The Bear – Stagione 3 14


The Bear - Stagione 3Dopo il successo della prima stagione e l’ancor più grande risonanza della seconda, l’acclamata serie di Christopher Storer The Bear, vincitrice di numerosi premi tra cui Emmy e Golden Globe, è arrivata il 27 giugno col suo terzo capitolo (dieci episodi usciti su FX Hulu disponibili in Italia su Disney+ il 14 agosto). Le aspettative, inutile dirlo, erano altissime: l’ottima accoglienza di pubblico e critica ha portato la serie a diventare un fenomeno di culto, così come gli attori del cast (in particolare Jeremy Allen White e Ayo Edebiri). Tuttavia, come spesso accade, le aspettative possono diventare un’arma a doppio taglio, soprattutto per uno show che ha fatto della sua estetica, del ritmo e del suo modus narrandi un unicum nella serialità contemporanea; la terza stagione di The Bear rimane su livelli molto alti secondo ognuno di questi criteri, ma qualcosa scricchiola nell’innovativa creazione di Storer. E i motivi sono più di uno.

Che il successo di un prodotto diverso dagli altri possa portare a voler alzare l’asticella creativa, e che nel farlo si possa finire fuori dai margini, è un rischio inevitabile se si vuole andare avanti e mostrare di avere ancora cose da dire e modi nuovi per raccontarle. Le peculiarità dello stile di The Bear – il ritmo serrato, le frenate improvvise con episodi flashback, il montaggio che si stacca dalla realtà per farsi emotivo e affine alla libera associazione mentale – sono parte della fortuna delle prime stagioni, e questo Storer lo sa: trovare quindi un certo autocompiacimento nel riproporle in maniera ancor più particolare o “sofisticata” era forse solo questione di tempo. Ciononostante la serie rimane di alta fattura, sia sul lato formale sia sulla costruzione di personaggi che, salvo un paio di eccezioni di cui parleremo, rimangono scritti con un altissimo lavoro di cesello in termini di profondità psicologica. Ed è qui che questa annata pone il pubblico in crisi: può una stagione avere queste caratteristiche e tuttavia apparire manchevole, quasi sfilacciata, dispersa in maniera centrifuga e al contempo richiusa in se stessa, con i suoi pregi e i suoi difetti dilatati fin quasi al parossismo?

The Bear - Stagione 3La terza stagione doveva rappresentare una sorta di sintesi, dopo la pars destruens della prima (in cui Carmen Berzatto lavorava al The Beef con l’obiettivo di rivoluzionarlo, e dunque distruggerlo) e la pars construens della seconda (in cui si assiste all’ufficiale distruzione del primo locale, ma solo per costruire il The Bear). Nessuno si era davvero illuso che dalla cena di inaugurazione in poi sarebbe stata tutta discesa, e questo perché il protagonista (ma non solo lui) è un soggetto psicologicamente instabile, figlio di una famiglia disfunzionale, dei traumi che l’hanno caratterizzata e di quelli che Carmy stesso ha continuato a riproporre all’interno della sua vita, secondo uno schema di coazione a ripetere che ora si inserisce d’imperio in un quadro patologico.
Non ci stupisce quindi che l’ambiente del The Bear collassi intorno a una figura così fragile e impositiva al tempo stesso; ma mentre osserviamo come, con una scrittura attenta e realistica, il trauma di Carmy si dipani dentro e intorno a lui, creando vittime più o meno raggiunte dal suo vortice autodistruttivo, la struttura della serie sembra essere colpita dalla medesima disfunzionalità, da quello stesso vagare un po’ a caso, senza un centro narrativo pulsante che tenga salde le fila della narrazione anche quando ce ne si allontana temporaneamente (una dinamica che invece ha funzionato bene nelle prime stagioni).

The Bear - Stagione 3The Bear è una serie in cui il “come” è sempre stato più importante del “cosa”, ma questa volta non tutto ha funzionato e la bilancia ha cominciato a pendere troppo da un lato: il problema non è tanto che “non accada nulla” (non è vero, ma soprattutto non è poi così rilevante nella riuscita di una serie), quanto che si viva la stagione con un costante senso di preparazione a qualcosa che pare non arrivare mai.
E così si arriva all’ultima scena, in cui il senso di incompiutezza si concretizza con quel “To be continued” che non lascia dubbi: con ogni probabilità questa sensazione è stata una scelta voluta, ma il risultato è stato più confuso del necessario, e l’impressione di aver passato il tempo a “girare intorno” alle cose ha superato quella – che forse era davvero l’obiettivo di Storer – di impaziente trepidazione per la quarta stagione. Quest’ultima era stata già “silenziosamente” confermata a marzo, quando erano arrivate indiscrezioni secondo cui il cast stava girando la terza e la quarta annata “back to back”, una dietro l’altra; la notizia è stata poi parzialmente smentita, perché in effetti alcune scene sono già state girate, ma non si è per nulla parlato di un avvicendamento rapido delle due stagioni.

Il problema è che, a giudicare dalla terza, quest’idea di racconto diviso in due sembra esserci stata davvero: il risultato è che ci si trova davanti a quella che pare una lunga premessa (ottima sotto tanti profili, eccellente nella rappresentazione del trauma, con almeno un paio tra gli episodi migliori della serie) a un racconto che invece deve ancora arrivare. Giochiamo sempre su alti livelli, dunque, ma il meccanismo narrativo pare essersi avviluppato su se stesso: gli elementi ci sono, ma manca la sensazione che ci sia davvero qualcuno al timone di questa annata.

ATTENZIONE: DA QUI IN POI SEGUONO SPOILER SULLA STAGIONE!

“Non-negotiables. That’s how we do this correctly”/ “Am I fucking this up?”

The Bear - Stagione 3Se la scorsa stagione si era conclusa con la convinzione di Carmy che per non fallire sul lavoro si debba rinunciare a una vita privata, quest’annata riparte da lì, ma si concede il tempo di una puntata, “Tomorrow”, per allargare il focus, riempire i buchi tra flashback e racconti, e soffermarsi con più attenzione sull’origine dei traumi di Carmy – che in realtà sono “uno e trino”. Con queste puntate non assistiamo a una rivelazione scioccante in merito a queste tre manifestazioni, anzi, possiamo dire che molto spesso non facciamo che assistere a scene già viste, implementate da altre che creano il contesto ma nulla di più: eppure ne usciamo con una conoscenza molto più profonda del protagonista (e non solo), sempre perché non è una questione di “cosa” ma di “come”. Montare insieme certe scene ha un valore perché crea connessioni, epifanie e associazioni tra idee e ricordi che insieme valgono molto di più della somma delle loro parti.

È così che capiamo come il trauma originario (quello genitoriale: l’abbandono del padre ma soprattutto l’alcolismo di Donna) abbia lasciato la sua impronta ma abbia al contempo creato le condizioni per il secondo trauma, quello fraterno. Mikey era, come Carmy e Sugar, soggetto a un “alcolismo di famiglia”, come viene definito tecnicamente, dove la dipendenza di un membro del gruppo influenza in modo inevitabile tutti i componenti della cerchia familiare. Mikey in particolare ha poi sviluppato una dipendenza personale, le cui conseguenze dal punto di vista del protagonista sono diventate nuovi traumi: prima l’allontanamento agito dal fratello – dunque un abbandono, un altro –, poi la scoperta tardiva di non aver potuto impedire la sua dipendenza (dopo quella di sua madre) e in ultimo la perdita definitiva con il suicidio. Da questa diade lacerante, composta da spinte uguali e opposte che vedono una costante preoccupazione per i propri familiari affiancata dalla fuga e dall’evitamento degli stessi (sia da parte di Carmy che di Sugar), si genera la ferita che ha portato Carmy, nel periodo della sua formazione, al terzo trauma, ossia a interiorizzare i comportamenti dell’unico chef abusante tra tutti quelli per cui ha lavorato.

The Bear - Stagione 3Non facciamo certo ora la conoscenza di David Fields, ma è solo in questa stagione che capiamo la profondità del danno creato: e questo non solo perché è una persona ignobile, che reputa la salute mentale qualcosa di sacrificabile in vista dell’eccellenza, ma perché il suo comportamento si incastra alla perfezione con la ferita originaria e secondaria di Carmy.
Caratteristiche frequenti nei figli di persone con dipendenze sono l’esigenza di controllo totale, l’aspirazione alla perfezione, il dover costantemente dimostrare qualcosa agli altri per sopperire alle proprie insicurezze interiori: se queste non vengono decostruite correttamente, portano spesso a stili di vita difficili da sostenere. Il percorso lavorativo di Carmy è stato modellato da una persona abusante, i cui comportamenti così pieni di violenza si sono innestati sui suoi vuoti, generando una spirale di autodistruzione e, al contempo, di riproposizione sugli altri del trauma subìto. Se nel corso delle prime stagioni gli atteggiamenti negativi di Carmy apparivano più o meno numerosi, è in questa annata che il tutto raggiunge la soglia critica, perché ormai è uno chef di prim’ordine e deve dimostrare costantemente di meritarselo: a suo fratello, alle persone intorno a lui, al David Fields nella sua testa, in definitiva a se stesso, l’unico per cui niente sarà mai abbastanza – perché la perfezione non esiste, il controllo totale è un’illusione e perseguirle conduce solo a una perenne frustrazione.

The Bear - Stagione 3Il suo modo di agire nei momenti in cui emerge l’istinto, dunque l’inconscio, non fa altro che creare un ambiente lavorativo tossico, in cui tutti patiscono le conseguenze della sua pessima condotta e in cui il ciclo del trauma viene ripetuto attraverso parole e atteggiamenti identici a quelli che tanto l’hanno ferito in passato.
A differenza di Fields, però, Carmy non si comporta così in quanto sadico, ma in quanto persona ferita: e sono due cose ben diverse. Lo osserviamo per tutta la stagione essere spinto da due impulsi opposti, quello più forte (che prende le mosse dai suoi traumi) e quello più debole, che porta a momenti in cui Carmy riconosce che qualcosa non va, chiede scusa, si interroga sui suoi errori e promette di cambiare. Ma sono solo parole, che rimangono sulla superficie e che non riescono a modificare la sostanza perché non c’è consapevolezza di quanto a fondo sia radicato questo disturbo. Ci sarà da capire se Carmy, avendo finalmente affrontato Fields, farà a tempo a invertire la rotta: prima che finiscano i soldi di Uncle Jimmy, prima che Sydney capisca che se ne vuole andare con Shapiro, prima di perdere davvero tutto e tutti perché incapace di imparare la lezione di Chef Terry: quando non hai idea di dove stai andando, non cercare di controllare ogni cosa, perché in realtà tutto può accadere e “proprio per questo sei invincibile”.

“I don’t remember your mom”
“You don’t want to.”

The bastard made me very, probably mentally ill”, dirà Carmy nel season finale, riconoscendo per la prima volta ad alta voce i danni subiti da Fields (un sempre spaventoso Joel McHale), ma senza capire perché lo abbiano devastato così tanto. Noi invece abbiamo ormai capito che all’origine di tutto, anche dei problemi del ristorante, c’è quindi il trauma generazionale della famiglia Berzatto, di cui Sugar e Donna sono le altre due protagoniste: l’episodio a loro dedicato, “Ice Chips”, è quasi interamente girato nella stanza di ospedale in cui Sugar sta affrontando il travaglio, ed è proprio nel momento più delicato della sua vita che riesce ad affrontare i propri demoni. La paura di trasmettere alla figlia la sua stessa ferita è più forte di qualunque ritrosia al confronto con la madre, e questo si incrocia, per una volta con un pizzico di fortuna, con una fase della vita in cui Donna (una di nuovo strepitosa Jamie Lee Curtis) sta cercando di prendersi cura di sé: si apre all’ascolto, accetta le parole della figlia, si scusa. Ma soprattutto dà udienza, letteralmente, ai sentimenti della figlia, ai danni che le ha causato, ai pensieri intrusivi che saranno pure “irrazionali”, ma che non per questo cessano di esistere o di essere estenuanti.

The Bear - Stagione 3Alla fine dell’episodio precedente, “Legacy”, sentiamo per qualche secondo quello che Sugar ascolta mentre è in macchina: è una guida alla comprensione dei comportamenti dei figli di alcolisti, che la teoria psicologica divide in cinque tipologie – Facilitatore, Eroe, Capro Espiatorio, Mascotte, Bambino Perduto. Tutti i figli Berzatto rientrano in queste categorie variamente mescolate: Mikey era colui che mascherava le conseguenze dei conflitti attraverso il senso dell’umorismo (Mascotte) e al contempo quello che si metteva nei guai e che attirava l’attenzione su di sé (Capro Espiatorio); una caratteristica, quest’ultima, che parzialmente condivide con Carmy (“I think you’ve managed, in a miraculous way, to make this about yourself”, gli dice Syd nel secondo episodio, “Next”), che però ha maggiormente i tratti del Bambino Perduto, che evita il conflitto con la fonte del trauma e che riduce i contatti con l’esterno; Sugar, infine, ha il ruolo di Facilitatore e di Eroe al tempo stesso, perché cerca sempre di rendere felice sua madre (e gli altri) a costo della sua salute mentale e fisica, apparendo più responsabile dei fratelli ma non per questo meno sofferente.
L’abilità della scrittura nel farci comprendere quanto il trauma sia una questione generazionale si trova nello scambio riportato a inizio paragrafo, in cui con due sole battute ci viene fatto capire quanto Donna a sua volta sia stata vittima di sua madre e come questo ciclo non possa che ripetersi all’infinito se non c’è qualcuno (in questo caso Sugar) che lavora su di sé abbastanza da provare a fermarlo.

I don’t need to be inspired. I don’t need to be impassioned. I don’t need to make magic.
I don’t need to save the world, you know?

Per quanto riguarda il resto della brigata, la stagione lavora discretamente nel concedere a ciascuno di loro un tempo sufficiente a farci capire in che stato d’animo siano i suoi componenti. E, a differenza della brigata del ristorante Ever, non stanno affatto bene.
Marcus è in piena fase di lutto dopo la morte della madre, e questo inaspettatamente lo mette molto più in connessione con Carmy: i loro scambi sono quasi sempre fruttuosi e Marcus si trova spesso in accordo con lui ma con obiettivi diversi. A differenza di Carmy, la ricerca dell’eccellenza di Marcus è spinta dalla curiosità, dalla scoperta, dalla necessità di mettere in parole l’altrimenti indicibile dolore per la madre.
The Bear - Stagione 3Richie è su un percorso tutto suo inaugurato con la seconda stagione, che lo vede progredire sotto un profilo personale ma avere qualche zona d’ombra su quello lavorativo, in cui comincia presto a perdere colpi e motivazione sempre a causa del rapporto con Carmy e con l’assenza di Mikey; unica luce in fondo al tunnel pare essere il legame tra lui e Jess, che procede lentamente e con tutte le nostre speranze.
Tina, dopo un’evoluzione costante dalla precedente annata, comincia a barcollare sotto il peso dell’ambiente lavorativo; e il motivo, che pensavamo di conoscere, è ancor più evidente dopo il sesto episodio, “Napkins”, diretto da Ayo Edebiri. Assistiamo infatti al percorso doloroso e accidentato che l’ha portata al The Beef, a conoscere la famiglia Berzatto e a trovare in quel locale chiassoso un posto per sé, in cui sentirsi a casa e protetta. Capiamo molto meglio ora le ritrosie ai cambiamenti apportati da Syd e Carmy durante la prima stagione, ma comprendiamo ancora di più perché fosse così legata a Mikey nonostante i debiti, lo spaccio e in generale i danni che quest’ultimo aveva inferto a tutti. Sebbene Carmy sia umanamente lontanissimo dal fratello, la sua involuzione in questa stagione la riporta a un’ambivalenza affettiva già vissuta: voler bene al fratello Berzatto che ha davanti, ma non poter fare a meno di soffrire per le conseguenze dei suoi atteggiamenti. È un luogo che sta diventando per lei meno sicuro quando c’è Carmy in giro, ma che conserva ancora un po’ della sua magia quando lavora con Syd, con Ebrahim, con Marcus: forse non tutto è ancora perduto.
Uncle Jimmy infine è in una posizione di potere nei confronti del nipote, a causa del capitale investito nel locale; eppure anche lui in queste puntate non riesce a non vedere quanto Carmy sia ormai fuori controllo ed è forse l’unico a capire l’origine di tutto: anche in lui matura il senso di colpa di non aver fatto abbastanza, perché gli è chiaro (lui c’era) che la disfunzionalità che ha davanti scaturisce proprio dal nucleo familiare.

The Bear - Stagione 3A fronte di un parco personaggi gestito molto bene, è impossibile non notare come si sia esagerato nell’utilizzo dei cugini Faks, che sono un ottimo comic relief ma a piccole dosi: chef Matty Matheson, interprete di Neil Fak, è soprattutto produttore e consulente culinario della serie, e non si vuole pensare che ci sia il suo zampino nell’aumento di screentime dei Faks, ma il sospetto viene e si spera che verrà moderato nella quarta annata.
Rimane infine una spina nel fianco della scrittura della serie la costruzione del personaggio di Claire: creata solamente in funzione di Carmy, non dotata di vita propria o di motivazioni per cui dovrebbe essere innamorata di quest’ultimo, anche in questa annata – in cui è relegata, con una sola eccezione, a essere l’ennesimo fantasma nella testa del protagonista – non ha alcuna indipendenza narrativa. Viene superficialmente descritta come “pace” rispetto al caos di tutto il resto, ma, a parte qualche flashback in cui vediamo i due insieme solo dal punto di vista di Carmy, non sappiamo e non capiamo nient’altro. Potrebbe essere sostituita con una qualunque altra persona e non farebbe alcuna differenza: e questo, in una serie che lavora in maniera raffinatissima sulla costruzione di personaggi anche secondari, è un passo falso difficilmente perdonabile.

The Bear, che non perde occasione per portare in scena guest star vecchie e nuove (quest’anno si aggiungono Josh Hartnett e John Cena), con questa annata si dimostra ambivalente e instabile come il suo protagonista. A fronte di un’attenzione impeccabile per quasi tutti i personaggi, per la loro psicologia e i loro legami (basti menzionare il personaggio di Chef Terry, una sempre ottima Olivia Colman), il bandolo della matassa sembra perdersi più volte, e i punti a favore della stagione non riescono a nascondere che qualcosa è mancato. Ci sono dei cliffhanger (non sappiamo nulla della recensione del locale e quelle poche parole che vediamo vengono da una fonte ormai inattendibile; per questa ragione si ignora il contenuto delle telefonate di Jimmy e di Computer; Syd non ha ancora preso una decisione), ma non è solo su quelli che dovrebbe basarsi l’attesa di una nuova annata.

The Bear - Stagione 3Nell’ultimo episodio, “Forever”, Carmy è evidentemente fuori posto a quel tavolo di chef che si raccontano nei loro momenti più alti e più bassi, nonostante lui sia al loro stesso livello; in modo simile, questa stagione porta sulla bilancia una qualità indiscussa per molti versi, ma che ha qualche difficoltà a legarsi insieme agli altri elementi per produrre un piatto completo e un’esperienza che lasci soddisfatti fino in fondo. Dalla visione se ne esce confusi, come se fossimo consapevoli di esser stati in uno dei ristoranti migliori del mondo e di aver mangiato piatti eccezionali, ma privi di un filo conduttore che desse a quell’esperienza la dimensione che si meritava.
Per la quarta stagione saremo certamente di nuovo lì, con la speranza che la brigata dietro al progetto riesca a unire i pezzi in quel modo unico che abbiamo imparato a conoscere in questi anni.

Voto: 7+

 

Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

14 commenti su “The Bear – Stagione 3

      • Mattia Morra

        Per curiosità, quali ritieni i due migliori episodi?
        A meno che il caldo non mi ha definitivamente fatto perdere la testa poi non li hai rivelati…

         
        • Federica Barbera L'autore dell'articolo

          Ahah hai ragione, non l’ho specificato anche perché ho scritto “almeno un paio” e su uno sono ancora un po’ dubbiosa!

          Sicuramente “Napkins” è uno degli episodi flashback più belli della serie e trovo che Ayo Edebiri abbia fatto un ottimo lavoro alla regia (oltre ovviamente a una eccellente Liza Colón-Zayas). Gli altri due che se la giocano sono “Ice Chips”, perché JAMIE LEE CURTIS, ma anche perché c’è una scrittura davvero attenta alle dinamiche di trauma generazionale e non era facile con due attrici che comunicano occhi negli occhi. Quando è partita “Baby I Love You” ho pianto tutte le mie lacrime.

          L’altra è la premiere “Tomorrow”, che so essere non proprio la preferita per molti, ma che io ho trovato davvero poetica, e capace, anche grazie alle ripetizioni e agli accostamenti di scene, di veicolare significati nuovi. Davvero un’ottima introduzione alla stagione (che però poteva fare molto di più!)

          Tu hai degli episodi preferiti?

           
  • Mattia Morra

    Il mio preferito è sicuramente Ice Chips, è talmente profondo che ha cambiato il mio sguardo sull’argomento, ammetto che probabilmente per la prima volta mi ha fatto entrare in contatto con il significato del parto, non avevo mai “toccato” per davvero cosa potesse voler dire tutto quello che una donna vive rispetto al suo corpo e al dolore. Poi, come dici tu, il rapporto con la madre è semplicemente commovente. Anche a me poi sono piaciuti molto Napkins, in particolare la conversazione tra Tina e Mikey, il primo e anche l’ultimo episodio. Non credo sia un caso che sono tutti episodi che si distaccano un attimo dalla trama principale.

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Sono d’accordo, moltissime serie (ma anche film) mostrano scene di travaglio che sono prevalentemente urlate e a volte anche un po’ tutte uguali, mentre questa è stata molto realistica: ad esempio io ho apprezzato molto il suono del monitor che aumentava mentre Sugar parlava con la madre; per qualche secondo tu spettatore capisci che le sta arrivando un’altra contrazione fortissima ma lei è così presa dal suo discorso che pare non farci caso (finché ovviamente non diventa impossibile da sopportare). L’attenzione al dettaglio è fondamentale e qui sono stati davvero eccellenti.

      Gli episodi stand-alone sono sempre stati il fiore all’occhiello della serie, eppure mai come in questa stagione si trovano due spanne sopra il resto: è che purtroppo il discorso d’insieme si è sfilacciato troppo, come spiegavo nella recensione, ed è davvero un peccato.
      Il confronto nell’ultimo episodio tra Carmy e Fields è stato incredibile, Allen e McHale sono stati superbi, davvero!

       
      • Mattia Morra

        Vero, l’avevo colpevolmente tralasciata…quella conversazione è pazzesca! Anche per com’è costruito tutto il processo con cui si arriva al momento del confronto; ti permette di stare con Carmy e le sue paranoie/proiezioni che poi vengono respinte con una semplicità disarmante da Fields.

         
  • Annalisa Mellino

    Veramente una bellissima recensione, complimenti!
    All’inizio parli dell’uscire fuori dai margini, rispetto alle scelte creative, e l’ho trovata una metafora molto azzeccata per tutto il percorso della terza stagione. Ho avuto la sensazione che la serie si stesse preparando a qualcosa che non sarebbe mai arrivato – soprattutto verso la fine – e ho trovato alcuni elementi fin troppo diluiti. Sono fiduciosa per la quarta stagione, comunque.

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Grazie Annalisa!
      Sì, in generale direi che a prevalere nella visione è quella sensazione lì di incompiuto, motivo per cui una seconda visione – consapevole del fatto che non si andrà a parare da nessuna parte in questa stagione – fa sicuramente apprezzare di più alcune scelte perché toglie le aspettative sul disegno generale.
      Ma, com’è ovvio, non dovrebbe essere necessaria una seconda visione per dare il giusto valore a uno show! Io consiglio comunque (a chi va) di rivedere alcuni episodi che, alla luce di questo, ne escono sicuramente migliorati. Il primo, ad esempio, so che non a tutti è piaciuto ma io l’ho trovato poetico da subito, e alla seconda visione è stato anche meglio!

      Concordo assolutamente sulla quarta stagione: il lavoro sui personaggi è ottimo, basta “solo” metterli in moto!

       
  • Boba+Fett

    Quando uscì questa recensione/riflessione, non avendo ancora visto questa stagione e dovendo aspettare (con una bella dose di impazienza) il 14 di Agosto, mi limitai a leggerne solo qualche riga per non incorrere in anticipazioni. E così Federica, riconoscendoti la preziosa capacità di saper analizzare un racconto, all’attesa si aggiunse anche Ansia (sì, proprio quell’esserino meraviglioso e scapigliato di Inside Out 2). Questa premessa per dire che mi hai così probabilmente aiutato ad apprezzare meglio anche questo terzo capitolo di una serie che rimane davvero speciale. Personalmente non ho particolarmente sofferto per l’incompiuto, forse l’episodio 9 mi ha un po’ annoiato, ma nel complesso questo ritratto di famiglia (ovviamente disfunzionale) ha continuato a innervosirmi e a darmi emozioni forti (sarà il periodo che sto passando, ma Napkins mi ha mandato al tappeto!); in cuor mio spero solo che Carmy non lo trasformino in un buco nero, un divoratore di energie altrui, anche se temo che, come accade in tutte le famiglie (disfunzionali e non), ci saranno delle separazioni dolorose.
    Ti posso chiedere per quale ragione The Bear figura nella sezione comedy degli Emmy Awards? Nulla da ridire sul genere, anzi, ma secondo me siamo ben lontani da certe atmosfere…

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Ciao, intanto grazie per il tuo commento!

      Ovviamente la percezione durante la visione è molto soggettiva, io personalmente l’ho apprezzata di più alla seconda visione ma trovo che comunque rimanga meno coesa (per quanto The Bear lo sia mai stato) rispetto alle altre due. Rimane comunque uno show di alto livello, spero che la quarta stagione ritrovi un po’ più di equilibrio!

      Non so bene che direzione daranno a Carmy, ma credo che il confronto finale con Fields possa essere un buon punto di svolta per il personaggio… Anche se, per le ragioni che menzioni anche tu, non lo vedo come un percorso facile.

      La questione comedy risale alla notte dei tempi! Considera che fino al 2021 c’era una divisione netta in base alla durata, le serie da mezz’ora andavano nelle comedy, quelle da un’ora nei drama. Per dire, Orange is the new black partecipò alle prime edizioni come comedy e fu poi spostata (con diverse rimostranze, se non ricordo male, del network).
      Se aggiungi il fatto che non esiste la categoria dramedy, in cui effettivamente rientra The Bear, il gioco è fatto. Anche una serie come Barry è piuttosto folle pensarla come comedy, eppure è stata sempre lì!

      Leggevo che cast e crew difendono la presenza della serie nella categoria comedy, ma credo ci sia anche una questione molto pratica… La competizione nei drama è ALTISSIMA, quindi la possibilità di vincere lì è molto più bassa.

      Alla fine credo che oggi sia purtroppo difficile piazzare in generale le serie, che sono sempre più “miste”, in categorie così strette, e la mancanza di una via di mezzo come la categoria dramedy non aiuta!

       
      • Boba+Fett

        Grazie e hai ragione, le serie sono sempre più trasversali anche se le concorrenti di quest’anno erano più aderenti alla commedia; la stessa Barry (che mi piace tantissimo) presenta personaggi e situazioni grottesche che, seppur in un’atmosfera noir, strappano sorrisi. La quota humor di The Bear sarebbero i fratelli Fak che però alla fine risultano un po’ fuori luogo…