Ultimi due episodi di Glee prima delle vacanze natalizie che ci confermano, qualora ce ne fosse bisogno, l’instabilità totale su cui si muove questa serie ormai da un paio d’anni a questa parte: da un lato, infatti, abbiamo un episodio ben costruito, interessante e divertente, dall’altro un disastro su tutta la linea.
L’ultima volta ci siamo lasciati con le Provinciali che hanno visto, dopo la discutibilissima esibizione di Gangnam Style delle New Direction, lo svenimento sul palco di Marley che, di fatto, fa perdere al gruppo la gara in favore dei Warblers. Da quel momento, abbiamo un nono episodio che riesce ad unire e mescolare sapientemente le avventure newyorkesi (sempre le più interessanti) e quelle di Lima; ne abbiamo poi un decimo con cui ci si dedica all’episodio natalizio, riuscendo a fare una blanda citazione da un già tutt’altro che perfetto “Love, Actually”, con pochi momenti degni d’attenzione ed una caterva di situazioni inutili ed imbarazzanti.
Glee 4×09 Swan Song
Quando si parla del Canto del Cigno ci si riferisce all’ultimo sussulto di vitalità prima della fine totale. Spesso il canto del cigno è qualcosa di molto bello, emozionante. Ebbene, questo episodio di Glee è sicuramente uno dei migliori di questo incerto anno, finora tutt’altro che esaltante.
Come al solito, la divisione tra NYADA e Lima è evidentissima, ma forse per la prima volta entrambe le “storie” hanno il giusto spazio per muoversi ed evolversi. Si parte, ovviamente, con l’Ohio dove, con la sconfitta delle New Direction, Sue Sylvester riesce finalmente a prendersi la sua rivincita. L’astio con il quale distrugge ogni sogno dei ragazzi del Glee Club è, come al solito, assurdamente eccessivo, ma coglie nel segno: diverte. Certo, colpisce piuttosto come il Preside Figgins elimini del tutto il Glee Club fino all’anno successivo (bell’emblema del materialismo americano: se vinci resti, se perdi sei fuori), ma siamo certamente abituati a questi colpi di testa.
Finn è il vero sconfitto: era tornato per dare una mano ai ragazzi a vincere le Provinciali ed invece si ritrova con un palmo di naso, fallendo miseramente la prima sfida e la prima difficoltà lungo il suo cammino. I ragazzi si sentono persi e, per avere una propria identità, entrano nei club più assurdi pur di non diventare ancora una volta anonimi e sconosciuti (e allora non capisco perché il Glee Club debba esser chiuso dato che, basandosi sul canto, costa ancora meno degli altri).
Per assurdo, sarà solo il successo di Kurt e Rachel a New York, e soprattutto la telefonata di quest’ultima, a riportare lo spirito del Glee Club in circolo. D’altronde è stato ripetuto dall’inizio della stagione: l’ambizione di Rachel era, a tutti gli effetti, il collante che manteneva unito il gruppo (ci ricordiamo della storia della “New Rachel”?). Ecco allora una bella email di Finn che riporta, pezzetto dopo pezzetto, il Glee Club nuovamente insieme. Per la prima volta dall’inizio dell’anno, questa storyline si è dimostrata, a mio avviso, interessante e toccante. Se finora gli autori avevano cercato di replicare momenti del passato ormai irraggiungibili, l’unica opportunità che hanno trovato per dare al McKinley una parvenza di originalità è quella di ripartire da zero.
Come al solito, però, è New York a darci le emozioni più forti, anche per un deciso ritorno a canzoni meno pop e maggiormente in linea con il filone musical. Si parte subito con “All that jazz” che conferma ciò che tutti avevamo capito: la Hudson è meravigliosa quando balla, la Michele quando canta. Anche gli sceneggiatori se ne sono fortunatamente accorti ed hanno deciso di puntare su questo per dare a Rachel ben due assoli straordinari, di quel livello che non sentivamo da troppo, troppo tempo. Lo stesso vale per Chris Colfer, come al solito superbo.
In definitiva, un episodio emozionante e ricco di avvenimenti i quali, pur cambiando poco la sostanza (la vera novità è Kurt alla NYADA), si lasciano guardare serenamente.
Voto: 7 ½
Glee 4×10 Glee Actually
Dopo la bellezza del nono episodio, gli autori si saranno guardati a vicenda e si saranno accorti che no, non si può prendere la china pericolosa di scrivere bene, e quindi si ritorna all’abituale inutilità dell’ultimo periodo. Ecco che ci viene regalata una puntata senza senso e senza utilità, spezzata in vari segmenti da coerenza zero. Tutto per celebrare Natale.
Si parte con la solita morale su Artie che torna ad odiare la sedia a rotelle e sogna un mondo in cui lui può camminare. Si decide quindi che Artie era il vero collante del Glee Club, e non Rachel come ampiamente detto sinora, anche solo un episodio fa. Il risultato? Semplice: se Artie non avesse avuto l’incidente che l’avrebbe poi portato sulla sedia a rotelle, la vita di tutti sarebbe stata diversa e certamente peggiore. Non capisco se mi ha più infastidito questo improvviso cambiamento di baricentro del Club (ma quando mai Artie è stato il collante?) o la morale sulla “bellezza” della sedie a rotelle. Personalmente, l’ho anche trovato un po’ offensivo (oltre che ripetitivo).
Ma siamo solo all’inizio. Quando si passa alla storia di Sam e Brittany, già accennata nella puntata precedente, vien da chiedersi che cosa si fumano gli autori quando scrivono l’episodio. I due vengono nuovamente resi stupidi da far paura: dovevano servire per ironizzare sulla fine del mondo, ma le gag non hanno alcun mordente e loro fanno più pietà che ridere. La storia Maya, il loro matrimonio e la vicenda Indiana Jones non solo non divertono, ma preoccupano per l’insulsaggine raggiunta. Non spendiamoci altre parole.
Le vicende che legano Marley e Sue Sylvester cercano l’emozione spicciola, quella di pancia. Stavolta, però, il risultato è piuttosto deludente. Passi che Sue faccia l’ennesimo salto della barricata, rendendosi conto d’essere diventata cinica e meschina – ma quante volte dovrà capirlo prima di cambiare? –, passi anche l’effrazione per montare un albero con pacchi regalo, ma la dedica finale da parte del Glee Club nei confronti di Sue è surreale. Ci siamo già dimenticati come, nello scorso episodio, Sue abbia fatto di tutto per devastare ogni sogno o speranza di quei ragazzi? Di come li abbia umiliati e derubati di ogni cosa? Io non capisco. Se si decide di prendere una direzione, perché poi bisogna sempre pentirsene in fretta e furia?
Surreale è anche quanto accade ai fratelli Puckerman, una storia fondamentalmente inutile e messa lì per disegnare l’ennesimo “miracolo” natalizio, consistente stavolta nell’incontro e nell’amicizia tra le loro madri, unite dall’odio verso lo stesso uomo. Lasciamo perdere, di nuovo.
Unica parte vagamente interessante è quella riguardante – guarda caso – New York, incentrata su Kurt. La visita del padre conferma per l’ennesima volta come i due attori funzionino alla perfezione nel simulare una serenità familiare. Certo, ci si domanda la necessità di infilarci l’ennesimo dramma – il cancro alla prostata – se poi è in realtà, data la facilità con cui verrà curata, funzionale esclusivamente a far arrivare Blaine a New York per l’abituale duetto di Natale. Se “White Christmas” non raggiunge minimamente la bellezza della performance dello scorso anno, almeno le difficoltà sentimentali tra i due non vengono superate con un bacio sotto il vischio. D’altro canto, però, c’è da capire quanto vogliano tener banco con le loro vicende sentimentali prima di mettere un punto fermo.
Voto: 4 ½
Alla fine Glee è anche questo. È anche chiedersi come sia possibile che due episodi successivi possano essere così diversi sotto tutti i fronti: quello musicale (indubbiamente vinto dalla nona puntata), quello della scrittura e dell’emozione. Troppe cose non funzionano in questa serie. Speriamo che la pausa natalizia possa fare del bene.