Anche per Justified questa stagione giunge al termine. I nodi si sciolgono e si prepara il terreno per l’atto finale che, come ogni western che si rispetti, avrà una sola conclusione possibile: la definitiva e ultima resa dei conti.
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They can’t hang themselves if we don’t give them any rope.
L’epopea del boss Darryl Crowe arriva dunque al capolinea così come ci era giunta quella di Bo Crowder, Robert Quarles e Mags Bennett.
Proprio come si sono disintegrate nel tempo tutte le famiglie presenti in Justified, anche il nucleo dei Crowe subisce lo stesso infausto destino, implodendo su se stesso e sui suoi fallimentari componenti. Darryl Crowe non è stato, però, sicuramente uno dei villain migliori di questa serie, complice sia una non ottima gestione del personaggio, il cui egoismo e crudele ars manipolatoria sono venuti fuori un po’ troppo tardi, sia la potenza comunicativa di altre new entry, come il fratello Danny (molto più definito nella sua spietatezza) e soprattutto Wendy, sicuramente uno dei gioielli di questa stagione un po’ discontinua.
Ciò che probabilmente ha però spiazzato lo spettatore è che la famiglia Crowe non è mai stata un villain, forse nemmeno nelle intenzioni degli autori. I suoi membri non sono mai stati il vero nemico, non sono stati uccisi né da Boyd né da Raylan, e le loro azioni spesso solo di striscio hanno costituito una minaccia per i nostri protagonisti (fatta eccezione per il tentato omicidio di Art). La famiglia Crowe ha funzionato più da “specchio”, riflesso di quella disgregazione/degenerazione della famiglia in cui Raylan ha ritrovato se stesso (Kendal) e il suo autoritario padre e capofamiglia Arlo (Darryl). Non è un caso che il nostro marshal assista al confronto finale tra Wendy e il fratello senza muovere un dito, come a godersi un film di cui egli è stato regista senza mai esserne stato interprete, scrivendo così il finale che forse avrebbe voluto per sé e per Arlo: l’uccisione del capofamiglia e la propria liberazione da quella gabbia di autoritarismo e crudeltà.
I always wondered, though, if I didn’t join the marshals just to prove something to him… what a badass I was.
Quella di Raylan Givens, del resto, è sempre stata una storia di affermazione personale; il tentativo (fallito) di risolvere e dare sfogo ad un malessere esistenziale fatto di rancori e voglia di rivalsa, di cui qui scopriamo le radici nel racconto della sua prima uccisione, guarda caso avvenuta alla stessa età di quella di Kendal. Trattasi di un racconto che ci riporta alle origini di tutto, al momento in cui Raylan ha iniziato a compiere scelte in nome di un singolo e unico scopo: dimostrare qualcosa, diventare qualcuno, sconfiggere l’autorità, qualunque essa sia. In Kendal, Raylan rivede quel bambino che ancora si sente considerato una “pussy” dal resto del mondo e che, in fondo, quel maiale selvatico (o alligatore) ancora non lo ha sconfitto. Il suo scontro con Darryl Crowe non è mai stato questione di giustizia o criminalità, ma qualcosa di personale verso un uomo che incarnava quell’autorità crudele di cui ancora non riesce a liberarsi e sulla quale è concentrata tutta la sua attenzione. Lo ha capito Alison, che ha ben inquadrato tutto l’individualismo di un personaggio concentrato esclusivamente su se stesso e sul proprio bisogno di affermazione. E lo ha capito anche Ava di Boyd, ancora una volta perfetto alter-ego del nostro protagonista.
Well, if my survival is a happy by-product of my selfless act, so be it.
Alison e Ava sono d’altronde due donne molto simili (non solo perché entrambe bionde), essendosi innamorate di due uomini che poi le hanno deluse e messe in secondo piano. Se l’ossessione di Raylan è quella di liberarsi dai fantasmi del proprio passato, quella di Boyd è l’ambizione verso il futuro. Tutti e due vogliono essere autorità, sentirsi per la prima volta padroni di loro stessi e non schiacciati da qualcun altro. Proprio come profetizzatole da cousin Johnny, Ava ha capito che, nonostante la buona volontà, lei e la sua salvezza non rappresentavano per Boyd la vera priorità. In una stagione caratterizzata da profondi individualismi, sia l’outlaw di Harlan che il nostro marshal si sono mossi sempre pensando ai loro interessi e alla loro sopravvivenza (come Rachel fa notare ad entrambi in questo episodio). Il loro desiderio di affermazione è un richiamo al quale non riescono a resistere, come dimostra il sorriso finale di Boyd all’idea di rimettersi a rapinare banche, gettando alle ortiche la poco credibile prospettiva di starsene buono e tranquillo per un po’.
Word for someone like that where I’m from is “coward”.
Chi quest’anno ha avuto per la prima volta una storyline tutta per sé è Ava, altro personaggio alla ricerca della propria affermazione, ma che, al contrario di Raylan e Boyd, non sa ancora esattamente chi vorrebbe essere. Ancor prima che fragile, Ava è infatti una donna confusa, costretta a passare da un uomo all’altro per cercare la propria identità. Chiamata per la prima volta in questa stagione a camminare da sola, nonostante il coraggio e la determinazione, ha miseramente fallito, ritrovandosi in un angolo (la cella d’isolamento) con le sole prospettive di morire lì o guardarsi le spalle per il resto dei suoi giorni. Così, mentre poco prima urlava a gran voce che lei non è il tipo di persona che farebbe la spia, poco dopo, nell’inaspettato twist finale, la ritroviamo proprio in quel ruolo, costretta all’atto più vile per garantirsi anche lei la sopravvivenza.
– I’m scared, Raylan.
– Don’t be. Everything’s gonna be fine.
Si conclude così una stagione altalenante, con un episodio solido che chiude le storyline in maniera eccellente, con in più scene e dialoghi intensi (su tutti i confronti Raylan/Kendall e Wendy/Darryl) che preparano per il prossimo anno alla risoluzione della madre di tutte le rivalità: il regolamento di conti tra Raylan e Boyd, atto ultimo nel loro reciproco tentativo di rivalsa sul mondo. Lasciamo il nostro marshal con un’importante ferita ancora aperta (Art, vero e unico padre che Raylan abbia mai avuto) e con un importante quesito: riuscirà il nostro eroe a lasciare il Kentucky vivo e a dirigersi verso la sua vita da adulto in Florida? I soliti versi che concludono ogni stagione sembrano dirci il contrario, ma solo il tempo lo dirà. Appuntamento al prossimo anno allora, con il duello finale ad Harlan County.
Voto puntata: 8,5
Voto stagione: 7,5
Gran Finale.
La cosa migliore di questa stagione è stata aver preparato il terreno al duello finale e per quanto possa sembrare scontato a mio avviso non è cosa facile.
Abbiamo una serie di personaggi in bilico fra la completa autoaffermazione e la completa autodistruzione.
Riuscirà Raylan finalmente a godersi la famiglia e la serenità in Florida?
Riuscira Boyd a vivere felice e contento con Ava?
Riuscirà quest’ultima ad andare avanti senza essere risucchiata per l’ennesima volta nella spirale di violenza e crimnalità di chi gli sta intorno?
Riuscirà Art a godersi la pensione?
Duffy riuscirà a farla franca ancora una volta?
La stagione finale risponderà a queste domande una ad una e l’alone di ineluttabilità che avvolge questa serie oramai è totale, mi ricorda per certi versi quello di The shields se ricordate.
Certo che ricordo The Shield. Il legame è ovviamente Goggins, capace di offrire in entrambe le serie interpretazioni maestose. Nonostante ami Justified, credo che quello che ha fatto in The Shield e quello che sono riusciti a costruire gli autori, con quel climax finale così nichilista, cupo, senza speranza, sia qualcosa di inarrivabile.