Dopo cinque episodi in cui gli autori hanno giocato con gli spettatori a colpi di cliffhanger esasperati, di trame e sottotrame sempre più aggrovigliate, ne arriva uno che per molti versi rievoca le prime due stagioni, sia per l’adrenalinica intensità che per la velocità con cui porta avanti la trama principale.
In molti lo hanno spifferato già prima della premiere, tutti quanti l’hanno capito dopo pochissimo tempo: Nicholas Brody non è il protagonista della terza stagione. Questa asserzione ne comporta un’altra ad essa consequenziale: il rapporto tra Carrie e Brody non è più il cuore narrativo della serie e per forza di cose urge trovarne un altro. Per molti una scelta suicida, per altri l’unica strada possibile da opporre a un movimento sempre uguale e in parte sclerotizzato: il cambio di rotta di Homeland è radicale, probabilmente non incontrovertibile, ma per ora estremamente netto. La follia disturbante e geniale di Carrie, simbolo di un’America che vuole abbattere i propri orizzonti culturali, era perfettamente bilanciata dall’identità plurale e camaleontica di Brody, prova concreta del passaggio al lato oscuro, epigono contemporaneo e realistico di Anakin Skywalker.
“You may have me over a barrel, but I’ll never be your bitch.”
Nonostante un episodio in cui Brody è stato mostrato in tutte le sue attuali difficoltà – piccolo seme per un ritorno di gran carriera –, la serie ha reagito alla propria automutilazione facendo salire in cattedra uno dei suoi personaggi più affascinanti, come già si poteva intuire dal finale della seconda stagione. Quello sguardo amaro e al contempo d’amore rivolto da Saul a Carrie rivelava e preannunciava tutta l’ambiguità del personaggio e l’ambivalenza del loro rapporto, così come la difficoltà del neo-capo della CIA (seppur temporaneamente) di far convivere tutte le pressioni a cui è sottoposto con la gestione della personalità di Carrie. Dopo non pochi indizi, “Still Positive” mette in chiaro chi è il vero mattatore della stagione, chi la figura più problematica: Saul. Quest’episodio infatti mostra tutte le sue facce, alle quali collega tutte le relative sottotrame, dai giochi di potere all’interno della CIA, al rapporto con Carrie, dalle sue ferite più intime legate al rapporto con la moglie Mira (protagonista di una delle sequenza meglio costruite dell’episodio) ai segreti di un passato i cui riverberi si abbattono sulla politica americana.
“Saul should have instructed you to treat me with more respect than that.”
A questo proposito, “Still Positive” mette a fuoco il villain della stagione, Javadi, concentrando gran parte delle energie sulla sua caratterizzazione, legando i fili della trama spionistica a quelli del passato di Saul e del terrorista iraniano. L’operazione infatti si manifesta come un ibrido tra la vendetta personale e la cattura di un pericoloso terrorista, situando Saul in un zona di complicatissimo confitto d’interesse che lo costringe a prendere decisioni eticamente tutt’altro che irreprensibili, come quella di lasciare un neonato nel pieno della scena del crimine. Quest’ultima è l’apice della sequenza emotivamente più intensa dell’episodio, che per molti versi ha richiamato le note più belle dell’Homeland originario. Montaggio alternato, suspense esasperata, terrorista senza nulla da perdere: queste le chiavi principali del miglior momento della puntata. L’enigmatico Javadi, invece di consegnarsi alla CIA e rispettare l’appuntamento preso con Carrie, commette una vera e propria strage che, nell’efferatezza con la quale uccide l’ex moglie, nasconde un rancore covato per lunghi anni.
“I told you mom. I can’t be Dana Brody anymore.”
Esattamente qui finiscono le cose positive che, nonostante non siano poche, purtroppo non sono affatto le sole. L’episodio infatti è carico di elementi che nel migliore dei casi lasciano perplessi e nel peggiore sono vere e proprie cadute di stile, soluzioni che definire azzardate è un puro eufemismo. Cominciamo da queste ultime che, come spesso è accaduto in passato, possono sintetizzarsi in un nome e un cognome: Dana Brody. Nessuno sottovaluta le difficoltà che può avere una ragazza come lei in un’età così difficile e in una situazione che lo è ancor di più, ma la costruzione della sua storyline, il suo sviluppo e quello che molti sperano essere il suo epilogo (almeno temporaneamente), meritano una bocciatura secca. Una ricostruzione sintetica potrebbe essere questa: Dana vede il videotestamento del padre al telegiornale che lo mostra come il responsabile della strage, tenta il suicidio, va in cura in una comunità in cui conosce un ragazzo per cui perde la testa, cerca di ricucire un filo diretto col padre attraverso la fede pregando sul suo tappeto rosso, tenta di rinsavire rinnegando nuovamente il padre, decide di cambiare cognome e infine va via di casa con un’amica che nessuno ha mai visto prima.
È evidente che in molte delle azioni della ragazza non c’è alcuna coerenza ed è ancora più spiazzante (ovviamente in negativo) lo scioglimento con il quale lei si congeda da casa e dalla famiglia. Nessuna madre di una ragazza che ha da poco tentato di uccidersi lascerebbe andare la propria figlia con una donna che non ha mai visto prima, riservandosi tra l’altro anche un implausibile momento di pacificazione genitoriale.
“You bombed the CIA 12/12. We got to work in the early hours of 12/13.”
Più in generale, nonostante alcune sequenze ben costruite e capaci di rievocare le atmosfere della serie che molti di noi hanno amato e tenendo per un attimo da parte le vicende legate a Dana, ci sono troppe cose che non tornano, troppe soluzioni affrettate, troppe cose date per scontate o lasciate andare senza essere spiegate per poter dare fiducia a una stagione che sta comunque cercando di risollevarsi. Brody è sicuramente una parola chiave di questi, tanti, dubbi: come si intende utilizzarlo? Dove è finito tutto l’accanimento su di lui? A ciò si lega anche la presenza di Javadi: non era Brody il sospettato numero uno della strage che chiudeva la seconda stagione? E rispetto al nuovo nemico: è mai possibile che in un baleno quest’inafferrabile terrorista sia stato braccato dal piano di Carrie e Saul, peraltro mai degnamente spiegato? Infine Quinn e Carrie: sono diventati amici improvvisamente? Il loro rapporto avrebbe anche diverse potenzialità, ma messo giù così sembra un po’ troppo raffazzonato e perde ogni tipo di credibilità.
Voto: 6
Vorrei confrontarmi su un paio di situazioni nel quale non mi trovo troppo d’accordo:
Dana: la sua storyline è sicuramente la parte più debole di questa terza stagione; credo che parta con un handicap in più visto la gestione dei primi 3 episodi (con molto spazio a lei dedicato) e comunque una messa in secondo piano in questi ultimi 2, però non trovo incoerente la sua gestione come personaggio, la trovo semplicemente mal spiegata e mal costruita da parte degli autori (non è una scusante, anzi, però a fronte di parti di puntata a lei dedicate molto noiose ed “inutili” non credo corrisponda per forza una cattiva caratterizzazione della ragazza), ed anche la scelta di andare via di casa è comprensibile e credo che la mamma abbia capito, non senza dolore, che forse lasciare libera la figlia sia la cosa migliore da fare (ed io sinceramente avrei fatto uguale, nonostante il passato non possa e non debba lasciare tranquilli)
Javadi: ecco questa è la parte che più mi è piaciuta dell’episodio; secondo me lui non va a casa sua per pareggiare i conti col passato, bensì fa tutto ciò per poter trovare la scusante per “giustificare” il suo incontro con Saul… quando Saul dice che Javadi non sarà la sua puttana glielo dimostra proprio in questo modo, come se gli dicesse che quello è il prezzo da pagare per avere le sue informazioni e che, in fondo, la morte della ex moglie di Javadi è solo colpa di Saul e non sua, ed ho trovato questa scelta azzeccatissima.
Carrie: Ecco a me sta cosa dello “still positive” è proprio L’UNICA cosa che non sono riuscito a mandare giù della puntata (per il resto Claire Danes mi è piaciuta moltissimo); certamente è una scelta narrativa che può portare a sbocchi interessanti soprattutto nella quarta stagione, ma l’ho trovata una forzatura troppo banale rispetto agli standard alla quale ci ha abituato Homeland (anche se questa scoperta potrebbe essere la giustificazione del finale della prima puntata dove Carrie, accusata da Saul, lo insulta nonostante sappia della operazione).
Quinn: su di lui sono d’accordo con te, probabilmente il modo con la quale hanno gestito Carrie alla CIA lo ha fatto avvicinare a lei ma a me sinceramente tutta questa bontà e protezione la trovo ingiustificata, anche perché nella seconda stagione era il pedalino di Dar Adal e non mi sembra che la cosa sia coerente con quello che sta accadendo in questa terza.
Jessica Brody: una delle poche puntate (escludendo quelle dove fa vedere le tette che non contano per ovvi motivi xD) in cui la sua presenza ha senso.