Come iniziare a parlare di questa puntata di Game of Thrones o, più in generale, come poter parlare compiutamente di questa serie? L’onnipresente sensazione è di cadere nei facili tranelli di ridurne degli aspetti, di esagerarne altri o di ignorarne altri ancora. Perciò è dal basso della mia assoluta non conoscenza della saga cartacea di George R. R. Martin che tenterò di descrivere l’episodio firmato dallo stesso autore.
Martin firma, appunto, un episodio a stagione (nella prima The Pointy End, nella seconda Blackwater), sempre in dirittura d’arrivo e in punti cruciali della narrazione. Questa volta però, seppur vicini alla fine, l’episodio ha poco di cruciale, è sostanzialmente statico e, ancora una volta, fortemente frammentato. Dopo un episodio come The Climb, che ha fatto della scalata la metafora interna della narrazione stessa, sarebbe facile (e forse un po’ semplicistico) parlare di The Bear and The Maiden Fair nel solo cono d’ombra rimandato dal titolo, ma si figura come l’unica vera chiave di lettura disponibile – ma non è di certo un limite. La sequenza di ogni singola storyline presenta infatti molte situazioni a due, dialoghi tra dama ed orso, dove la personificazione della metafora non sempre rispetta la fisicità dei personaggi in questione, quanto il ruolo dell’uno rispetto all’altro. Tale scelta narrativa, di maggiore coerenza interna all’episodio e di minor sguardo d’insieme, causa due reazioni: da un lato, la giustificazione quasi aprioristica della puntata specifica in quanto ben architettata e, dall’altro, l’insoddisfazione nel dover continuamente rimandare la comprensione della trama perché mancano ancora vari addendi per poter sommare. Le due posizioni, però, hanno confini molto più labili di quanto sembri e l’una senza l’altra sono incomplete, parziali.
“You should be with one of your own.”
Attraversata la barriera, gli Uomini Liberi guidati da Mance si dirigono a Castle Black con l’intenzione di conquistarla a modo loro, con i loro percorsi, i loro tempi. Ed è a questo proposito che si apre (continua?) la discussione tra Ygritte e Jon Snow, che ancora non riesce a riscattarsi dal suo ruolo di dama. Infatti per loro, questo gioco di inversione è colonna portante sin dall’inizio e ha ormai del ridondante trovarsi di fronte agli stessi frangenti in cui un po’ a parole – not all the girls are like you e un po’ a fatti, si ribadisce continuamente il concetto della loro diversità e della diversità di Ygritte rispetto alle piagnucolanti donnine del sud; e sempre, in tutta risposta, arriva il fatidico you’re mine and I’m yours. Variante della settimana è Orell, l’antipatico metamorfo degli Uomini Liberi, che si inserisce nella relazione rispettando sempre il dialogo a due: parla infatti prima con Jon Snow e poi con Ygritte, arrivando a confessarle dal nulla il suo amore. Niente di nuovo sul fronte settentrionale, insomma.
“Can you leave the war for one night?”
Freschi di polemiche nostrane circa la violenza, la pornografia e la depravazione che la serie si incaricherebbe di rappresentare, questo episodio ci lancia contro e a piene mani moltissima nudità – che, a onor del vero, così in chiaro mancava da un po’. Lontani dalle pruderie altrui, ci godiamo il matrimonio d’amore di Robb Stark e della bella Talisa, nonostante lo sguardo severo di mamma Catelyn. Ciò che non va nell’abbondare con scene di questo genere è il palese rallentamento che la narrazione subisce: a parte farci sapere della gravidanza, il loro dialogo è poco interessante, ed è a questo punto che indugiare sul corpo di Talisa diventa noioso ed inutile.
Dove invece si chiarisce perfettamente la sterilità e l’anacronismo delle accuse suddette è nello spazio dedicato a Theon: pur sempre relegato in veloci minuti di oscura e sadica tortura, per molti (non lettori) ancora immotivata, questa volta lo vediamo nelle mani del solito aguzzino che lo sottopone alla peggiore delle torture. Qui il sesso, il puro atto carnale, tanto amato da Theon, subisce un’inattesa legge del contrappasso: la paventata depravazione trova il suo senso e il suo spazio, non è fine a se stessa ma funziona in/per il personaggio. Il sottile limite che passa(va) tra l’erotismo e la pornografia è stato superato molto tempo fa e a totale favore della seconda, che non si riduce a corpi nudi, ma la produciamo noi stessi per insaziabile voracità nel voler vedere, nel fagocitare tutto. Certe polemiche sono in ritardo di decenni.
“Women in our position must make the best of our circumstances.”
A sud, esattamente a King’s Landing, le donne vestono abiti di seta ma poche di loro sverrebbero facilmente come sostiene Ygritte: Margaery Tyrell non è la dama fragile ed impressionabile, tutta la sua forza è nella sensualità e nella furbizia, nella capacità di recitare e manipolare. La vera dama in difficoltà, in attesa del suo cavaliere e non ancora pronta per l’orso (come vuole la filastrocca che dà il titolo all’episodio), è Sansa Stark: sognatrice instancabile, si lascia condurre per mano, nella sua ingenuità – ormai al limite dello stucchevole -, dalla praticità della nuova amica. La previsione di un matrimonio con Tyron Lannister pare portare molti vantaggi politicamente, certo, ma altrettanti svantaggi personali. Se per Sansa è l’infrangersi del sogno di vedersi in sposa ad uno scintillante cavaliere, per Tyron significa perdere Shae. Il loro rapporto, anzi, tutta la storyline di quello che è uno dei personaggi più amati della serie è decisamente sottotono da ormai qualche episodio, incastrato in una relazione senza mordente e senza futuro, immobile a parlare parlare parlare.
“Tell me about the Targaryen girl in the east and her dragons.”
I sessanta minuti dell’episodio concentrano moltissimi dialoghi ed incontri, appunto: su tutti spiaccano Tywin Lannister a cospetto di re Joffrey e Daenerys Targaryen, giunta nella città di Yunkai.
Entrambi i dialoghi vengono condotti con le stesse caratteristiche: un personaggio deve svettare sull’altro e quindi regia e fotografia danno il meglio per rimandare le differenti posizioni. La salita per le scale di Lord Tywin per portarsi faccia a faccia con l’odioso nipote vista in mezzo ai due fuochi, è un esempio della raffinatezza non solo narrativa della serie; così come sul fronte Targaryen, il momento dell’arrivo dell’ambasciatore da Yunkai in mezzo agli Immacolati di Astapor è qualcosa di visivamente eccezionale. Il tutto seguito dall’incontro vero e proprio con una Daenerys che si conferma, fino ad ora, la storia meglio costruita: lei, accanto ai suoi draghi, regina dei sottomessi e degli schiavi, si delinea silenziosamente, senza dover mai essere spiegata didascalicamente nei suoi intenti, perché è perfettamente reso il suo realizzarsi.
Ultimi, non certo per importanza, abbiamo Jamie e Brienne al momento dei saluti. La loro è un’altra delle storie ben sviluppate, sempre nei limiti tempistici ormai evidenti: conclude la puntata lo scontro vero e proprio tra Brienne ed un orso, lanciata in arena con una spada di legno per ordine (e divertimento) di Locke, il responsabile della mutilazione del Kingslayer. Jamie, tornato indietro, riesce a salvare e a salvarsi. Esattamente adesso si può comprendere appieno quanto detto all’inizio: guardare alla puntata senza riferire il titolo alla filastrocca (questione anche poco chiara al non lettore), o almeno all’ultima situazione di Brienne, questa sarebbe apparsa come l’ennesimo dare tasselli da incastrare sì ai precedenti, ma senza averli – ancora una volta – tutti. Appiattirla invece solo e totalmente sulla semplice metafora, forzandone i limiti, l’errore diventerebbe quello opposto: guardare al particolare, perdendone il ruolo nell’insieme.
Game Of Thrones è ed ha due facce: ha i libri e ha la realizzazione tv, ha scelto il frammento come modus narrandi e (si spera) un’architettura più solida nella totalità; particolare e generale vengono costruiti insieme, l’uno sull’altro. E credo anche che, in questo, si annidi l’implicito segreto del suo enorme successo.
Voto episodio: 8-
Note:
– Mancano all’appello: Maelisandre e Gendry, ormai alle porte di King’s Landing ad aprire, quindi, un’altra storyline;
– Bran, Osha e i fratelli Reed continuano a rincorrere Jon Snow mentre aspettiamo il senso del loro spazio;
– Arya, altro personaggio sottotono, cade nelle mani del Mastino. Ora siamo al completo.
Sicuramente una puntata più apprezzabile della precedente, almeno per quanto mi riguarda.
Io comunque farei più attenzione alla lettera in valyriano di Talisa piuttosto che al suo fondoschiena. Non dimentichiamoci che Robb quella lingua non la conosce, siamo sicuri che Talysa stia davvero scrivendo alla madre?
Bravo Kon, anche io sono convinto che la ragazza non la conti giusta… Ho l’impressione che sia una spia già dalla seconda stagione, vedremo come andrà…