Anche quest’anno è giunto il momento di tirare le fila dei dodici mesi appena trascorsi: diciamola tutta, questo 2024 non è stato uno dei più indimenticabili per quanto riguarda il mondo televisivo. A livello globale il fenomeno della produzione di tantissimi contenuti degli ultimi anni propiziata dall’aumento del numero di piattaforme streaming è andato a scemare, complici anche le dirette conseguenze dello sciopero degli sceneggiatori del 2023 che ha influito su molte serie televisive di quest’anno (una su tutte per importanza è House of the Dragon. Un minore sovraffollamento di nuove serie ogni settimana, ma comunque ancora troppe per poter essere viste tutte, il che ci porta a proseguire con la tradizione inaugurata lo scorso anno: non più una classifica ma un elenco di serie piaciute alla Redazione che consigliamo caldamente di recuperare!
Quest’anno abbiamo scelto per voi ben 26 serie che pensiamo rappresentino il meglio che quest’anno televisivo ha saputo regalare: non ci sono distinzioni tra drama, comedy, dramedy o serie animate, questo anche perché ormai è sempre più difficile – dove non impossibile – incastonare un prodotto in una categoria specifica e le sperimentazioni in tal senso abbondano. Il criterio con cui sono state scelte è ovviamente soggettivo, ma d’altronde nella critica è da sciocchi o superbi pretendere di trovare dei criteri oggettivi con il quale valutare se una serie sia migliore di un’altra; quello che si spera invece è che da questo elenco possano nascere discussioni sane e costruttive attraverso le quali consigliarci a vicenda cose belle da guardare.
Ecco qui, quindi, con un ordine assolutamente casuale, le prime 13 serie del 2024 consigliate dalla Redazione di Seriangolo!
Nei commenti potete farci sapere se avete visto questi show, se vi sono piaciuti e se li consigliereste anche voi!
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Shrinking – AppleTV+
Dopo una prima annata molto buona, che tuttavia evidenziava una certa semplicità nella costruzione di alcune storyline, Shrinking è tornata con una seconda stagione che ha dimostrato di saper puntare ancora più in alto. La storia di Jimmy (Jason Segel) dopo la perdita della moglie Tia e del suo rapporto con la figlia Alice dopo un difficile primo anno si sviluppa ulteriormente, mostrando quanto il lutto sia insidioso e capace di mostrare i suoi lati più spaventosi anche quando sembra di avere finalmente la propria vita sotto controllo. Alle loro vicende si affiancano quelle dei comprimari, tra cui spiccano Paul (Harrison Ford) con i suoi tentativi di confrontarsi con una malattia degenerativa sempre più invasiva e Gaby (Jessica Williams) con il suo percorso di autoaffermazione. Attorno ci sono i loro pazienti, con cui intrattengono terapie decisamente poco convenzionali ma funzionali sia allo sviluppo dei loro personaggi che alla comedy stessa, ma ci sono anche gli altri protagonisti di questa grande famiglia allargata, che in questa stagione affrontano, ciascuno a modo loro, momenti di crescita importanti. Se la prima annata aveva gettato le fondamenta per mostrarci come questa serie potesse affrontare la terapia in modo diverso dal solito, la seconda mette tutti i personaggi sullo stesso piano, costruendo per ciascuno di loro delle storyline che fanno emergere temi difficili: legami familiari cristallizzati in dinamiche dolorose, il senso di perdita di sé, la depressione, ma soprattutto la capacità o meno di perdonare chi ci ha rovinato la vita per sempre.
Con l’aggiunta al cast, in un ruolo difficilissimo, di Brett Goldstein (già autore della serie e noto al grande pubblico come Roy Kent in Ted Lasso) e altre gradite comparse, la seconda stagione di Shrinking getta il cuore oltre l’ostacolo, prendendo decisioni non facili ma portando a termine un ottimo lavoro che ci farà attendere con ancora più impazienza la già annunciata terza stagione.
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True Detective – HBO
Alaska, il buio perenne, la misteriosa scomparsa di una decina di ricercatori, due detective che si mettono alla ricerca della verità che sembra possa essere spiegabile e irrazionale allo stesso tempo. Issa López ha dichiarato che questa stagione di True Detective è una sorta di “specchio oscuro” della prima, acclamata stagione: dove allora c’era il caldo e il sudore, qui c’è il freddo e il buio. Là dove c’era il maschio, qui c’è la femmina. Il risultato è di tutto rispetto: se la prima stagione forse rimane inarrivabile – se parliamo ovviamente di questo franchise – questo Night Country è di certo la stagione meglio riuscita delle altre. Jodie Foster e Kali Reis nel ruolo delle due protagoniste fanno sicuramente il resto, interpretando due personaggi agli antipodi ma che si rivelano magnetiche ed enigmatiche come non si vedeva da tempo in questa serie. Ovviamente anche la trama fa il suo, inserendosi in un’ambientazione che non fa nulla per farci sentire a nostro agio, anzi. Mescolata perfettamente poi con la popolazione inuit e le proprie ancestrali credenze, True Detective: Night Country mescola in modo abile il thriller (meno filosofico della prima stagione) e perfino l’horror, con alcune sequenze che ricordano molto da vicino quei film dell’orrore ambientati tra i ghiacci (uno su tutti: La Cosa di John Carpenter).
Se ve la siete persa – soprattutto se l’avete skippata dopo le delusioni delle altri stagioni di True Detective – il nostro consiglio è quella di recuperarla assolutamente: perfetta per queste vacanze, da gustarsi sotto le coperte con un bel tè caldo in mano, andando alla ricerca della verità fino a un vero e proprio sorprendente finale che non vi deluderà.
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Agatha All Along – Disney+
Diciamo la verità: non avremmo mai scommesso che il prodotto Marvel più interessante del 2024 sarebbe stato, senza dubbio alcuno, uno spin-off sul villain (?) di Wandavision, prima serie Marvel su Disney+ del 2021. Eppure, Agatha All Along, arrivata con i suoi nove episodi scritti da Jac Schaeffer, ha lasciato tutti sorpresi per aver colto in pieno il desiderio di divertimento degli spettatori (anche quelli più accaniti dei fumetti). Il problema cardine di molte serie Disney+/Marvel, infatti, era il ruolo subalterno rispetto ai film, quasi come servissero solo come riempitivi per presentare personaggi, situazioni e nuove storie da sviluppare un giorno al cinema; Agatha All Along, invece, si butta tutto questo alle spalle e si permette di creare una storia che, sebbene non si chiuda del tutto con la prima stagione, ha comunque una narrazione circolare di grande effetto. Molti sono i pregi della serie: ha un cast d’eccezione (trainato dalla sempre ottima Kathryn Hahn), una storia semplice ma scritta con efficacia (con qualche azzeccatissimo colpo di scena), e un’attenzione ai suoi personaggi che fa entrare immediatamente in sintonia con la coven. Menzione speciale, poi, al settimo episodio, uno dei migliori episodi della serialità Marvel finora (non a caso con protagonista una straordinaria Patti LuPone). Anche se ha bisogno di qualche episodio per ingranare completamente, questa (prima?) stagione di Agatha All Along è una vera delizia da non perdere.
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Ripley – Netflix
Nell’aprile di quest’anno seriale è arrivata su Netflix la miniserie Ripley, un adattamento seriale del romanzo thriller The Talented Mr. Ripley di Patricia Highsmith, di cui poi è uscito l’omonimo film nel 1999. Creata da Steven Zaillian, fin dai suoi primi minuti Ripley colpisce subito per la classe con cui le vicende e i sempre più subdoli comportamenti di Tom Ripley sono messi in scena: l’ambiguo truffatore di New York, interpretato magistralmente da Andrew Scott, viene presentato con grande cura, offrendoci il dipinto di un personaggio squisitamente imprevedibile e pervaso da un’aura di ambiguità che permette alla serie di renderlo sempre più inquietante puntata dopo puntata. L’ottima sceneggiatura e l’interpretazione di Andrew Scott conferiscono a Tom Ripley una disturbante sfuggevolezza: Tom è imprevedibile non solo nelle sue azioni – sempre compiute sotto il segno di un freddo cinismo –, ma anche nei suoi pensieri, mai davvero messi in luce fino in fondo. Elemento, questo, che rende il protagonista così interessante da seguire (per gli spettatori e per gli altri personaggi della serie) nonostante la malvagità e l’ambiguità delle sue azioni e che carica la serie di una profonda e notevole componente psicologica.
Se a tutto questo aggiungiamo una splendida regia che è stata capace di rappresentare gli ambienti italiani (ma non solo) degli anni ‘60 – in particolare con la splendida cornice di Atrani, in costiera amalfitana – e la scelta stilistica di utilizzare il bianco e nero che non fa altro che accentuare le atmosfere del tempo e l’oscurità degli eventi narrati, ecco che Ripley si conferma essere un piccolo gioiello capace di intrattenere con grande classe.
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Only Murders in the Bulding – Disney+
Con la sua quarta stagione, Only Murders in the Building, la serie comedy/mystery di Hulu creata da Steve Martin e John Hoffman e distribuita in Italia da Disney+, si è confermata come una delle poche certezze del panorama seriale contemporaneo. Dopo una terza annata ambientata a Broadway, quest’anno gli autori ci hanno portato a Hollywood, intrecciando le indagini sull’omicidio di Sazz alla realizzazione di un film basato sul podcast dei tre protagonisti. Fin dalla premessa appare chiaro come l’intento degli autori fosse quello di alzare la posta in gioco, individuando come vittima una figura legata a uno dei protagonisti, in particolare Charles, da un rapporto molto intimo e stretto. Inoltre, l’idea di affiancare la satira del true crime a quella della cultura hollywoodiana e del mondo dello spettacolo in generale, già presente fin dagli esordi dello show, raggiunge un nuovo apice nel corso di questi episodi, regalandoci momenti di grande comicità, ma non solo. Si conferma infatti l’abilità degli autori nel fondere momenti comici a momenti più profondi, come la rappresentazione dell’amicizia decennale tra Charles e Sazz, il tutto all’interno di una struttura narrativa (e metanarrativa) sempre più complessa, in cui quest’anno al podcast true crime si affianca il blockbuster hollywoodiano, con la presenza di guest star del calibro di Eugene Levy, Eva Longoria, Zach Galifianakis e Ron Howard. Già rinnovato per una quinta stagione, lo show si conclude, come ormai da abitudine, con un nuovo, ennesimo, omicidio: a fronte di un cast dalla chimica pazzesca e di una scrittura ancora in ottima forma, non possiamo che chiudere un occhio di fronte all’improbabile tasso di omicidi dell’Arconia, e attendere con trepidazione l’arrivo della prossima stagione.
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Tokyo Vice – HBO Max
HBO ci ha da sempre abituato a serie di ottimo livello, e con un catalogo così vasto è inevitabile che alcune opere non ottengano i risultati di pubblico sperati, portando a delle dolorosissime cancellazioni per i fan più affezionati. Tra le vittime più illustri di questo 2024 c’è Tokyo Vice, che con la sua seconda stagione – in onda su Max – ha però dimostrato pienamente tutto il suo valore, andando ad alzare ancora di più l’asticella rispetto al capitolo precedente, e meritandosi ampiamente un posto tra le serie più interessanti dell’anno. Tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Jake Adelstein – interpretato da un ottimo Ansel Elgort -, Tokyo Vice è ambientata nella capitale giapponese nel 1999, vista attraverso gli occhi del protagonista Jake, il primo straniero a diventare giornalista in un quotidiano nipponico (nella finzione il Meicho Shimbun, nella realtà lo Yomiuri Shimbun), e che segue la cronaca locale. L’istinto investigativo e la quasi morbosa ricerca della verità portano Jake a incrociare il cammino della Yakuza, una battaglia che affronta con l’aiuto del detective Hiroto Katagari (il grande Ken Watanabe). In questa seconda stagione la posta in gioco si alza ulteriormente, portando le due figure principali sempre più nel profondo della criminalità giapponese, in una serie che ha davvero tutto il sapore dei grandi racconti HBO. Se è vero che la cancellazione della serie lascia l’amaro in bocca visto il suo enorme potenziale, la grande fortuna è che Tokyo Vice si conclude riuscendo ad adattare completamente il romanzo di Adelstein, dando almeno quel senso di conclusione che troppo spesso viene a mancare in questi casi. Per gli amanti del genere poliziesco che si incrocia con il giornalismo, o anche solo per chi vuole scoprire qualcosa di più sul Giappone, Tokyo Vice è la serie perfetta, un prodotto che ha molto da offrire e che lo fa con grande stile.
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Slow Horses – AppleTV+
Sono ormai anni che Slow Horses, serie spy-thriller di AppleTV+, raccoglie consensi da pubblico e critica – non per niente è stata da poco rinnovata fino a una sesta stagione, un traguardo non da poco nell’era dello streaming. Creatore e showrunner della serie è Will Smith (non il noto attore e rapper protagonista di Men in Black, bensì un omonimo sceneggiatore britannico con un’ottima esperienza in TV) che si è basato sulla serie di romanzi di Mick Henron che raccontano le peripezie della squadra dei “perdenti” dei servizi segreti inglesi, chiamati appunto nel gergo “slow horses”, ovvero quegli agenti che, per un motivo o per un altro, sono stati dequalificati e relegati a lavorare in lugubri e umidi uffici di Londra, lontano dal lavoro sul campo. La forza della serie sta in primis nella scrittura dei personaggi, tra cui spicca il trasandato Jack Lamb, interpretato da un Gary Oldman in una delle interpretazioni migliori della sua carriera, ma anche nella gestione narrativa delle stagioni che, eccezionalmente, sono molto brevi – solo sei episodi ognuna.
Questa quarta annata comincia con un attentato nel cuore di Londra e prosegue con una storia che si sviluppa tra l’Inghilterra e la Francia, scavando nel passato di alcuni dei protagonisti e riportando alla luce scomode verità, tra cui il villain della stagione interpretato magistralmente da Hugo Weaving (The Lord of the Rings, Matrix). Anche in questo caso la scrittura e brillante, con un ritmo che non cala mai e una serie di colpi di scena piazzati ad hoc per mantenere la tensione narrativa alle stelle.
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Hazbin Hotel – Prime Video
Tra le produzioni Prime che hanno goduto di grande successo in questo 2024 c’è da annoverare Hazbin Hotel, una serie animata musical nata con un episodio pilota su YouTube nel lontano 2019. Arrivata finalmente quest’anno con grandi aspettative, ha rapidamente bruciato vari record. La serie è incentrata su Charlie, la principessa dell’Inferno, che cerca di evitare l’annuale strage di anime infernali compiute dagli angeli. Ecco, quindi, la sua soluzione: creare un hotel in cui i peccatori possano redimersi e conquistare il paradiso post-morte. Caratterizzata da canzoni orecchiabilissime (sia in italiano che in inglese), la serie è un coraggioso intrattenimento che si arrischia a parlare di violenza, dipendenza, redenzione e molto altro pur usando un linguaggio accessibile (e sboccato). Lo stile grafico della creatrice Vivienne Medrano è inoltre facilmente riconoscibile e rende il prodotto unico nel suo genere, nonché perfetto per cosplay e condivisione social. Anche se atipico e chiaramente non concluso nel suo arco generale (Prime ha già rinnovato la serie per tre stagioni, consapevoli però che i tempi di produzione saranno assai dilatati), Hazbin Hotel piacerà non solo agli appassionati del genere, che si ritroveranno a canticchiare le canzoni per un bel po’, ma anche a chi cerca un intrattenimento animato tutto sommato semplice e a cui perdonare qualche leggerezza qua e là.
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Arcane – Netflix
Arcane è terminato. Dopo una prima stagione fenomenale e una seconda annata più tiepida, una delle perle dell’animazione contemporanea ha chiuso i battenti, per rifluire nella grande marmitta di racconti che sarà Runeterra, il mondo dell’ambientazione del franchise di League of Legends. L’eredità di Arcane non è un fardello semplice da portare, e non lo è stato per lo show stesso. Abbiamo visto il ritorno di personaggi iconici che oramai hanno soppiantato le loro controparti videoludiche in quanto a spessore e profondità, e di un’animazione superba dove ogni fotogramma potrebbe essere studiato all’infinito per scoprirne i dettagli, i simbolismi nell’uso dei colori e delle prospettive, ma purtroppo non si è replicato il miracolo della prima stagione per quanto riguardo la storia che ha messo da parte le vicende di Piltover e Zaun. Non sono mancati i momenti struggenti e le scene memorabili, né sono venuti meno i punti di forza che hanno reso Arcane una pietra miliare della serialità animata sin dai primi tre episodi nel 2021, ma c’era così tanto da raccontare e così poco tempo, che gli showrunner hanno optato per un finale di maniera, retto da un personaggio insipido per cui è facile fare il tifo, il tutto su binari più sicuri possibili che non insistano troppo sui conflitti di classe, su cui casa Riot ha dimostrato più volte di non voler calcare troppo la mano come la ribellione in sordina di Mageseeker o alcuni corti animati sull’ambientazione sui campioni di League of Legends. Nonostante tutto, Arcane rimane un testamento su quanto sia possibile realizzare tramite l’animazione e traccia un’importante linea rossa che parte da The Legend of Korra fino a She-Ra: The Princesses of Power, Owl House, Vox Machina e molti altri show ed è giusto ricordare la sua ultima stagione, nel bene come nel male.
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Baby Reindeer – Netflix
Uno degli show più popolari e controversi di quest’anno è certamente Baby Reindeer: adattamento di uno spettacolo autobiografico di Richard Gadd – ideatore e attore protagonista della serie – ha stupito per la sua capacità di tenere incollati allo schermo con una storia dalle note aspre, facendosi largo nel panorama seriale. Le sue note vincenti sono tanto le tematiche quanto la loro rappresentazione cruda: molestie, stalking, ansia e disturbi paranoidi si intrecciano in un mix vorticoso articolato in sette episodi. La miniserie Netflix prende avvio da uno stravolgimento nella vita del protagonista, Donny, bartender colpevole di offrire un drink alla donna sbagliata, nel momento sbagliato. Così un gesto di banale gentilezza si trasforma in un susseguirsi di insistenze, abusi e minacce fuori controllo, che portano la narrazione a un livello sempre più pesante e cupo, rendendo di pari passo la visione sempre più difficoltosa.
Il punto di vista di vittima maschile – non così frequente – è complice del successo della serie, che porta così in scena temi nostro malgrado presenti nel quotidiano di ciascuno, ma attraverso un rovesciamento di prospettiva rispetto al paradigma più frequente in cui è l’uomo a essere carnefice. Scene così intense da togliere il fiato, uno stile narrativo che si snoda tra i voice over quasi apatici del protagonista, i messaggi sgrammaticati e inquietanti della stalker Martha – interpretata magistralmente da Jessica Gunning – e un rapporto che prende sempre più i tratti di un’ossessione: questi gli elementi cardine del prodotto, che ha tanto fatto discutere per la sua crudezza. Uno show come Baby Reindeer difficilmente sparirà dai radar e questo per essere riuscito nell’intento di arrivare a una larghissima fetta di pubblico con temi faticosi in modo diretto, con un racconto d’impatto sul trauma dell’abuso, apprezzato da molti proprio grazie al suo spiccato realismo.
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The Bear – Hulu
Dopo una seconda stagione che ha raccolto il consenso unanime di spettatori e critica, The Bear si trova ad affrontare una prova molto più difficile con il suo terzo appuntamento televisivo, in cui la serie decide di focalizzarsi sui suoi personaggi e sulle dinamiche interne che ne muovono le decisioni. Per questo motivo, la terza stagione presenta un ritmo sicuramente più riflessivo e cadenzato rispetto alle scorse: a una lettura più attenta, è evidente che si tratti di una scelta obbligata per fare da contraccolpo alla frenesia che ha caratterizzato la storia fino al pathos della seconda annata. Quasi tutti i protagonisti erano riusciti a “realizzarsi” nella stagione precedente; la serie decide quindi di fare un passo indietro e scoprire, scavando dall’interno, quali sono le motivazioni, le passioni e le paure dei personaggi che aveva fatto sbocciare nella seconda stagione.
Pur avendo una struttura più intimista e meno velocizzata rispetto alle annate precedenti, The Bear non si smentisce e confeziona degli episodi che toccano le corde più intime degli spettatori; un caso tra tutti è quello di “Napkins“, che racconta la backstory di Tina in modo delicato, contribuendo a rendere efficace il cambio di ritmo della stagione. The Bear continua a non edulcorare le difficoltà del settore della ristorazione e lo fa in modo efficace, raccontando della continua ricerca della perfezione di Carmy, che si traduce nell’acquisto di materia prima sempre più ricercata, e nel racconto del quartiere dove è localizzato il ristorante, dove altre realtà di successo finiscono per chiudere, seppellite dai costi di gestione. Alternando il consueto realismo alla necessità di premere il freno, la terza stagione di The Bear è un tassello imprescindibile per la struttura unitaria della serie, e con l’avvicendarsi della quarta annata diventerà ancora più necessaria: un lungo respiro prima del “servizio finale“.
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Sugar – AppleTV+
Con l’incremento di anno in anno del volume di produzioni televisive, non sempre accompagnato da un parallelo aumento della qualità delle stesse, Apple TV+ si affianca alla veterana HBO nella creazione di prodotti innovativi e di valore, e fra questi vi è Sugar : miniserie da otto episodi che porta nel 2024 l’amatissimo genere neo-noir con un twist che riesce a innovare il filone e ad adattarlo alle produzioni odierne. L’uso del bianco e nero, di piani lunghi e dell’effetto iride, grazie alla sapiente regia di Fernando Meirelles, donano raffinatezza e movimento alla serie TV che per natura della narrazione, una tipica storia crime, è lenta e riflessiva. A rendere però eccezionale questa produzione è il protagonista da cui deriva il nome della serie, il detective Sugar, interpretato magistralmente da Colin Farrell. Sugar è un personaggio enigmatico: fa l’investigatore privato ma non ama la violenza – la usa solo quando è strettamente necessaria -, ha un animo gentile nonostante la sua città, Los Angeles, e il suo lavoro gli mostrino sempre il lato peggiore dell’umanità ed è sempre curato e preparato, in completa antitesi con i classici detective burberi e rozzi che caratterizzano il genere. E sono proprio la sua dedizione e il suo ottimismo verso le persone che lo spingono a prendere in carico il caso della sparizione della nipote del famoso produttore cinematografico Jonathan Siegel; un caso apparentemente semplice e in linea con le classiche serie TV crime, ma che nel corso della serie avrà risvolti sempre più interessanti anche nella vita personale dello stesso Sugar.
Nonostante la lentezza dei primi episodi, Sugar è un prodotto di una raffinatezza ed eleganza uniche che riesce a far trasparire l’amore che regia, attori e scrittori hanno per il mondo del cinema.
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Qui Non è Hollywood – Disney+
La serialità televisiva italiana, si sa, vive di alti e bassi, tra produzioni generaliste che non riescono ad allontanarsi dai soliti binari narrativi e culturali e prodotti che cercano di uscire dal selciato ed emulare le grandi produzioni internazionali. Nell’ambito del genere true-crime, per esempio, che tanto va per la maggiore negli ultimi tempi a livello globale, il nostro paese è decisamente indietro; anche per questo motivo l’annuncio di una serie di questo tipo che racconta le note vicende del delitto di Avetrana del 2010 aveva fatto storcere il naso a molti. Il timore era che lo show non sarebbe stato in grado di esimersi dall’esprimere giudizi sul caso, che avrebbe potuto essere offensivo per le vittime o che semplicemente sarebbe stata una brutta serie, fatta male e con poco o nulla da aggiungere a tutto quello che già conosciamo. Il risultato, per fortuna, è stato invece di livello molto alto, quasi sorprendente. Tralasciando la controversia sulla scelta del nome dello show – inizialmente il titolo doveva essere proprio “Avetrana – Qui non è Hollywood”, poi sostituito dal solo Qui Non è Hollywood a causa di un ricorso del sindaco della città in questione – parliamo invece di come il produttore Matteo Rovere (Veloce come il vento, Supersex) e il regista e sceneggiatore Pippo Mezzapesa (Ti mangio il cuore, Il bene mio) siano riusciti a creare una miniserie ottimamente realizzata in tutte le sue componenti: scrittura e regia funzionano alla perfezione, il cast è azzeccatissimo (Vanessa Scalera e Paolo De Vita offrono grandi interpretazioni) e la scelta di concentrarsi su un personaggio alla volta permette di esplorare la vicenda da punti di vista diversi. I temi che emergono dalla visione, poi, sono tutt’altro che banali: dalla spettacolarizzazione del dolore alle criticità del contesto della provincia del Sud Italia.
Appuntamento a domani con le altre tredici serie consigliate dalla Redazione!