero è perfettamente coerente con il prodotto in sé e contribuisce a creare un’aria uniforme sebbene a tratti forse troppo piatta. Ripley non è classico nemmeno per la componente thriller, infatti non ci sono colpi di scena eclatanti o scene ricche d’azione, bensì una lenta costruzione della tensione.
Tutti questi elementi potrebbero scoraggiarne la visione ma, seppur alcune scelte possano risultare eccessivamente controcorrente, se si va oltre questo e non ci si lascia abbattere dal ritmo Ripley si rivela un piccolo gioiello del genere thriller. Sicuramente è uno show che richiede un piccolo sforzo e non rivolto ad un pubblico molto ampio, che parte dalla trama del romanzo e mette al centro un protagonista atipico e misterioso: la storia è condita da un’ampia cura dei dettagli, dall’ambiente ai suoni e alle inquadrature, elementi che vanno a comporre un’estetica impeccabile, tratto vincente che fa emergere lo show in mezzo a tanti altri prodotti contemporanei.
Voto: 8
Eccolo il primo gioiellino del 2024! Splendido show sotto ogni aspetto; un omaggio alla lentezza e al cinema autoriale, ovviamente come tutti dicono, al Fellini de La Dolce Vita, ma secondo me anche ai primi Cohen, con quel modo di raccontare azioni apparentemente ininfluenti con estrema meticolosità come, ad esempio, affondare una barca. E visto lo splendido bianco e nero è d’uopo citare anche il suo autore Robert Elswit, premio Oscar per Il Petroliere, con dei contrasti pazzeschi, sicuramente ispirati e dedicati al Caravaggio, spirito guida del protagonista.
Ciao,
grazie per aver letto la recensione!
Concordo con quello che dici, un gioiellino con molte possibili reference, ma unico soprattutto nel panorama seriale attuale 🙂
Tutto è al posto giusto: personaggi, colori, suoni, ambientazione. Una miniserie perfetta che osa sfidare la pazienza dello spettatore vincendo alla grande. Recensione assolutamente calzante. Ma perché solo 8?
Ciao,
ti ringrazio per aver letto la recensione!
Ti spiego il mio 8 volentieri 🙂 Come sempre i voti possono essere molto soggettivi, inoltre per me dare voti alti non è semplice e in questo caso particolare ho pensato parecchio al voto, perchè ero un po’ “divisa”. La serie è ben realizzata e ha una serie di caratteristiche degne di apprezzamento, ma come ho scritto e come dici anche tu, sfida lo spettatore. Non è per tutti, anzi, è davvero atipica! Perciò mi sono sentita di darle un bell’8 (che per me è un ottimo voto), ma non di spingermi oltre, proprio perchè non è per tutti e può troppo facilmente far cadere l’attenzione se non si ha la pazienza di aspettare!
Bella recensione, Ilaria.
Capisco quando dici che la serie non è adatta a un pubblico ampio come altre serie. In effetti, le prime puntate a me non sono piaciute. Erano troppo lente e alcuni nodi cruciali mi sembravano troppo campati per aria. Poi nel mezzo, la serie è diventata una specie di compito: continuavo a guardarla perchè avevo cominciato, c’erano anche delle belle cose, soprattutto dal lato scenografico e della fotografia. Alla fine ero più preso, dove il mio meccanismo di ingaggio era “tifare” contro Ripley, perché lo scoprissero.
Sono d’accordo con te che è un prodotto fatto molto bene e che ricorda il genere Noir. La parte che trovo più difficile da digerire è il magnetismo di Ripley. Alla fine, la sua più grande qualità mi sembra essere la fortuna. Avere l’opportunità di andare in Italia, entrare in contatto con una persona dalla ricchezza apparentemente illimitata (what are the chances!), fare breccia in Dickie e poi scoprirsi assassino alla prova dei fatti e avere una fortuna sfacciata a coprire le sue tracce.
Forse, la parte più interessante è quella su Dickie. Perchè pensi che abbia dato così tanta fiducia a Tom? Come te lo spieghi, visto che è la figura dell’uomo senza qualità per definizione?
Miniserie meravigliosa, stilisticamente impeccabile e coinvolgentissima! Uno dei migliori prodotti Netflix, per me!