House M.D. – Perché guardarlo ancora alla settima stagione?


House M.D. - Perché guardarlo ancora alla settima stagione?

All’alba di un nuovo decennio, il panorama delle serie televisive provenienti dagli Stati Uniti offre una possibilità di scelta che definire illimitata sembra quasi riduttivo; ce n’è per tutti i gusti, insomma, dalla comedy al drama, passando per i procedurali di ogni tipo. Quindi, in una situazione in cui “il mare è sempre pieno di pesci”, cosa dovrebbe spingere una persona a seguire per il settimo anno consecutivo la stessa serie?
E’ una domanda non da poco, se si considera quanto il nostro mondo sia dominato dal movimento e dalla velocità ad ogni costo piuttosto che dalla stabilità, dallo spostamento continuo di target più che dalla routine.
Diventa una domanda da un milione di dollari se la serie di cui stiamo parlando è un medical drama procedurale, nato e cresciuto in un periodo in cui di serie tv col camice bianco ce n’erano già abbastanza e non ultimo con un protagonista così ingombrante da correre il rischio costante di trasformare un’ottima idea in un one man show.
Insomma, la questione è una sola: perché, arrivata nel 2010, con miliardi di altre storie da seguire, sono ancora qui a vedere House M.D. con lo stesso entusiasmo del 2004?

Proviamo ad analizzarne i fattori:

  • Gregory House.

Ci viene presentato sin dalla prima stagione come il medico geniale, in grado di salvare persone da malattie complicatissime (e spesso impronunciabili) grazie ad una capacità di analisi straordinaria e ad alcune vere e proprie illuminazioni, proprie solo di chi è caratterizzato da uno spirito sì scientifico, ma anche fortemente creativo. Eppure questo dottore – che visto così sembra arrivato diretto dal pianeta Utopia, per curare i malati del Princeton Plainsboro dalle 9 alle 17 e per salvare il resto del mondo nel tempo libero – ha altre caratteristiche, molto meno agiografiche: è dotato di un cinismo senza precedenti nei confronti della vita; parte dal presupposto che tutti mentano (e quindi passa gran parte del tempo a cercare di smascherare chiunque, dal paziente al migliore amico); ingoia pastiglie di Vicodin con la stessa frequenza con cui noi ingurgiteremmo un pacchetto di Tic-tac.

Un personaggio meraviglioso ideato da menti fuori dal comune, indubbiamente, ma con due enormi rischi: a lungo andare, infatti, anche il cinismo annoia e soprattutto, come dico in questi casi, “da character a caricatura è un attimo”. Eh sì, perché va bene dire “non sono realmente cattivo, è che mi disegnano così!”, ma la crescita di un protagonista simile deve seguire indicazioni ben precise:
a) deve evolversi, perché se no annoia
b) non può cambiare troppo, perché se diventa un medico con tanti “problemi irrisolti, ma un cuore grande così” (cit.) chi se lo fila più?
Il lavoro interno alla costruzione del personaggio House ha del miracoloso: nel corso di sei stagioni il nostro doc ha affrontato situazioni al limite quasi quotidiane, eppure è riuscito a cambiare e a rendersi nuovo rimanendo paradossalmente sempre lo stesso. E’ stato capace di scendere negli abissi della propria umanità e della propria follia per riemergerne vincente, passando attraverso eventi di ogni genere: attentati alla persona (2×24, No reason); momentanee guarigioni (inizio terza stagione); licenziamento di massa del proprio staff (3×24 Human Error) – e conseguente selezione di nuovi collaboratori con tanto di eliminati e vincitori, come nel migliore dei reality; tentativi di suicidio solo per il gusto di vedere “l’effetto che fa” (4×03 97 seconds); viaggi nel subconscio (4×15 House’s Head, 4×16 Wilson’s heart); aggravamento della dipendenza da Vicodin durante l’intera quinta stagione ed infine ricovero e terapia di analisi forzata per tutto l’arco della sesta stagione.
Cosa può succedere quindi di altrettanto entusiasmante nella settima stagione? Arriviamo quindi al secondo fattore

  • Huddy

Come mamma America ci insegna, la nascita di nuova coppia viene accompagnata di pari passo dalla creazione di un nuovo nomignolo che rappresenti l’unione che si va a celebrare. Huddy, quindi, sta per House + Cuddy ed è questo ciò che è in grado di portare quell’elemento di novità che fino ad ora non si era visto.
Il rapporto tra i due è sempre stato determinato da alti e bassi, ma con l’ovvia costante di un legame davvero stretto; di segnali che potessero indicare un rapporto di natura diversa ce ne sono stati durante tutta la serie, ma il timore è sempre quello: se dei due piace proprio questo tipo di relazione, fatto di attrazione e repulsione costante, come si può metterli insieme e non rovinare tutto?
Per ora la questione si sta evolvendo davvero bene: cercano entrambi di far funzionare qualcosa che sulla carta c’era, ma che nella pratica della vita quotidiana va contro tutto ciò che hanno costruito in anni e anni di legame lavorativo; la Cuddy vuole sincerità, onestà e soprattutto un House più self-confident, abbastanza perlomeno da crederle quando lei gli dice che vuole stare con lui; il nostro Doc, dal canto suo, è patologicamente legato alla bugia e, per quanto si sforzi, non riesce in alcun modo a modificare il suo carattere, nemmeno per la donna che ama – praticamente da una vita, pur senza ammetterlo.

  • I casi

Ovviamente rappresentano ancora una parte fondamentale dello show. Eppure, nonostante l’importantissimo aspetto medico insito in ciascuno di essi, non è possibile ignorare quanto il loro valore simbolico ed etico sia sempre particolarmente elevato.
In questa settima stagione, in particolare, non si può fare a meno di notare come la maggior parte dei casi sottoposti all’occhio indagatore di Gregory House siano connessi all’ambito familiare, con un’attenzione inconsueta per il legame genitori/figli. E’ certamente chiaro che l’aspetto etico legato a questo argomento sia una zona grigia molto interessante da esplorare per una serie come questa, ma è altrettanto vero che le coincidenze stanno diventando particolarmente frequenti. Chissà se per quest’anno ci riserveranno un risvolto inedito?

  • House e gli altri: lo staff e Wilson

Che House non sia esattamente il datore di lavoro che tutti sognano, è abbastanza evidente e da molto tempo. Sin dal licenziamento di Cameron, Foreman e Chase, passando per la selezione di Taub, Kutner e “Thirteen”, lo show non ha mai smesso di mostrare quanto House abbia bisogno di una squadra che lo stimoli a trovare sempre nuove risposte, e quanto al contempo sia odioso con tutti i suoi sottoposti: non ha alcun rispetto né della loro privacy né dei loro sentimenti – se non in rarissime occasioni – e non perde occasione di dimostrare quanto possa comodamente fare a meno di loro (pur consapevole del fatto che in realtà ne ha davvero bisogno, e non solo in ambito lavorativo). Neppure il suicidio di Kutner (5×20 Simple Explanation) l’ha portato a cambiare atteggiamento nei confronti del suo staff e anzi, in alcuni casi è addirittura peggiorato (quando Foreman, all’inizio della sesta stagione, prende il suo posto a capo del dipartimento di diagnostica a causa del suo ricovero). Sarà sicuramente interessante, in questa settima stagione, analizzare in maniera ancora più approfondita il suo modo di relazionarsi con Martha M. Masters, studentessa al terzo anno che entra a far parte della squadra per ordini superiori (la Cuddy, of course) e che ha una spiccata caratteristica: dire sempre la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità – specialmente ai pazienti. Per House, praticamente la nemesi in terra.
E infine Wilson: il loro rapporto ha subìto un’involuzione nel corso delle stagioni – per cause diverse, perlopiù per Amber e per la dipendenza dal Vicodin – per poi riprendersi nelle ultime due, ma rimane l’unico vero legame che House abbia mai avuto con un essere umano, anche se spesso è sfociato nel costante sfruttamento da parte sua. E’ difficile pensare che si possano perdere sul serio, soprattutto perché il loro rapporto è spesso un gioco delle parti, di cui anche Wilson è cosciente e che spesso accetta di buon grado.

“Il rischio è di trasformare un’ottima idea in un one man show”, dicevo all’inizio, e da quello che ho scritto sembra esserlo. La realtà sta nel mezzo, come spesso accade: tutto gira intorno ad House, ed è vero, ma quello che impedisce alla serie di stancare e di sfociare nell’errore sta proprio nella cura con cui sono stati disegnati tutti gli altri personaggi, che non vivono solo di luce riflessa: hanno caratteri ben delineati, storie alle loro spalle a volte appena accennate eppure che già si intuiscono complicatissime, relazioni difficili e situazioni personali che emergono costantemente nel quotidiano.
Ma soprattutto ognuno di loro ha un modo diverso di rapportarsi con questa figura così estrema ed è proprio dalle interazioni di tutti questi personaggi, più che dai singoli casi del Princeton Plainsboro, che scaturisce la fortuna di questa serie.

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.

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