Dalla Pasqua al Natale del ’67, dalla primavera alla nevicata del Capodanno che aprì le porte al ’68: segnali di nascita e di morte, di inizio e di fine caratterizzano già dai blocchi di partenza questa nuova stagione, che sceglie come principio e termine del consueto loop temporale dei periodi dell’anno ben precisi, carichi di un significato che non può non portare con sé una forte carica simbolica.
Riprendere la narrazione dopo un salto di parecchi mesi è una scelta sempre foriera di novità e al contempo di buchi narrativi da riempire; di informazioni da restituire allo spettatore in un modo che non sia ridondante o didascalico, ma che approfitti di questi gap di conoscenza per costruirci attorno dei personaggi che, pur conservando caratteristiche ben note, si offrano in modo nuovo e diverso.
Mai come quest’anno la premiere si rivela essere un appuntamento ricchissimo di informazioni nuove, ma soprattutto – nella tradizione tracciata dall’ultima, meravigliosa, quinta stagione – di nuovi e vecchi simbolismi: la morte, concetto già più volte presentato lo scorso anno seppur in modo cruento, diventa con questa doppia puntata tema centrale. Morte e vita, freddo e caldo, Paradiso e Inferno: stati estremi della condizione umana, il bianco e il nero di cui però si scopre il labile confine; li pensiamo distanti, ma spesso c’è solo una porta a dividerli, e questa “The Doorway” fa del concetto di soglia e di ingresso la sua chiave di volta.
In life we often have to do things that just are not our bag.
La celebre camminata verso il buio che faceva allontanare Don da Megan nello scorso finale rappresenta nel modo più adeguato quello che è il nuovo corso della vita del nostro protagonista: una discesa verso gli Inferi – e proprio nel mezzo del cammin della sua vita – che però porta con sé una consapevolezza amara; è la presa di coscienza che tutti i tentativi di vivere una vita normale con Megan, e che l’anno scorso sembravano così forzati, sono falliti miseramente. Don vorrebbe una vita ordinaria, ci ha provato sul serio, ma, bloccato nella sua posizione di “isolato dal mondo”, ha perso: ha scelto consapevolmente di tornare nel suo Inferno personale perché ha accettato il suo essere incastrato in uno schema che ritorna sempre identico a se stesso, come un girone dantesco. Leggere l’Inferno, regalato dall’amante, mentre si trova con Megan in quello che è un autentico Paradiso, è l’esatta rappresentazione del contrasto che lo definisce; il silenzio (7 lunghissimi minuti) con cui passivamente assiste allo spettacolo della sua vita trova il suo contraltare in quel “I want to stop doing this”, che conferma quanto il suo tradimento sia un modo per assecondare, anche qui in modo passivo, un destino che per lui sembra già segnato. E’ costretto (da se stesso, dalla vita, dall’eterno ritorno dell’identico, come sembra dirci anche Roger) a ripercorrere gli stessi errori anche quando non li vuole più; è la legge del contrappasso dantesca, la condanna alla stessa punizione per tutta l’eternità.
Jonesy, what did you see?
La morte non rappresenta certo una novità per Don, che è un vivo col nome di un morto e il cui nome da vivo rappresenta un uomo che è morto e sepolto molto tempo fa – emblematica la sua espressione alla richiesta del fotografo “I want you to be yourself”.
Eppure solo ora che la consapevolezza della sua peculiarità ha cominciato a colpire anche lui, solo ora emerge la sua volontà di capire cosa ci sia oltre, cosa lo aspetta dopo questa presa d’atto. Il passato torna sotto diverse forme a farlo riflettere, ed è un passato con cui Don è costretto a fare i conti: prima la frase “a veteran in Paradise” del giovane Dinkins, messa lì come a ricordargli cosa dovrebbe essere davvero lui; poi il funerale di una madre che amò solo due uomini, il marito e Roger, orgogliosa del figlio in un modo che lui non potrà mai provare, e che richiama per contrasto quel marchio di infamia (essere figlio di una prostituta) che ha rappresentato per lui il peccato originale, l’inizio della sua eterna condanna.
L’inconscio di Don percepisce il concetto di morte e non è un caso che questo emerga solo in stati alterati della razionalità. E’ solo quando è completamente ubriaco che trova il coraggio di chiedere al povero Jonesy cosa abbia visto; è solo tramite l’arte che emerge il concetto di suicidio, chiaro praticamente a tutti tranne che a lui; ed è solo nel sonno che si concede di dormire in una posizione supina che richiama proprio quella del sonno eterno (e quale inquietudine possiamo leggere in quel saluto di Megan, che gli passa una mano in faccia proprio come si fa per chiudere gli occhi ai morti).
“How do you get to heaven? Something terrible has to happen”, dice Don durante la sua presentazione, ed ecco che torna il concetto di vita come di espiazione, di sacrificio, di peso da portare sulle spalle in attesa di qualcosa di meglio; la vita, vista come Inferno che alterna il calore del tradimento al gelo emotivo proprio come una punizione dantesca, è una tappa – prevedibile, obbligatoria ed ineludibile nonostante tutti i tentativi di modificarla – che potrà portare alla resa, all’abbandono che è proprio del rituale hawaiiano.
Don si sta svestendo (anche fuor di metafora, quando andando a letto per l’ennesima volta nella puntata lascia i vestiti per terra), sta provando a liberarsi per l’ultima volta delle sue colpe e sta cercando, ora più che mai, il suo Paradiso.
This is my funeral!
Roger rappresenta l’altra faccia di questo percorso. L’età, l’esperienza e anche una certa dose di distacco e di cinismo lo hanno portato ad una consapevolezza che, seppure simile a quella di Don, è accettata apparentemente con minor tormento interiore. E’ soprattutto l’età a giocare qui un ruolo fondamentale: la sua ricerca di donne sempre più giovani rappresenta il rifiuto non tanto dell’invecchiare, quanto del prevedibile, del ritorno (anche qui) dell’uguale: la vita non è che l’attesa dietro ad una porta; la maturità, e se vogliamo l’anzianità, non sono che la presa di coscienza che, dietro a quelle porte, a quei ponti, a quelle finestre che implacabili si chiudono alle spalle, si trova solo tutto quello che si è già visto.
L’esperienza non conta più, non insegna niente perché – anche qui come in un girone dantesco – tutto è destinato sempre a ripetersi; si cammina dritti, in una strada già tracciata e già percorsa un milione di volte, e si creano diversivi per illudersi di renderla nuova ed eccitante; si vive di comicità, di risate e narcisismi per fare un po’ di rumore e non accorgersi come in realtà tutto sia già visto, vissuto ed esperito.
Non stupisce in quest’ottica l’accettazione indolore della morte della madre, ampiamente prevista a causa dell’età e perché “era da vent’anni che diceva che sarebbe stato il suo ultimo Natale”. Non stupisce nemmeno, però, il dolore, vero e autentico, per il lucidascarpe: non solo perché rappresenta un evento non previsto, ma perché il povero Giorgio, che ormai puliva le scarpe solo a lui, è simbolo di una tradizione antica, di un passato in cui non c’era disillusione, in cui si poteva ancora aprire una porta ed avere il volto dello stupore.
It always takes a crisis to sell work this good.
Le “donne di Don” vengono rappresentate in modo diverso in questa puntata, eppure con un carattere che le accomuna, una necessità di cambiamento che, se in alcuni casi è già in parte riuscita, in altri risulta poggiare su deboli fondamenta e procedere a passi incerti, deboli, imbarazzati.
Megan, vero anello di congiunzione con la nuova generazione, rappresenta ancora di più sia nell’abbigliamento che nei comportamenti uno sguardo verso il futuro, che si allontana a grandi passi dallo stesso Don – il quale, a sua volta, continua a preferire la compagnia di donne più mature e forse più in grado di comprenderne la drammaticità. Nonostante alti e bassi, Megan è sempre e comunque quella che torna tardi da lavoro a differenza dell’uomo di casa, e la sua posizione di “donna in carriera” la inquadra in un’epoca lontana anni luce da quella del marito, e chissà per quanto tempo questa loro divisione potrà ancora andare avanti.
Don, a differenza della scorsa stagione, non cerca nemmeno più di incasellarla nell’ottica della moglie che deve stare a casa, e ha apparentemente accettato questa evoluzione anche nei temi sociali (parlando della parola amore, lo stesso Don dirà “So why are we contributing to the trivialization of the word? It doesn’t belong in the kitchen”). Il prezzo di questa evoluzione, però, ha segnato il ritorno alla sua condanna; di nuovo vediamo la sua camminata verso il buio, mentre le luci si sono accese sulla moglie.
Betty e il marito, in un montaggio che ad inizio puntata alterna proprio il tema classico della famiglia a quello della coppia “moderna” di Don e Megan, si ritrovano in una posizione sempre uguale a se stessa e che ciononostante a Betty non basta. L’incontro con un’anima tormentata come quella di Sandy, con le sue aspirazioni già distrutte a 15 anni e tuttavia con grandi progetti di vita che Betty non ha mai avuto, la spingono a confrontarsi con questo mondo, ad uscire dalla testa degli anni ’60 e ad entrarne nella pancia. Sarà un’altra porta, questa volta sempre aperta ma solo sull’ignoto, a condurla in un mondo labirintico in cui – alla ricerca di una ragazza, di un violino, di una risposta – sarà lei per prima a confrontarsi col suo essere già statica, immobile, finta come quei capelli biondi tinti che le vengono rinfacciati e che vengono prontamente cambiati in un tentativo di uscire dagli schemi. Betty procede a passi incerti, osando fin troppo laddove vuole abbattere alcuni limiti (la battuta sullo stupro è una delle cose più inquietanti della premiere) e cercando la sua strada in un cambiamento estetico che dà voce in realtà ad un urlo interiore.
Infine Peggy, forse l’unico vero alter ego di Don: non a caso è lei a nominarlo in un momento di crisi, facendo appello a quelli che sono stati i suoi insegnamenti ed imitandone, forse inconsapevolmente, l’atteggiamento con i suoi sottoposti (impossibile non notare l’impostazione draperiana nella frase “If you can’t tell the difference between which part’s the idea and which part’s the execution of the idea, you’re of no use to me”). Sarà però un altro capo, una figura assente per gran parte dell’episodio, a dare a Peggy quello che Don non è riuscito a darle se non alla fine: il riconoscimento delle sue capacità, che lei già individua, ma che deve ancora imparare a dosare nelle applicazioni più pratiche.
Tre donne in tre diverse fasi di cambiamento, che fanno della crisi una risorsa per arrivare ad una soluzione migliore. Del resto, non bisogna forse morire per arrivare in Paradiso?
La premiere, come nel rispetto delle abitudini di Mad Men, sembra non far accadere quasi nulla nella lentezza del racconto, ma mai come in questa occasione è successo davvero di tutto. I simbolismi, che tanto sono stati criticati oltreoceano nella scorsa stagione, continuano in questo nuovo inizio e si intrecciano alla psicologia dei personaggi con rara maestria. Tolta qualche velleità registica, come quel flashback sulla morte di Jonesy forse non necessario a livello di costruzione (ma ovviamente essenziale per tematiche), questa The Doorway ci dice che alla perfezione della quinta stagione ci può essere addirittura un seguito.
Voto: 9
La bellezza della recensione mi ha “costretto” rivedere l’episodio, per l’ennesima volta.
Sottoscrivo tutto.
A memoria la migliore premiere delle sei – giudizio assolutamente soggettivo perché la prima e la quinta sono anch’esse stupende – che ci accompagna in quest’annata con la “paura” che davvero Weiner e co. possano essere degli alieni.
grazie!
davvero una premiere incredibile, c’era un sacco di materiale su cui lavorare e ogni dettaglio è stato messo nella puntata in modo praticamente perfetto. Se la stagione dovesse essere tutta su questo livello, potrei non reggere il colpo XD
Mi è sembrato anche notevole il fatto che, mentre i principali protagonisti maschili adattano alle nuove mode basette, ciuffi e abiti, Don ne è totalmente incapace.
La stagione promette meravigliosamente.
Hai ragione. C’erano così tanti spunti che tenere conto di tutto era davvero impossibile. Basti pensare anche solo a tutti i discorsi tra Don e il dottore, con quella splendida scena finale di lui nella neve che va in ospedale… avrei scritto almeno il doppio!
Non posso che accordarmi e farti i complimenti anche in questa sede per questa recensione impeccabile. Un’analisi approfondita ed ineccepibile per una premiere di Mad Men come sempre densa di simbolismi e di introspezione.
Ci aspetta un’altra grande stagione da annali della televisione.
Complimenti per la recensione! Ho trovato questa premiere magistrale, aspetterò con ansia ogni nuovo episodio!!!
Una premiere densissima, gli spunti sono tanti e metterli insieme è un lavoro non indifferente. Devo dire che ho “sofferto” un po’ i 90 minuti, anche perché non sono in grado di mettere pausa quando guardo Mad Men, e a fine episodio mi sono ritrovata piena di informazioni, spunti, suggestioni, riflessioni; avevo proprio bisogno di mettere ordine e la tua recensione c’è riuscita alla grande.
Si è introdotta la stagione della svolta vera a livello sociale, e la corsa verso la contemporaneità lascerà indietro parecchi dei nostri, primo tra tutti Don, la cui incapacità di stare al passo coi tempi è ormai conclamata. Avevo dimenticato quanto mi mancasse MM.
@Claudia: grazie mille!
@Penny Lane: l’effetto incredibile è che, pur inserendo così tanti spunti, temi e riflessioni, la sensazione non è mai stata quella del “troppo che stroppia”. Sì, si finisce forse un po’ storditi, ma solo perché a livello emotivo questa premiere è un treno in faccia. E’ il “tanto” in senso positivo, in quel senso complesso che è poi la vita vera – e proprio per questo MM sa colpire così a fondo, perché parla di tematiche nascoste eppure comuni a tutti, negli anni ’60 come anche oggi.
Questa recensione è semplicemente superba. Complimenti, davvero.
grazie, davvero!!! =)
Grande Fede! Magnifica recensione di una magnifica première!
Ho visto la premiere solo ieri sera, volevo prima sbarazzarmi delle altre serie in corso per avere la testa sgombra, o forse ho atteso a lungo per il timore di incappare nei primi segni di cedimento……
L’attesa è stata ovviamente ripagata con la miglior premiere di Mad Men di sempre. Ne sono certo.
La maestria degli autori è certificata dalla capacità di approfondire l’animo unamo come poche altre serie sanno fare, è veramente incredibile come il tema centrale, contrasto vita/morte, venga sviscerato in molteplici sfaccettature che ai più spesso sfugge, sentiamo di avere delle sensazioni ma non sempre riusciamo a dargli un nome. Invece Mad Men il nome riesce a farlo uscire sempre e devo togliermi il cappello davanti ad una recensione stratosferica che riesce a cogliere nei dettagli tutte queste cose e riesce a trasformarle in parole a beneficio di quelli, me compreso, che non sempre colgono tutte le facce di una serie tv
una premiere da 9 sicuramente
grazie massimo! concordo ovviamente con il tuo giudizio sulla premiere, è stata una doppia puntata impegnativa dal punto di vista emotivo e, ovviamente, critico (avevo materiale per circa 3 recensioni =) ).
Credo che con questa premiere abbiano davvero toccato vette di complessità raggiunte pochissime altre volte, forse solo con The Other Woman. E’ una serie incredibile.