Glee – 2×18 Born This Way 4


Glee - 2x18 Born This Way

C’è stata grande attesa per questo diciottesimo episodio di Glee dal titolo “Born This Way”, come l’omonima canzone di Lady Gaga che sta spopolando un po’ dappertutto. Dato che il tutto puzzava di operazione-tributo ad un miglio di distanza, mi sono avvicinata alla puntata con un po’ di scetticismo – e di paura, visto che avevano preannunciato ben 90 minuti di episodio. Mi sbagliavo, in entrambi i casi.

Già, perché la puntata è durata 90 minuti con la pubblicità: senza è stata ben al di sotto dell’ora – e questo, secondo molti, è il motivo degli scarsi ascolti, di cui parlerò più avanti.
Tuttavia, con Born This Way gli autori si sono ricordati quale sia il target del loro show: adolescenti che dovrebbero avere l’età dei ragazzi del Glee Club (dei personaggi, non degli attori) e che, con la scusa del divertimento, della musica, delle belle voci e delle coreografie, possono imparare qualcosa di più sul periodo più incasinato della loro esistenza.

Tutto inizia con la questione Rachel e il suo naso rotto: complice un medico che sarebbe da radiare dall’albo di qualunque ordine, la nostra ugola d’oro si convince di doversi sottoporre a rinoplastica per avere un naso uguale-preciso-identico a Quinn Fabray – che è anche la nuova ragazza di Finn, quindi qualcuno (che so, Schuester?) avrebbe dovuto portare Rachel a farsi vedere da uno bravo SUBITO.
Il tema si riversa quindi abbastanza in fretta sulle proprie caratteristiche e sul fatto di accettarsi per quello che si è, imparando a convivere con il fatto che “siamo nati così”.
Sentirsi carine-non sentirsi carine: è questo il tema – per nulla sciocco – del bellissimo medley cantato proprio dalle due ragazze, con Unpretty delle TLC e I feel pretty da West Side Story.
Nulla, però, sembra convincere Rachel, nemmeno uno spontaneo e affettuoso “You are beautiful” di Finn detto davanti a tutti (occhio a Finn, donne, pare che stia mettendo un po’ di sale in zucca. Anche se non imparerà mai a ballare, beh, possiamo farcene una ragione).

Nel frattempo, i loschi piani di Santana per diventare reginetta della scuola al posto di Quinn prendono forma e si materializzano concretamente con il ritorno di Kurt a scuola. Certo, per fare questo la giovane bitch (“The only straight I am is straight-up bitch”) passa attraverso un poco simpatico ricatto a Karofski, ma in quel dialogo tra i due era difficile non notare la sofferenza della stessa Santana, che si manifesta poco più tardi proprio con Brittany, motivo del suo dolore; è difficile anche non vedere quanto la sua necessità di diventare “popular” grazie al concorso sia in realtà un modo per anestetizzare il disagio seguito al coming out con se stessa e al successivo rifiuto da parte di Brittany (che, a quanto pare, è solo confusa e non del tutto lebanese).
Ma c’è molto che i ragazzi dovrebbero imparare dalle parole di Santana; soprattutto il fatto che fingere di essere qualcosa che non si è non porta affatto alla cancellazione della questione: può portare ad una moglie, ad una casa e a dei figli, ma comunque ad un disagio che continua e che si manifesta anche da adulto.

C’è chi, invece, ha fatto pace con se stesso e che ora è al settimo cielo: è Kurt che, tornato a scuola, ha ora tutto ciò che può desiderare tra amore, amici e Club preferito. E’ così che, senza alcun timore di soffrirne la mancanza, saluto i Warblers – sempre stati troppo pettinati per me – con la loro Somewhere only we know dei Keane e do il mio personale bentornato a Kurt che, nonostante un’esibizione forse un po’ troppo lunga con i suoi quasi 5 minuti, ha eseguito una versione da brivido di As if we never said goodbye (Sunset Boulevard).

Sempre Kurt dà il via a quello che è a mio avviso il momento più toccante di tutta la puntata. Nonostante i tentativi di far capire a Rachel che rifarsi il naso non sia assolutamente una cosa necessaria (e men che meno per la sua voce), i ragazzi del Glee Club decidono di dedicarle un flash mob sulle note di Barbra Streisand (Duck Sauce).
Ora, per quanto io sia arrivata a detestare questo pezzo causa passaggi eccessivi su qualunque frequenza radiofonica, ho trovato l’idea assolutamente perfetta: i continui riferimenti a Barbra Streisand e al suo naso non bastano a Rachel, perché il suo è un problema che nasce nel profondo ed è legato a quell’autostima che, benché venga esasperata quando si tratta del canto, è totalmente annullata in ogni altro campo della sua vita. Ecco che, allora, il richiamo alla celebre cantante avviene solo da lontano, mentre tutto il resto si focalizza su di lei: e chi non avrebbe deciso di credere ai propri amici davanti ad una manifestazione d’affetto così grande?

Mentre accade tutto questo, e mentre Finn cerca di imparare a ballare con scarsi risultati (anche se ci regala una simpaticissima esibizione con Mike su I’ve gotta be me di Sam Davis Jr.), Quinn si imbatte in uno dei personaggi migliori che siano stati introdotti in Glee: Lauren Zizes, simbolo di quelle persone che, pur con i loro difetti, si sentono così a loro agio con se stesse da voler diventare reginette e far innamorare addirittura il più figo della scuola – e io, per il suo atteggiamento soprattutto con lui, l’ho eletta a mio nuovo idolo dell’anno.
Le due, completamente agli antipodi ad una prima occhiata, si scoprono molto più simili di quanto credessero: certo, per arrivare a questa consapevolezza e a quell’abbraccio finale devono passare attraverso frasi dure e cattiverie degne del peggior bullo della scuola, ma quello che ne emerge migliora entrambe. Soprattutto Quinn, che, terrorizzata dall’idea di farsi vedere in versione Lucy, troverà davanti a lei un ragazzo che saprà apprezzarla anche così (donne, ve l’avevo detto, Finn non è più stupido!)

Infine Emma: il suo disturbo è ormai peggiorato così tanto che persino Will non riesce più ad assecondarla ed è così che decide di farsi aiutare. Le parole della dottoressa rappresentano un’altra lezione per il pubblico di questo show, che ha bisogno di imparare proprio in giovane età da riflessioni come questa:
There’s a stigma in this country about mental illness.
I mean, depression, anxiety, OCD, bipolar, they’re hard to diagnose, so… people don’t always appreciate that they’re serious problems, but they are.

Ecco che, allora, nel finale tutti si apprestano a cantare quella canzone di Lady Gaga, che ho nominato all’inizio e che ho dimenticato per tutto il resto della recensione: perché questa non è stata una puntata tributo, ma un episodio che è partito dalla canzone Born This Way per prenderne la tematica ed adattarla ai ragazzi della McKinley High. Una cosa, questa, che dovrebbe accadere un po’ più di frequente in questo show, che ha grandissime potenzialità, ma che spesso si dimentica come utilizzarle.

Voto: 8 ½

Note:

  • Gli ascolti sono stati i più bassi della stagione, con 8.6 milioni e 3.4 di rating. Molti colpevolizzano l’eccesso di pubblicità, altri il timore che fosse l’ennesimo episodio tributo votato al dio denaro. Io preferisco pensare che, come spesso accade in America, molte persone si lascino condizionare dalla puntata precedente per decidere se vedere quella dopo e, soprattutto, se vederla in diretta o registrarla: vista la puntata precedente… ecco, questo risultato non mi stupisce affatto.
  • Le magliette a fine puntata sono:
    Rachel – Nose
    Will – Butt Chin
    Kurt – Likes Boys
    Mike – Can’t sing
    Tina – Brown Eyes
    Quinn – Lucy Caboosie
    Brittany – I’m with stoopid (freccia in alto)
    Puck – I’m with stupid (freccia in basso)
    Mercedes – No weave
    Artie – Four Eyes
    Sam – Trouty Mouth
    Finn – Can’t Dance
    Lauren – Bad Attitude
    Emma – OCD
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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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