Glee – 3×17 Dance With Somebody


Glee - 3x17 Dance With SomebodyGlee non è nuova alle puntate tributo e questa “Dance With Somebody”, dedicata a Whitney Houston, ripropone lo schema già visto dell’adattamento della trama alle esigenze delle canzoni. Che il sistema funzioni o meno dipende sempre da quanto la situazione sia stata pensata e ponderata e, visto l’evidente poco tempo a disposizione, i difetti ci sono e si vedono.

La cosa più difficile – e su cui Glee cade più spesso in questo genere di occasioni – è trovare il modo di costruire delle vicende che permettano alle canzoni di farsi spazio senza al contempo far sentire che tutto è stato costruito attorno a loro e, come ben sappiamo, difficilmente si riesce nell’intento. La difficoltà ulteriore sta nella recente scomparsa della cantante, che rende la necessità di trovare un “tema della puntata” una questione più seria, meno ridanciana o approssimativa rispetto a quello che spesso la serie si ritrova a fare.

Il fattore T (la trama, questa sconosciuta)

Devo dire che l’idea di fondo non era del tutto sbagliata: partendo dal discorso di Emma su Lady Diana, infatti, non è poi così complicato fare un paragone con vicende anche più contemporanee e vedere come spesso la morte di persone famose crei nei più giovani una crisi profonda, evidentemente figlia di problemi riflessi (“a physical representation of my pain” dice Emma) più che di un’effettiva identificazione.

Il punto è che da qui in poi il significato viene completamente stravolto e ridotto a situazioni poco credibili. Partiamo dall’inizio. Se possiamo chiudere un occhio sul fatto che ci venga raccontato di ragazzi “in crisi da due mesi” quando non hanno mai detto una parola a riguardo (e va bene, si sa, è una serie tv e non un reality), è difficile non vedere i segni di colla e scotch quando si cerca di far passare il dolore dei ragazzi per la morte di Whitney Houston come una metafora di quello che si lasceranno alle spalle con la fine della scuola. Intendiamoci, la fine di un ciclo scolastico è sempre un momento di svolta e soprattutto a quell’età, ma il problema è posto male fin da subito, quando Schuester – che fino a tre secondi prima non avrebbe capito nulla senza i disegnini di Emma – si mette a fare il grande Guru dicendo ai ragazzi esattamente quello che non deve dire, cioè cercando di razionalizzare una cosa puramente emotiva e che loro sono più che legittimati a non comprendere.
Glee - 3x17 Dance With SomebodyLa cosa perde ulteriormente valore quando si scopre che a soffrirne di più è proprio Will, disposto ad anticipare il matrimonio (“cara, cosa ne dici di sposarci… che so, ora?”) e ad organizzarlo in un campeggio  (“come dici, cara? Hai un disturbo ossessivo compulsivo e i microbi ti terrorizzano? Ma dov’è il problema!”) solo perché ha paura che i suoi ragazzi non ci saranno. Ora, l’affetto che Will prova per i suoi studenti è lodevole, ma qui siamo ad un passo dall’ossessione e l’idea – che poteva essere, sulla carta, carina – finisce con l’accartocciarsi su se stessa proprio perché proposta in modo iperbolico.

La grande sofferenza dei ragazzi ci viene mostrata attraverso delle scene che nella maggior parte dei casi non hanno alcuna ragion d’essere e si vede chiaramente che sono state messe solo perché “il tema della puntata era quello”. Rachel e Santana, quasi a giustificare il duetto fatto insieme, saranno amicissime per la prossima quarantina di giorni e quest’ultima – che se diventa buona mi metto ad urlare come un antifurto – accetta di mettere nel suo armadietto una fototessera di Rachel: non una loro foto insieme, non una foto divertente con la faccia da scema, ma una foto da carta d’identità; non so voi, ma io l’avrei trovata creepy a prescindere, figurarsi una come Santana – che invece la accetta senza grossi problemi. Solo io ci vedo qualcosa che non va?
Non parliamo nemmeno di Puck, dato che la scena si propone come “addio divertente” forse solo nella mente di chi l’ha scritta, e approdiamo direttamente a loro: Kurt e Blaine.

Glee - 3x17 Dance With SomebodyNell’arco di una puntata i due passano attraverso una serie di stati d’animo che probabilmente, se analizzati nel modo giusto, avrebbero potuto occupare non meno di 4 episodi: Kurt è felice, Blaine è triste, Kurt conosce un nuovo tipo, Blaine non se ne accorge, Kurt riceve messaggi di dubbio gusto, Blaine smette di fare le sue mossette e capisce, Kurt si arrabbia, Blaine fa la faccia imbronciata e chiude la discussione con il titolo di una canzone (worst-scene-ever), Kurt decide che anche per lui è arrivato il momento di “chiedere scusa con una canzone”, i due invecchiano di 40 anni e si ritrovano già a fare terapia di coppia, si riappacificano e finisce tutto a tarallucci e vino. Ecco, se una questione come la partenza del proprio ragazzo viene aperta e liquidata nel giro di quaranta minuti, si capisce che non è evidentemente un’esigenza di trama a governare queste scelte; non è la vera voglia dell’approfondimento dei rapporti a farla da padrona, ma il mero asservimento delle storyline alle canzoni, il che equivale più o meno alla morte della creatività.
Molto meglio, in questo senso, lo scambio che avviene tra Kurt e il padre, realistico e non certo visto, analizzato e metabolizzato in un episodio; possono anche non ritirare più fuori la questione, ma già da come è stata proposta si capisce che è qualcosa di più profondo, che ha bisogno di un suo tempo per essere accettato. Se Glee è in grado di dipingere uno splendido rapporto come quello tra Burt e il figlio, perché non riesce a lavorare bene sempre?

Il fattore W

Glee - 3x17 Dance With SomebodyUn episodio tributo con problemi alla trama non è una novità per Glee. Il problema, in questa puntata, è però anche di altra natura. Oltre al fatto che 7 canzoni in 40 minuti sono davvero troppe (due addirittura attaccate, e va bene che ci sarà stata la pubblicità di mezzo, ma mi pare comunque esagerato), le canzoni stesse in mano ai ragazzi non rendono. Ammetto di non essere una fan di Whitney Houston, o almeno di esserlo nella misura in cui le si riconosce una voce pazzesca e ineguagliabile: ma tolto quello, il fattore W appunto, rimane davvero poco. Non aiuta, poi, l’eterno dualismo su cui si muove Glee in questi casi: o esibizione fine a se stessa o videoclip celebrativo – inutile dire che su di me il total black di Blaine non ha alcuna presa.
Non dico che siano state cantate male (anche se incredibilmente non ho trovato a suo agio nemmeno Kurt), perché sarebbe falso, ma c’era qualcosa che doveva passare dall’altra parte dello schermo e non è successo. L’unica eccezione è forse all’inizio: l’apertura con Mercedes, Santana, Kurt e Rachel che cantano How Will I Know, benché un po’ esagerata con quella fotografia che passa di mano in mano, si configura come l’unico vero tributo, rispettoso nella sua eleganza e nella scelta di ambientarlo semplicemente nella scuola e soprattutto su un palco vuoto, senza fronzoli o scenografie inutili.

La puntata tributo, ancora una volta, finisce nella disorganizzazione, nella scarsa attenzione al percorso dei personaggi e, purtroppo, nell’autocompiacimento di chi pensa che mettere insieme due storie che si intrecciano con i testi delle canzoni voglia dire “scrivere una bella serie tv musicale”.
Purtroppo non funziona così.

Voto: 5

Nota:
Avrei voluto parlare di Quinn e Joe, delle insicurezze di lei ora che è sulla sedia a rotelle e dei dubbi di lui, diviso a metà tra pulsioni giovanili e fede religiosa. Poi ci hanno piazzato quella scena da “hai il cellulare in tasca o sei contento di vedermi?” e ho cominciato a capire che Glee si diverte a creare e distruggere le sue stesse idee, quindi non voglio infierire.

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.

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