Uno dei punti di forza di Person of Interest è senza dubbio la grande tela di trame orizzontali tessuta nel corso delle stagioni, che permette di avere un’ampia scelta quando si tratta di cominciare un nuovo corso. Concluso magistralmente il capitolo HR, il focus torna interamente sulla Macchina, riprendendo le tematiche basilari della serie.
Aletheia si presenta come la seconda parte dell’episodio precedente, Lethe: già dai titoli si ricavano le chiavi di lettura principali. Gli autori attingono alla filosofia classica per identificare prima l’oblio (il fiume della dimenticanza, Lete, rappresentato nel mito di Er nella Repubblica di Platone), poi lo svelamento o verità (aletheia), incarnate nella misura più evidente dal nuovo e già caro personaggio di Arthur, o meglio dalla sua memoria, fatta a pezzi per recuperare Samaritan. I nostri personaggi, sin dall’inizio, hanno combattuto una vera e propria guerra solitaria in nome di un’idea, un principio: utilizzare una tecnologia avanzata per salvare persone normali. Le questioni morali alla base sono state disseminate con parsimonia e intelligenza nelle stagioni precedenti, facendo accomodare la battaglia dei nostri eroi urbani sulla sponda del Bene contro un Male quasi invisibile, in realtà identificato con una specifica idea di Stato (the government) che agisce al di sopra delle parti che lo compongono (i cittadini) e che sono chiamate a legittimarlo.
La grande capacità di scrittura della serie emerge in episodi come questo, alzando l’asticella della profondità contenutistica attraverso il dispiegamento di tematiche tanto attuali quanto universali. Ne esce fuori un quadro complesso che parla dell’Umano, delle infinite scale di grigi che compongono la realtà, rompendo così lo schema manicheo che pretenderebbe di ridurre a categorie predeterminate le motivazioni che stanno dietro le azioni e le ragioni che portano ognuno di noi a voler combattere, o anche solo a simpatizzare, per un’idea piuttosto che per un’altra. Tutto ciò che siamo, tutto ciò che viviamo e che sperimentiamo è racchiuso nella memoria, concetto ben distinto da quello poco umano e più divino di Verità. La nostra mente compie scelte ben precise quando decide cosa ricordare e cosa dimenticare, e il giudizio critico sul mondo potrebbe essere visto come il risultato di una serie di scelte più o meno consce compiute a seguito di esperienze. Agli uomini, all’Umano che vive di memoria, di interpretazione, anelando la Verità, si contrappone il divino, frutto della mente dell’uomo. La serie ci offre un interessante punto di vista: l’uomo crea Dio materialmente, costruisce una Macchina onnisciente capace di vivere e di rigenerarsi in maniera indipendente, capace quindi di scegliere.
Divenuto creatore, l’uomo può sperimentare il rapporto con Dio: alcuni vogliono possederlo e controllarlo, altri distruggerlo. Queste posizioni contrapposte (quella rispettivamente di Control e di Vigilance) sono due facce della stessa medaglia, entrambe arroccate nelle proprie convinzioni: ne consegue il fanatismo tipico dell’assenza di incertezze, simile nella sostanza a quello che sono state nella Storia (e in buona parte sono ancora) le religioni. L’infinita scala di grigi che compone l’umano è ben più ricca, e tra i due estremi ci si sposta grazie alla caratteristica forse più umana tra tutte: il dubbio. Finch rappresenta l’intelligenza umana più completa e incarna l’incertezza, essendo allo stesso tempo sia in grado di concepire e costruire Dio, riconoscendone la magnificenza, sia di comprendere i rischi che tale portento potrebbe causare all’umanità.
La puntata è perfetta nel tratteggiare tutto questo e molto altro, servendosi di un linguaggio sempre in bilico tra l’ironia e la poesia, quest’ultima utilizzata anche esplicitamente per sottolineare l’importanza del linguaggio non solo come semplice forma di comunicazione, ma di vera e propria creazione.
In questo processo di svelamento non può mancare l’origine di tutto. Nel 1980 esisteva una rete del governo, Arpanet, creata con scopi di difesa ad uso militare. Scopriamo che Finch (e Arthur prima di lui) ideò la Macchina prima dell’avvento di internet, prima che ci si ponesse il problema a livello globale del difficile trade off tra protezione e privacy. I bellissimi dialoghi tra i due ex compagni di college nella banca mettono le carte in tavola e svelano il terreno disseminato di dubbi nei quali gli uomini sono destinati a vivere, scegliendo da che parte stare e per che cosa combattere.
In maniera complementare si ergono anche le figure di Root e Reese. Il punto di vista della Macchina, i suoi obiettivi, in qualche maniera la sua volontà, non possono che essere oscuri; l’unica certezza è la decisione di parlare e agire per mezzo di un uomo. Mrs. Groves è l’interfaccia, nella lettura religiosa rappresenta un profeta, e di tale figura possiede tutte le peculiarità: una fede cieca e indistruttibile verso la divinità, con un legame privilegiato e unico rispetto al resto del mondo. Anche qui non possiamo che lodare la bellissima messa in scena dello “scambio” tra le due donne nella cella, che apre la strada ai più diversi sviluppi. Root, o meglio, la Macchina, definisce la squadra di Finch my agents, facendo automaticamente indossare loro la maglia della squadra gialla, proprio come il quadratino col quale li identifica dalle telecamere di sorveglianza.
In maniera totalmente diversa, Reese rappresenta un ulteriore aggiunta cromatica all’affresco, da una parte difficile da digerire per il semplice fatto che sappiamo già che in qualche modo il nostro eroe sarà destinato a tornare, dall’altra però del tutto necessaria. Non si può negare che il “mescolamento delle carte” (come lo ha definito Finch) che la Macchina ha generato è costato la vita all’agente che incarnava le caratteristiche di onestà e rettitudine in maniera più vera e genuina di tutti.
Il duro colpo non può non ripercuotersi su un’anima tormentata come quella di John, che ha visto distruggersi il senso stesso della sua missione, morto insieme a Carter. Sarebbe stato ingiusto e poco coraggioso liquidare l’accaduto nel decimo episodio, seppur bellissimo. Non resta che augurarci che il percorso che Reese ha necessità di compiere sia all’altezza del livello raggiunto dalla serie; che riesca a convincere facendo evolvere il personaggio senza snaturarlo.
In breve, la trama continua a non arrestare la sua corsa: Samaritan è ancora in giro, Control è adesso controllata da Root e dalla Macchina, e ritorna Decima Technologies, a proposito di quella grande varietà di trame descritta all’inizio dell’articolo. Non si può restare delusi da un episodio come questo, l’ennesima conferma della maturità raggiunta e delle potenzialità che ancora può esprimere Person of Interest. Quindi perdoniamo le forzature, i proiettili incredibilmente schivati o andati a segno a seconda della convenienza o i salvataggi in corner: il tocco fumettistico è cifra stilistica della serie, senza nulla togliere alla potenza dei dialoghi e alla veridicità e coerenza degli sviluppi. Non si può chiedere di meglio.
Voto: 9
Bellissima recensione.
Più che la bellissima puntata in se quello che stupisce di person of interest è che da 7-8 puntate non abbassa il piede dall’acceleratore e lo fa mantenendo la qualità altissima.
La quantità enorme di sottotrame orizzontali disseminate nelle passate stagioni permette agli autori di saltare linearmente da na parte all’altra senza far calare tensione, ritmo e bellezza della singola puntata.
Questo episodio è cosi pieno di azione, significati, dialoghi e svolte ma allo stesso tempo ci lascia palpitanti in attesa degli sviluppi futuri, ci offre nuovi spunti, ributta in gioco la Decima e caccia via dal plot il personaggio principale (momentanemente si spera), regalandoci una Root superba, un Finch umano e una Shaw spettacolare.
Ci sarebbero ancora i vari Alonzo, Elias, Government al completo ecc ecc…insomma una quantità di cose ancora da dire e da esplorare maestosa.
Attualmente con la fine di Breaking bad e l’imminente fine dei vari mad men, sons of anarchy e boardwalk empire non vedo una serie in grado di contrastare Person of interest
Splendida puntata e recensione superba. Davvero complimenti.
Bellissima recensione, complimenti!
Puntata capolavoro, l’ ennesima di Person of interest.
La serie sta entrando in uno stato di grazia, ormai sta sfornando episodi stupendi uno dietro l’ altro Razgovor, Mors Praematura, Endgame, The devil’s share, Aletheia.
Quest’ episodio forse è stato il più sofferto della serie a causa del mio strettissimo legame con Root e gliene ho tirate talmente tante a Control a cui auguro una morte terribile, probabilmente guardando ho sofferto più della stessa Root interpretata dalla fantastica Amy Acker che ditemi se non merita un Emmy per Root, cioè parliamone!
Tutta la puntata presenta una tensione pazzesca dal primo all’ ultimo minuto, i flashback ben fatti su Finch aiutano a conoscere meglio le vicende del nostro protagonista, ma servono anche come unici momenti per far rifiatare lo spettatore. Shaw, che non amo, mi è piaciuta in questa puntata stupenda oltre che nel discorso del bisturi e del martello quando afferma che la finezza a lei gli esce perfino dal …
Il dialogo stupendo tra Finch e Claypool assolutamente geniale e stupendo forse il più bello della serie.
Infine mi dispiace per Root che non so effettivamente fra quanto rivedremo spero il più presto possibile, così come per John.
Rientra Decima tecnologies, ma chi se la ricordava più ! XD
Questa è la cosa stupenda di Person of interest, gli autori ormai hanno creato una creatura stupenda, con un immensa mitologia e la loro bravura è quella nel saper gestire tutte le storyline e capire quando chiuderle e quando far riemergere altre senza mai confondere o stancare lo spettatore e non annoiandolo mai.
Infine spero di rivedere anche Claypool.
Person of interest ha raggiunto lo stato di grazia, immenso capolavoro, miglior serie del momento e una delle più belle di sempre, non pensavo che avrei adorato così tanto una serie dopo Fringe(anzi devo dire che in questa terza mi sta piacendo a livello qualitativo anche più di Fringe forse almeno in episodi come questo).
Concordo con il 9, ma spero che come è successo per Fringe con la 3×22, con Breaking bad, The killing e Boardwalk empire, anche in una recensione su un episodio di Person of interest possa comparire il voto 10
Prima di tutto grazie per gli apprezzamenti alla recensione 🙂
Gli spunti di riflessione offerti dall’episodio sono davvero tanti, difficile approfondirli tutti in un articolo. Aggiungo anch’io le lodi al cast: la scelta delle guest continua ad essere azzeccata e la Acker è sempre più nella parte, una goduria per gli occhi.
Menzione speciale per hammer-Shaw, che eredita il ruolo badass e l’ironia di Reese senza far rimpiangere quest’ultimo.
@Son of The Bishop: anch’io spero di poter vedere un 10 ad una puntata di PoI. Per quanto mi riguarda credo che manchi ancora qualcosina, forse una costruzione più decisa e serrata su una singola storyline orizzontale. Non sono bipolare 😀 mi rendo conto di aver lodato a più riprese la caratteristica delle tante sottotrame che arricchisce la serie, ma a questo punto si tratta di un’arma a doppio taglio. Mi spiego meglio: il 10 implica la perfezione non di un singolo episodio, o di una manciata di essi, ma se si parla di serie TV si deve guardare il processo generale, come si arriva ad un determinato punto. Credo che PoI abbia adesso più che mai la possibilità di continuare sul percorso intrapreso senza indugi, abbandonando per un po’ lo schema procedurale e concentrandosi sulle conseguenze di quanto accaduto finora, giungendo nel finale ad un climax che compia in qualche modo le affascinanti riflessioni aperte finora. Staremo a vedere.
“I’ve got finesse coming out of my ass, Finch”
A parte questa perla, che capolavoro di episodio. Nient’altro da dire.
Episodio fantastico…però arrivati a questo punto ancora non riesco a ben comprendere chi sia l’anziano misterioso al quale l’impiegata di banca ha dato i due drive …colui che mando la Stenton a immettere il virus