Dopo una terza stagione per molti versi poco soddisfacente, ma che ha di sicuro influenzato la narrazione dell’intera vicenda e quindi i presupposti del suo prosieguo, torna Homeland, e lo fa nelle vesti di un prodotto quasi completamente rinnovato.
Se uno spettatore si avvicinasse per la prima volta alla serie iniziando proprio da queste due puntate, sarebbero forse solo un paio gli elementi difficili da inquadrare, perché questa quarta stagione dà il via a tutti gli effetti a un Homeland 2.0: privata del personaggio di Brody, la serie decide di continuare il suo percorso concentrando tutte le sue forze sulla sua vera protagonista, non a caso menzionata nel titolo della prima puntata – The Drone Queen.
Ma com’è stato davvero questo ritorno?
So it hasn’t been a 14-year war we’ve been waging, but a one-year war waged 14 times.
Partiamo dalla questione politica. Nessuno, neanche il mondo di finzione di Homeland, può ignorare il dato di fatto esposto da Saul, ormai allontanatosi (ma non mentalmente) dal mondo della CIA e inserito in quello della sicurezza privata: l’America non era pronta per 14 anni di guerra ma per molto meno, e non ha fatto altro che posporre continuamente la conclusione fino alla ritirata organizzata sia per le missioni US che per quelle NATO.
Ma quello di Saul non è l’unico momento in cui la politica estera americana viene dipinta senza filtro, senza indorare la pillola. Abbiamo un’ambasciatrice che dichiara senza scrupoli come “il numero dei terroristi da prendere vivi o morti sia salito da 7 a 2000” dall’attacco dell’11 settembre – You don’t even have to be a terrorist anymore, apparently. You just have to look like one. Ma abbiamo soprattutto un attacco come quello che apre la premiere, eseguito senza doppi controlli e basandosi sull’affidabilità della fonte di Sandy, a seguito del quale viene celebrato senza particolari preoccupazioni il compleanno della “regina dei droni” – torneremo su questo punto.
È un Homeland che sin dall’inizio decide di caricare di poche luci e moltissime ombre non solo le vicende rappresentate, ma anche i personaggi coinvolti: che siano in crisi come Quinn o alienati dal lavoro come Carrie, la sensazione che pervade entrambi gli episodi è che, ancor più che nelle altre stagioni, ci siano davvero poche persone da salvare; pochissime, se la reazione di difesa davanti ad un fallimento come quello di aver bombardato una festa di matrimonio è (nel caso di Carrie e di Sandy) un generico “beh, sapevano chi stavano frequentando, se la sono cercata”.
L’attacco ad Haqqani rappresenta infatti il fulcro del doppio episodio, la causa scatenante di tutta una serie di eventi che porteranno a sviluppi sia personali per Carrie che preoccupanti per la CIA e, soprattutto, per Lockhart. Purtroppo per Homeland, però, ciò che dà il via a tutto parte da presupposti per i quali parlare di “sospensione d’incredulità” pare un eufemismo: al momento dell’esplosione, il giovane Aayan – nipote di Haqqani – stava tenendo tra le mani il suo cellulare, e risulta davvero poco credibile non solo che il telefono sia sopravvissuto ad un bombardamento, ma che sia stato recuperato insieme al giovane in un’operazione di salvataggio così complicata. Non è una cosa di poco conto, se si considera che il caricamento del video su youtube rappresenta il punto di svolta per tutte le vicende, ed è difficile credere che non si potesse pensare a qualcosa di meglio.
È ancora prematuro analizzare la storyline legata ad Aayan (le medicine che nasconde a casa dell’amica sono di fatto fiale di testosterone, ma non sappiamo altro), eppure la sua caratterizzazione è già resa ben evidente a partire da queste puntate: il suo giudizio sulla morte di Sandy – The Americans, they’re murderers, okay? But what we did to that man, how is that any different? – è ragionevole, come lo definisce Lockhart. Una ragionevolezza che è figlia di un sistema di valori per cui la morte, l’assassinio, sono tali da entrambe le parti, senza utilizzare due pesi e due misure. Ci sono delle conseguenze quando si uccide qualcuno, morali prima ancora che politiche.
“It’s a job.”
“Doesn’t bother you?”
Diverso è invece l’approccio che ci viene buttato in faccia ad inizio episodio: una decisione da prendere, un bombardamento da approvare senza poter effettuare doppi controlli e la celebrazione di un compleanno si susseguono senza soluzione di continuità, in un passaggio alienante e disturbante proprio perché indifferente a ciò che sta accadendo. La “regina dei droni” vive una vita di completo distacco dal reale, in cui le giornate si susseguono identiche e in cui, non a caso, gli unici momenti in cui non sta lavorando sono dedicati ad un sonno che necessita di una chiusura dal reale: maschera per gli occhi, tappi per le orecchie, vino, medicine. Il confronto con Quinn, poi, pesa ancora di più, proprio perché manifesta due reazioni totalmente diverse ai medesimi eventi: Carrie è come anestetizzata, non vede il limite delle sue azioni e percepisce in modo erroneo quello degli altri (We could have done more back there). Vede solo i suoi obiettivi, davanti ai quali è disposta a fare qualunque cosa.
Per questo motivo non c’era bisogno di esagerare sul fronte della figlia: era già evidente, dagli scambi con la sorella e dall’inadeguatezza espressa nelle interazioni con la bambina, che Carrie non ha alcuna intenzione di crescere quella figlia di cui non riesce a ricordare nemmeno il motivo per cui l’ha messa al mondo. La scena del bagno non è sbagliata perché non si possano mostrare certe cose in televisione, anzi: se si trattasse di parlare davvero di ciò che accade ad alcune madri (ma anche ad alcuni padri) dopo la nascita di un figlio, sarebbe una scelta non solo accettabile ma persino obbligata. Ma non è questo quello che accade a Carrie, e la sensazione che emerge dopo una sequenza simile è che si sia voluta accentuare talmente tanto la svolta di completa insensibilità della donna che si è finito per aggiungere l’ulteriore goccia ad un vaso già colmo.
La scena è indubbiamente costruita benissimo, soprattutto perché affida allo spettatore il compito di comprenderla. Le devastanti soggettive della bambina e le lunghe riprese che si concentrano sul volto di Carrie fanno capire meglio di qualunque discorso l’intenzione della donna in quel momento, ma non era una scena necessaria, così come non è necessario cercare di scioccare sempre il pubblico per conquistarselo: ci sono altri fronti su cui lavorare con Carrie, senza dover per forza impilare follie su follie.
Sarà ad ogni modo interessante capire come la protagonista risolverà la vicenda con la sorella: perché se il piano originario era quello di andare con la bambina a Islamabad ed è cambiato perché la donna ha accettato il lavoro a Kabul, ora che tornerà a lavoro in Pakistan come riuscirà a spiegare perché non può portarsi dietro Franny? Al momento si è limitata a dire “they’re sending me back”, ma ci si augura che Alex Gansa e gli autori abbiano pensato a questo dettaglio, non solo a come chiudere la vicenda.
It’s called treason. There are laws against it, and they apply to everyone.
Even the Director of the CIA.
La parte che in assoluto può considerarsi quella meglio riuscita della premiere è legata alla vera trama, cioè alla vendita di informazioni segrete da parte di Sandy in cambio di dati sensibili sulle posizioni dei ricercati. È importante perché smuove praticamente ogni storyline, vecchia e nuova: quella di Carrie, che, scoperta la verità da Harris, ricatta Lockhart per farsi assegnare il ruolo di direttore di sede a Islamabad al posto di Sandy; quella di Saul, che, a dispetto di quanto dice all’amico Dar Adal, non ha alcuna voglia di rimanere nel settore privato per il semplice fatto che non è in grado di distaccarsi dall’aspetto politico e investigativo delle vicende; quella dell’intera CIA, che sotto la guida di Lockhart è destinata a fallire proprio perché l’uomo è in grado di abbassarsi a compromessi inaccettabili solo per la gloria.
È una storyline potenzialmente ottima e in grado di coinvolgere sia gli spettatori storici che un nuovo pubblico, che non ha certo bisogno di sapere della famiglia Brody altro rispetto a quanto spiegato da Carrie alla figlia in questa puntata. Di certo questo è uno degli aspetti migliori della premiere: l’assenza della sottotrama legata alla famiglia di Nicholas, in particolare quella inutile della figlia Dana, regala molto più tempo per approfondire gli altri personaggi e in questo la stagione non può che guadagnare punti.
Purtroppo, però, questo primo incontro col nuovo Homeland evidenzia più di un problema: oltre ai difetti già spiegati precedentemente, non stupisce che queste due puntate fossero state ideate per essere due appuntamenti diversi, e non per costituire una premiere di due ore. Ritmi differenti, focalizzazioni diverse (la prima puntata ambientata in Afghanistan e Pakistan, la seconda in America) e una dose doppia delle instabilità estreme di Carrie non erano state progettate per essere mandate una in coda all’altra, e così doveva essere. Sfortunatamente le scelte di rete non tengono conto delle esigenze artistiche e narrative di una serie: del resto, Homeland sta puntando tutto solo su Carrie Mathison ora, e sarebbe bene non sovraccaricare in modo eccessivo la sua esposizione, proprio in riferimento alla sua caratterizzazione non esattamente facile da comprendere e digerire.
Tra nuovi pregi e vecchi difetti, Homeland fa comunque il suo lavoro e getta le basi per un’annata che, se ben gestita, può passare indenne anche al test di quelli che “ah, io senza Brody questa serie non la guardo più”. Se riuscirà a riprendersi anche dagli errori e dalle esagerazioni dello scorso anno, questa stagione potrebbe rappresentare un nuovo inizio (e una buona fine, qualora si trattasse dell’ultima) per la serie stessa.
Voto: 7+
Note:
– Aayan Ibrahim è interpretato da Suraj Sharma, protagonista di “Vita di Pi”.
– “Trylon” e “Perisphere” erano i nomi di due strutture costruite per l’Expo di New York del 1939/40. La sfera ospitava al suo interno un diorama in cui era rappresentata un’utopica città del futuro.
– La sede delle riprese è stata Cape Town, in cui sono stati ricostruiti gli ambienti di Islamabad, Kabul e anche Washington.
– Sono l’unica ad essere inquietata dalla somiglianza della bambina con Damian Lewis?
Io ho trovato la premiere molto positiva… Spostare le vicende lontano dall’america e focalizzarsi su un personaggio come Aayan permette (e permetterà) di avere un punto di vista molto più ampio sulla vicenda, e credo che per un paese come l’america un tentativo di apertura mentale del genere è da definire quasi eroico (e dovrebbe costringerci a riflettere sull’importanza che ha la comunicazione ed i mass media su quello che riteniamo la “nostra” verità); per il resto rimango sempre colpito dalla veridicità della scrittura e dalla bellezza della sceneggiatura dal punto di vista geopolitico.
Gli unici appunti da fare a questa premiere sono stai quella di unire i primi 2 episodi, come giustamente hai ricordato (scritti e diretti da persone diverse), e secondo me la gestione del personaggio di Quinn forse un pò incoerente col Quinn della seconda e terza stagione. Comunque una premiere che a me ha parecchio convinto, spero che la gente abbia l’intelligenza necessaria per andare oltre all’addio di Brody e godersi questo Homeland 2.0…
Ps: Sulla questione video del cellulare credo che il telefono fosse della sorella (infatti viene mostrato DOPO la scena del suo ritrovamento).
Pps:A me dispiace per i genitori (quelli veri), ma la bimba è veramente di una bruttezza inenarrabile xD
Ecco, non ho voluto dirlo perché dei bambini non si dice mai, ma veramente, povera piccola! Dai, migliorerà crescendo.. glielo auguro.
Per il cellulare in realtà di chiunque sia la cosa non cambia: ce l’aveva in mano lui quando c’è stata l’esplosione, non era nemmeno protetto da una borsa o una tasca, che si sia rotto solo il vetro dello schermo è una delle cose più improbabili al mondo con un attacco del genere!
Spero ad ogni modo che questa stagione vada meglio della scorsa, i presupposti ci sono.
Concordo con l’ottima recensione. I difetti non mancano ma non mi sono pesati più di tanto, quindi nel complesso sono rimasta abbastanza soddisfatta. Per quanto riguarda la questione della bambina io ho capito questo: inizialmente Carrie avrebbe dovuto trasferirsi a Istanbul (un posto sicuro) con la bambina, poi all’ultimo momento è stata mandata a Kabul, una zona a rischio, e quindi la bambina è rimasta a casa e lo stesso vale per questo nuovo trasferimento in Pakistan.
Nono, allora: lei dove a andare a Islamabad, poi è andata a Kabul e quindi ha avuto la scusa di non portare Franny. Ora ha chiesto e ottenuto Islamabad, quindi torniamo al punto di partenza! Solo che alla sorella non ha detto nulla, ha solo detto che la rimandano indietro. Mi chiedevo come pensano di gestirla in futuro, visto che ora tecnicamente non avrebbe più problemi a portarla.
Il riassunto di wikipedia del season finale dice”Lockhart has a meeting with Carrie where he promotes her to station chief in Istanbul”. Poi per qualche motivo non meglio precisato a cui accennano nella premiere lei finisce a Kabul, dove per ovvie ragioni non può portare la bambina. Il fatto che lei ricatti Lockhart per farsi assegnare a Islamabad è dovuto sia al fatto che vuole indagare sulla fuga di notizie ma anche al fatto che sa che la figlia non potrà seguirla in Pakistan così come non l’aveva potuta seguire in Afghanistan dato che sono entrambe zone “pericolose”. Quindi in questo senso io non ci ho visto nessuna incongruenza, resta solo da capire se il resto della stagione si svolgerà principalmente in Medio Oriente o meno, nel primo caso credo che la questione della maternità verrà almeno momentaneamente messa da parte.
hai ragione tu, il problema grosso (mio) è che quando hanno parlato di Istanbul la mia testa ha capito Islamabad, quindi il ragionamento ovviamente non filava.
C’è comunque da sottolineare che a Islamabad sarebbe dentro l’ambasciata, quindi tecnicamente potrebbe portarla (cosa che a Kabul era ovviamente impensabile). Ma probabilmente, come dici tu, metteranno da parte la questione Franny per un po’.
Premessa: e me la terza stagione di Homeland è piaciuta. Non era sullo stesso livello dell’ormai inarrivabile prima e probabilmente nemmeno sullo stesso piano della seconda, ma non era l’aberrazione che il pubblico che affolla l’internet ha raccontato al tempo della messa in onda. Era diversa, tutto qui.
Veniamo ora a Homeland 4, o meglio a Homeland 2, perché di una nuova serie stiamo parlando. Quello a cui abbiamo assistito è un reboot vero e proprio, che mantiene in gioco i personaggi che poteva permettersi di mantenere in gioco e li piazza in un contesto ambientale, socioculturale, politico e professionale (pur mantenendo l’area di lavoro invariata, nessuno ricopre la stessa posizione che ricopriva prima) totalmente diverso: ora non è più il Medio Oriente a venire in America, ma è l’America ad andare in Medio Oriente. Fin qui ci arriviamo tutti. E sapete che vi dico? Che a me sono piaciuti questi due primi episodi.
Ciò che non mi convince pienamente è la scena della vasca, ma per ragioni puramente sceniche: come è ovvio e giusto che sia, un lattante vero, al contrario di un adulto, non poteva davvero essere messo, anche se solo per pochi istanti, sotto l’acqua, ma mi chiedo perché non abbiano utilizzato un bambolotto realistico. La soluzione di regia e il montaggio risultano estremamente goffi così e il risultato è che la scena non sconvolge davvero. Non come dovrebbe la rappresentazione un gesto così terribile. Da un punto di vista narrativo, invece, l’azione ci sta tutta: non solo mette il luce il rigetto di Carrie verso il proprio bambino (quindi le difficoltà di alcune madri dopo il parto), ma aiuta anche a capire in maniera inequivocabile, senza giri di parole, come i mesi trascorsi a Kabul abbiano cambiato il suo modo di ragionare al pari della scena iniziale con l’attacco con i caccia alla cascina immediatamente seguito, senza soluzione di continuità, dai festeggiamenti per il compleanno della “Drone Queen”, al secolo Carrie “la pazza”. La guerra cambia le persone, modifica le loro scale di valori, le loro priorità. Quando si vive in guerra non è più la vita umana in generale il tesoro da preservare, ma la propria vita. È tremendo, ma vero. Non lo dico io, ma secoli di guerre e resoconti di reduci e di civili trovatosi a vivere in zone di conflitto effettuati ben prima del Vietnam a stelle e strisce. Per questa Carrie (una persona comunque già instabile di suo, ma sarebbe ingenuo e riduttivo pensare che sia questa la causa principale del suo atto scellerato) la bambina è un ostacolo al suo quieto vivere, così come gli invitati presenti al matrimonio insieme al noto terrorista erano ostacoli al completamento della missione: la logica di Carrie vede, in quell’attimo di “lucida follia” (spero non fraintendiate questa mia definizione dello stato mentale della protagonista in quel frangente prendendomi per un sadico demente), la propria figlia come un danno collaterale, né più né meno. Allora agisce come aveva agito sul “luogo di lavoro”: non si fa scrupoli a sacrificare la vita di un innocente, fosse anche la propria stessa infante, pur di raggiungere l’obiettivo dichiarato. Per fortuna, almeno in uno dei due casi menzionati ci ripensa prima che sia troppo tardi. Insomma, è la rappresentazione visiva di una vera patologia, se così vogliamo definirla, insita nell’animo umano. Non la definirei affatto un’esagerazione per ricreare forzosamente lo shock value in chi guarda la scena, anche in virtù, come ho fatto notare in precedenza, di come la scelta registica finale, appunto, contribuisca a smorzare la tensione, a farla sembrare un’anomalia all’interno di un prodotto sempre ben realizzato sotto il profilo tecnico, a farla prendere meno sul serio di quanto non si farebbe, ad esempio, leggendo quella scena nelle pagine di un libro drammatico. Questa è la mia visione della faccenda, che poi è molto simile a quella espressa nella recensione, la qual cosa rende per l’appunto strano il fatto che io e Federica siamo giunti a due conclusioni differenti. XD
Ci aspetta, naturalmente, un Homeland rinnovato anche sotto il profilo dei temi trattati. Non vi è più traccia di redenzione con l’uscita di scena di Brody, a meno che non stiano cercando di tramutare Quinn in un nuovo Brody (in effetti, vedendo questi due episodi, un’analogia di natura intimista fra i due è probabilmente non solo possibile, ma necessaria), ma mi auguro che non sia questo il caso, soprattutto perché avremmo così la conferma di ciò che si sospettava dall’ingresso nella storia del personaggio, ovvero che si trattasse di un rimpiazzo di Brody ad uso e consumo di Carrie per evitare che sia umanamente troppo sola. Dopo due stagioni piene, Quinn ha trovato una sua dimensione e una sua funzione senza che si avverta il bisogno di ripetere dinamiche passate. Proprio per questo, alla luce della sua volontà di “uscire dal giro”, per utilizzare un gergo losco, spero che alla fine della stagione, qualora questa sua intenzione non muti, esca dal giro senza dover pagare con la vita come è accaduto al rosso. Repetita iuvant, ma in televisione forse è meglio evitare.
Per me, per quanto riguarda la scena del bagno, è esattamente il contrario. Sul perché la ritenga inadatta narrativamente mi sono già espressa nella recensione; a livello registico, invece, è a mio avviso tutto fuorché goffa o anomala. Perché sentire il bisogno di “vedere” fisicamente la scena? Al di là della realizzazione, io trovo molto più devastante osservare il volto di Carrie e le sue variazioni, quegli occhi chiusi e quell’apparente e momentaneo sollievo, che non vedere un finto bambino con il volto sotto l’acqua. Non è l’atto in sé ad essere al centro della scena, ma ciò che accade nella testa di Carrie. Non ne condivido le motivazioni, intendiamoci, però la scelta registica è coerente in tutta la seconda puntata: Carrie è osservata spesso da vicino, come si può vedere nell’ultima immagine che ho inserito, quasi a voler “indagare” appunto i suoi pensieri. L’idea che lei in quel momento stia tenendo la bambina sott’acqua e che noi siamo costretti a vedere ciò che sta pensando Carrie è di gran lunga più interessante a mio avviso dell’atto in sé e per sé
Non so se Homeland abbia in America,così come in Italia,un sottotesto.Quì da noi è:Homeland,caccia alla spia.
Parto da qui:a me che non ci sia più Brody,poco interessa-anche se mi piaceva molto come personaggio-che non ci sia più la sua famiglia è invece una grande gioia,forse l’unica pecca di un telefilm,a mio parere,fatto veramente bene.Ma Homeland,per me,è caccia alla spia ed ora che la spia è morta,non è più Homeland,ma un’altra cosa.Mi è piaciuta abbastanza la premiere,solo che per me non è più quel telefilm che ho seguito per tre anni,ma un altro.Ci sta,io continuerò a seguirlo,ma con la morte di Brody,muore Homeland.
Mi dilungo solo sulla questione bambina-vasca da bagno.Un applauso ad Homeland che ha il coraggio di mostrare queste cose senza ipocrisia ed un applauso alla grandissima protagonista,ma io sono d’accordo con la recensione:non ce ne era bisogno,già bastava tutto il resto a spiegare bene il rifiuto di Carrie per la figlia(identica al padre…quello si che mi ha dato i brividi).
Comunque questo rimane uno dei migliori telefilm degli ultimi anni e la protagonista per me è da oscar!!!
Ti prego metti gli spazi dopo la punteggiatura, è una fatica incredibile leggerti.
Comunque sono d’accordo sulla morte di Homeland insieme a quella di Brody, tant’è che non ho neanche iniziato questa nuova serie chiamata “quarta stagione di Homeland”.
l’ho visto ieri sera. per me, promosso a pieni voti. davvero non si sente la mancanza di Brody e naturalmente nemmeno della famiglia… speriamo continui così.
Carrie fredda…freddissima.. oramai glaciale! ci piace! 😀
sembra già interessante anche la storyline di Aayan!
Ragazzi, la cosa migliore è la storia d’amore di Quinn, totalmente inaspettata e incredibile!!!