Cosa può spingere un membro della nobiltà delle Barbados ad abbandonare la sua famiglia e la sua vita di agi e ricchezze per diventare un pirata? Soprattutto, cosa può avere quest’uomo di così peculiare da attirare l’attenzione del famoso pirata Barbanera e finire sotto la sua protezione? Sono queste le domande che si è posto David Jenkins quando, incuriosito dalla vita e dalle avventure del Pirata Gentiluomo, capitano pirata barbadiano vissuto fra il XVII e il XVIII secolo, approfondisce la sua pagina Wikipedia e cerca di riempire i vuoti della stessa, immaginandosi la vita condotta da questi due uomini. La sua curiosità e immaginazione lo porteranno a scrivere una delle serie TV più discusse del 2022 e 2023: Our Flag Means Death.
Our Flag Means Death è una commedia romantica storica uscita sulla piattaforma HBO Max nel marzo 2022. Liberamente ispirata alla vita del Pirata Gentiluomo, Stede Bonnet, la serie racconta, attraverso episodi di circa mezz’ora ciascuno, le avventure di Stede come pirata e del suo rapporto con il famigerato Barbanera durante gli anni d’oro della pirateria (XVIII secolo). La storia di Stede, infatti, si presta facilmente al genere della commedia, essendo un nobile dal cuore tenero senza alcuna esperienza né con la gestione di una nave e un equipaggio, né con la violenza che caratterizza la vita di un pirata. Proprio la sua inesperienza porterà lui e il suo equipaggio a scampare ogni sorta di pericolo, fino a quando la sua nave, The Revenge, non si troverà faccia a faccia con Barbanera e i suoi pirati: un incontro che trasformerà la vita di entrambi.
La serie TV, la cui seconda stagione è andata in onda quest’ottobre, annovera fra i suoi produttori Garrett Basch (produttore della magnifica The Night Of) e Taika Waititi, il cui nome non ha più bisogno di presentazioni, essendo presente in tutti i principali franchise del momento: dalla Marvel con i suoi due film sul dio norreno Thor a Star Wars, per cui ha diretto alcuni episodi di The Mandalorian e per cui attualmente sta lavorando a un film. Quest’ultimo, come spesso accade nei progetti in cui è coinvolto, non si limita al ruolo di produttore esecutivo, dato che si occupa anche della regia del pilot e interpreta il famoso Barbanera al fianco di Rhys Darby, suo collaboratore di lunga data. I due, infatti, hanno lavorato insieme nel mockumentary del 2014 What We Do In The Shadows e, più di recente, nel film di Waititi Next Goal Wins, uscito nelle sale americane il 17 novembre 2023 mentre in Italia arriverà nel primo mese del 2024.
Oltre alla presenza di nomi celebri sia nella produzione che nel cast (citiamo ad esempio Ewen Bremner apprezzato dal pubblico per il suo ruolo in Trainspotting), ciò che rende questo prodotto MAX Original così popolare – nonostante il poco budget marketing dedicatogli – è lo spazio che ha deciso di dare alle minoranze e alla comunità LGBTQ+ in una storia ambientata nel 1717. Nel cast principale vediamo, infatti, la presenza di attori neri inglesi e americani, neozelandesi di origine samoana e maori e un attore portoricano non-binario. Attraverso un casting attento e un team eterogeneo di scrittori, Jenkins ha cercato di dare spazio a voci marginalizzate, raccontando la realtà storica delle persone non bianche e queer, senza relegarle a ruoli secondari e senza trasformarla in una performance del dolore ma, anzi, mostrandoci che, nonostante la vita nel XVIII secolo non fosse sempre facile per loro, non è tutta sofferenza: c’è anche tanta gioia, spensieratezza e amore. Nonostante ciò, la serie non rinnega il razzismo dell’epoca storica, infatti i personaggi sono vittime di alcuni episodi di razzismo da parte soprattutto dell’élite inglese, ma attraverso gli strumenti della commedia gli accusatori diventano la punchline della storia – e non le persone discriminate come spesso accadeva in passato. Si dà, quindi agli spettatori la possibilità di schierarsi con l’equipaggio e prendere le distanze da atteggiamenti discriminatori.
Le difficoltà della vita in mare non scalfiscono quindi il rapporto che si crea fra i membri dei due equipaggi, ma sembrano rafforzarlo. Momenti di convivialità nel pub della Repubblica dei Pirati si alternano a saccheggi non sempre ben riusciti: il tutto porterà i vari personaggi a conoscersi meglio, a fidarsi gli uni degli altri e a diventare quasi una famiglia.
Forte in Our Flag Means Death è, infatti, il tema della found family, la famiglia per scelta. Per i personaggi l’essere un pirata diventa qualcosa di più di un semplice lavoro fatto per guadagnare qualche soldo; diventa uno status quo, simbolo di appartenenza a qualcosa di più grande: una comunità fatta sì di violenza, ma anche di rispetto, fiducia e amore per il mare e per la propria found family. Quello che sembra un mondo all’apparenza caotico in realtà, proprio come ogni comunità, è regolato da storie – tramandate di generazione in generazione -, tradizioni e regole che permettono ai membri dei vari equipaggi di rispettarsi e proteggersi quando, ad esempio, ci si incontra nei pub e nelle locande della Repubblica dei Pirati oppure quando ci si ritrova ad affrontare nemici comuni, come ad esempio le flotte delle varie nazioni.
Il concetto della found family si ritrova molto spesso anche in altri contenuti a carattere LBGTQ+ poiché spesso i personaggi allontanati dalla famiglia d’origine a causa del proprio orientamento sessuale,si ritrovano a ricostruirsi una vita circondandosi di persone dallo spirito affine.
Strettamente correlato alla famiglia per scelta è il tema dell’amore che nella serie ricorre in molteplici aspetti: vi è il sopracitato amore per il mare, fondamentale per molti personaggi che hanno plasmato la loro vita intorno ad esso, l’amore platonico, mostrato nel rapporto di fratellanza che lega i personaggi, ma anche l’amore romantico. Ciò che separa nettamente Our Flag Means Death da molte altre serie che hanno relazioni LGBTQ+ al loro interno è la libertà e la spensieratezza con cui i personaggi vivono questi rapporti. Non ci sono sotterfugi, relazioni nascoste o difficili da accettare; sono lontani i giorni delle serie TV dove le relazioni queer si basavano esclusivamente sul detto-non detto, su sguardi rubati in varie scene e dialoghi dalle molteplici interpretazioni. Jenkins ha saputo captare e sfruttare appieno un bisogno espresso da una grande fetta di pubblico, soprattutto giovane: quello di vedersi rappresentati in televisione e vedere i propri amori legittimati ed espressi proprio come nella realtà.
Anche per quanto riguarda le relazioni queer, inoltre, è totalmente assente il cosiddetto trauma porn: i rapporti amorosi fra i personaggi non hanno automaticamente un’accezione tragica, nonostante il periodo storico tendenzialmente omofobo, almeno sulla terraferma. Questo perché, ad aiutare gli sceneggiatori nel raccontare queste esperienze e a creare quasi un porto sicuro per la propria audience, viene incontro la storia della pirateria. Si mette da parte l’idea romanzata – e maschilista – del pirata che spende il suo bottino principalmente in rum e belle donne per dar spazio anche all’altra faccia della pirateria, il matelotage: un’unione fra pirati dove si decideva di condividere il proprio bottino con un altro pirata, sia in vita che in caso di morte. Anche se non sempre questa pratica implicava una relazione amorosa, era spesso utilizzata come strumento per validare rapporti che altrimenti erano considerati illegali dalla società.
Si mette in mostra, quindi, un modello di amore non sempre raccontato – anche dalla stessa storiografia – oltre a stravolgere completamente l’idea machista di uomo: i personaggi ridefiniscono la mascolinità secondo i propri bisogni andando oltre gli stereotipi per cui un uomo non deve amare apertamente, non deve esprimere emozioni come la tristezza o deve per forza avere un determinato aspetto fisico. La comunicazione diventa lo strumento fondamentale per permettere a questi personaggi di amare profondamente e di essere al 100% se stessi.
Infatti ciò che rende Our Flag Means Death unica è proprio la sua capacità di sfruttare il potere della comunicazione sana per mostrare un modo di relazionarsi finora mai visto in TV e, allo stesso tempo, giocare sulla dicotomia fra i personaggi, l’ambientazione storica e il tipo di linguaggio utilizzato per creare la spinta comica della serie: una combo che travolge lo spettatore e lo fa innamorare. Assistiamo, ad esempio, a discorsi sull’impatto della violenza sulla salute mentale, sulle relazioni tossiche che a volte si possono instaurare fra i membri di un equipaggio e sul bisogno di trovare la propria strada e la propria felicità; il tutto mentre si saccheggia una nave o si combattono presunte maledizioni arrivate sulla nave. Proprio la sua capacità di stupire l’audience con una commistione di generi, linguaggi, personaggi e storie quasi agli antipodi gli uni dagli altri permette alla serie di distinguersi nettamente dal panorama seriale attuale a cui si è abituati, diventando il fenomeno mediatico a cui stiamo assistendo.
Our Flag Means Death trova il suo spazio nel panorama emergente di serie TV – come ad esempio Heartstopper di Netflix – che pone al centro della sua narrazione comunità e minoranze finora lasciate ai margini della serialità e della cinematografia con un twist che le permette di distinguersi e lasciare il segno: il lieto fine per ogni età. La serie di Jenkins, infatti, mostra che vivere la propria vita senza compromessi e senza doversi nascondere non è appannaggio solo degli adolescenti di oggi, ma è una strada possibile anche per pirati adulti, gay e non-binari. Our Flag Means Death è il trionfo del divertimento, dell’amore e dell’accettazione di sé e degli altri. Impossibile non consigliarla a chi ricerca una ventata di freschezza, dolce e divertente allo stesso tempo, nell’attuale panorama di serie TV.