The Sympathizer – 1×01/02 Death Wish & Good Little Asian


The Sympathizer – 1x01/02 Death Wish & Good Little AsianCi sono diverse ragioni per cui The Sympathizer è stata considerata una delle serie più attese di questa prima metà dell’anno: lo show di HBO, che debutterà in Italia su Sky il 20 maggio con i primi due episodi, è iniziato il 14 aprile ma la sua fama l’ha preceduto di molto. Si tratta di una miniserie in sette puntate basata sul romanzo omonimo, vincitore del premio Pulitzer nel 2015, di Viet Thanh Nguyen; è stata creata da due showrunner d’eccezione quali Park Chan-wook (anche regista dei primi tre episodi) e Don McKellar; tratta in maniera originale, satirica e innovativa la guerra in Vietnam, con il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti e il grande ruolo dello spionaggio all’interno di uno dei conflitti più sanguinosi del secondo dopoguerra; vede protagonisti attori di rilievo tra cui Hoa Xuande come protagonista, ma soprattutto Sandra Oh e il premio Oscar Robert Downey Junior, alle prese con ben quattro ruoli diversi. 

Anzi, dovremmo aggiungere anche un quinto ruolo per RDJ, in questo caso off camera, dato che ha coprodotto la serie insieme ad altri tra cui la macina-successi A24 (Beef, Euphoria, Ramy).
La miniserie prende le mosse dal romanzo che si struttura come la confessione di un uomo vietnamita, un non meglio identificato The Captain (Hoa Xuande), il quale, imprigionato in un campo di “ri-educazione” nel nord del Vietnam, ripercorre in forma scritta la sua storia a partire dal 1975: quattro mesi prima della caduta di Saigon, infatti, il protagonista lavorava per la polizia speciale del Vietnam del Sud e collaborava con gli Stati Uniti grazie a un agente della CIA chiamato Claude (RDJ), ma in realtà svolgeva il ruolo di spia per i Viet-Cong, lavorando in segreto per il Nord del paese.

The Sympathizer – 1x01/02 Death Wish & Good Little AsianUna storia che si basa sull’ambiguità, dunque, e che vede un protagonista senza nome essere tutto e niente a seconda dell’ambito in cui si trova: un carattere sfuggente, ambivalente anche nelle origini (per metà vietnamita e per metà francese), capace di atrocità impensate e di gesti di affetto incredibili al tempo stesso. Se il romanzo rappresenta quindi una confessione scritta, la scelta di mostrare quel momento come una cornice al vero racconto, con i flashback che prendono vita davanti ai nostri occhi mentre osserviamo le memorie del protagonista, era giocoforza la scelta più scontata, grazie al cambio di medium. Quello che era invece più difficile da prevedere è la resa scenica di un narratore che è tutto fuorché affidabile, e non solo perché sia una spia, un double agent, ma anche e soprattutto perché la memoria può effettivamente essere spesso ingannevole.
La mente si può confondere, nel marasma di una guerra e dei terribili eventi che l’hanno caratterizzata e ne sono conseguiti; può perdere dei pezzi, e dunque avere la necessità di andare avanti e poi tornare indietro, di legarsi ad altri ricordi che non si è ancora pronti a rivisitare, e che dunque vengono mostrati solo per pochi secondi, senza un immediato contesto. Tutto questo viene messo in scena utilizzando il mezzo televisivo come uno dispositivo ludico (a dispetto dell’argomento), che gioca con il materiale del racconto sfruttando ogni sua peculiarità (i flashback, le scene girate in modi differenti, l’importanza del punto di vista, ma anche lo stesso potenziale spettacolare del mezzo audiovisivo) per rendersi strumento della storia stessa.

Ci vogliono ottime menti dietro a questo uso per nulla banale del racconto e delle modalità che lo sostengono: e in questo i primi due episodi, “Death Wish” e “Good Little Asian”, spiccano grazie a diversi aspetti tra i quali non si può non menzionare la regia di Park Chan-wook – un maestro del cinema sud-coreano molto prima che quest’ultimo diventasse così diffuso com’è ora. Tutti questi elementi concorrono nel trasformare quella che all’apparenza sarebbe “solo” la resa visiva di una confessione su carta nella fluida rappresentazione di un gioco di specchi, in cui non si può mai davvero essere sicuri di ciò che si sta vedendo, di chi è informato dei fatti e, se sì, di quali.
The Sympathizer – 1x01/02 Death Wish & Good Little AsianThe Captain è infatti un perfetto doppiogiochista in patria come negli Stati Uniti, dove fuggirà durante la caduta di Saigon insieme a “The General”, di cui si è messo a servizio: lo vediamo agire trovando soluzioni efficaci e originali in tutte e due le prime puntate, con un livello di precisione nell’esecuzione che ha poche sbavature, pochissimo spazio per il dubbio. Sappiamo solo che a un certo punto il castello crollerà, vista la sua detenzione mostrata in apertura: e questa certezza, lungi dall’essere uno spoiler, rappresenta una spada di Damocle sulla testa del protagonista ma anche sulla nostra – sappiamo che cadrà ma non sappiamo quando, e soprattutto come accadrà, vista la sua estrema bravura.
The Captain si muove con agilità all’interno della sua doppiezza perché quell’ambiguità la vive sulla sua pelle da sempre, a partire dall’aspetto fisico che lo identifica subito come un “half breed”, un “sangue misto”: un paio di occhi verdi che si stagliano su un aspetto vietnamita sono la sua arma di seduzione nei confronti del potere e al contempo la sua condanna, perché la duplicità è qualcosa che vive con lui e di cui non può mai liberarsi, dato che il suo paese e coloro che l’hanno colonizzato li ha direttamente nel sangue. Ad aggiungersi a questi duplici aspetti, troviamo una sua insospettabile passione per la cultura americana, che ha fatto breccia nella sua mente e nelle sue passioni nonostante stia facendo il doppiogioco proprio contro di loro. Non stupisce quindi che si porti dietro questa doppia vita anche negli affetti, ossia i suoi due migliori amici, con i quali ha un legame di fratellanza definito non a caso “di sangue”: eppure anche quell’amicizia si basa su un’ambiguità, perché Man è in realtà una spia come lui, di grado superiore, a cui il protagonista deve rendere conto; e Bon è l’amico a cui i Viet Cong hanno ammazzato parte della famiglia e che non potrà mai e poi mai essere dalla loro parte (e quindi ignora del tutto la vita reale dei suoi più cari amici).

The Sympathizer – 1x01/02 Death Wish & Good Little AsianCoerentemente con la natura della serie, The Sympathizer è uno show bilingue, in cui le parti in inglese e quelle in vietnamita hanno una significato che va oltre la semplice divisione dei personaggi: come già da qualche tempo (e in questo Pachinko è stata maestra, con l’uso di tre lingue contemporaneamente) c’è una tendenza a un realismo linguistico che non è fine a se stesso, bensì utilizzato per veicolare altri messaggi. Qui il livello di conoscenza dell’inglese, ad esempio, è fondamentale; oppure la scelta di un personaggio di parlare in vietnamita anche quando potrebbe farlo in inglese, ma preferisce l’affidabilità delle precise parole della propria lingua madre; e persino i cartelli (reali o in sovraimpressione) che passano dalla lingua locale all’inglese sono più di un semplice sfizio estetico, poiché rimandano al costante lavoro di traduzione e di traslazione di significati che vive un paese occupato e in conflitto. E il significato vive, si trasforma e diventa ricordo: come ci dice il cartello che apre il pilot della miniserie, “Tutte le guerre sono combattute due volte. La prima volta sul campo di battaglia. La seconda nella memoria”. Sarà su questa seconda parte che la serie si concentrerà, e su quanto potere abbia non solo chi vince la guerra, ma anche chi ha la possibilità di parlare e chi no.

La Guerra del Vietnam è certamente una delle pagine più sanguinose del secolo scorso e il tono da adottare risultava quindi fondamentale per la riuscita del prodotto: in maniera coerente con il tema della serie, anche il genere non è univoco. Non siamo di fronte a un drama puro, ma a un formato che va particolarmente di moda in questo periodo: è la dramedy satirica, quella che usa la componente comedy nei suoi aspetti più dark, parodistici e persino grotteschi, soprattutto quando vuole denunciare comportamenti sociali e politici. L’abbiamo visto con The Regime, che ha raccontato in maniera addirittura parossistica le dittature europee, e lo vediamo qui, con una vena comica che non rinuncia a mettere alla berlina l’ipocrisia degli Stati Uniti, tanto nel loro coinvolgimento nel conflitto quanto nella loro opposizione interna; ma c’è anche spazio per la falsità di certi “culti” tutti occidentali che guardano alle altre culture con un interesse che sfiora l’ossessione, che fagocita tutto e tutti ma che si mostra in realtà come un guscio vuoto, una posa più che una posizione – e qui troviamo il professor Hammer, secondo personaggio di Robert Downey Junior, professore di Asian American Studies nel cui dipartimento aveva studiato The Captain da giovane.
The Sympathizer – 1x01/02 Death Wish & Good Little AsianL’identità del protagonista emerge solo a piccole dosi, tra un racconto d’infanzia e un’espressione di terrore davanti a chi potrebbe smascherarlo; ed è proprio dalla seconda puntata che compare Ms. Sofia Mori, segretaria del dipartimento interpretata da Sandra Oh, con cui The Captain svilupperà un rapporto che ha tutto il potenziale per farci entrare più in contatto con l’interiorità dell’uomo, con i suoi traumi e le sue paure più recondite – dove probabilmente si nasconde anche la ragione che lo porterà a essere imprigionato. Insomma, come si dice in questi casi: non è la destinazione quella che conta, ma il viaggio; non il cosa, ma il quando e soprattutto il perché.

“Death Wish” e “Good Little Asian” sono due episodi eccellenti, sia per come si presentano nel passaggio da un medium all’altro, sia per come portano avanti i temi della serie declinandoli con coerenza sotto tutti gli aspetti: è un progetto su cui c’è stato un lavoro molto approfondito e che si coglie sin dal primo episodio; uno show il cui production value è altissimo (basta guardare le scene della caduta di Saigon per averne un perfetto riscontro) e in cui un attore come Robert Downey Junior decide di metterci tutto se stesso, moltiplicato per quattro. Giocare con la memoria è una tentazione per qualsiasi autore, anche e soprattutto perché sappiamo molto poco di come funzioniamo sotto questo versante: al di là delle bugie volute, cosa c’è dietro la distorsione di un ricordo, dietro la rimozione di un altro? Applicare questo filtro al racconto di una parte così importante della storia mondiale è un compito delicato ma affascinante, che se gestito con cura potrà condurre a risultati eccellenti.

Voto 1×01: 9
Voto 1×02: 8

 

Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.

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