Si chiude, con un episodio adrenalinico e densissimo di eventi, la terza stagione di Orphan Black, un’annata che ha presentato sicuramente più difetti rispetto alle precedenti e che sembra aver voluto viaggiare col freno a mano tirato per troppe puntate, prima di arrivare a questa pirotecnica “History Yet To Be Written”.
Se c’è infatti un grande errore su cui la prima parte di stagione è caduta troppe volte è stato quello di concentrare la maggior parte del plot narrativo su una sezione nuovissima – il progetto Castor – per cui lo spettatore non poteva provare lo stesso tipo di interesse che aveva a sua tempo rivolto al Clone Club e al progetto Leda.
Il graduale abbandono di tale storyline, che ha portato con questo episodio a quella che sembra la definitiva chiusura del lavoro della dottoressa Coady, ne è un segnale: benché funzionali a farci conoscere il clone originale, e quindi l’estensione del piano verso una dimensione decisamente più inquietante (“Castor and Leda are our Adam and Eve”), i vari Castor presentati in questa annata hanno esaurito molto rapidamente la loro funzione. La conferma dell’utilità solo strumentale di questa storyline non fa che peggiorare il giudizio su una prima parte di stagione che non è stata all’altezza della seconda, in cui invece – pur con le solite esagerazioni – la trama si è risollevata ed è tornata in carreggiata fino a questo finale, complesso eppure ben congegnato.
“Neos in Castor, Neos in Topside, Neos right next to me.”
“We’re everywhere.”
“I knew it!”
Certo non si tratta di una puntata facile da seguire, considerato che, da quando la serie è iniziata, le fazioni interessate ad avere sempre più informazioni sui cloni sono aumentate a vista d’occhio, e che le alleanze si sono alternate con giri di valzer talmente complessi da rendere alcuni personaggi – uno su tutti il non compianto Paul – enigmatici al limite dell’incomprensibile.
Il Clone Club e la ricerca di una cura, Virginia Coady e la sezione militare, l’Autorità e il mero business, la Dyad guidata da Delphine, i Proletheans (ancora presenti a inizio stagione) e ora il ritorno dei Neoluzionisti con a capo nientedimeno che la rediviva Susan Duncan: gestire tutti questi fili – e in generale tutti questi interessi, molto simili eppure diversi – era una sfida decisamente importante, che possiamo considerare vinta ma non senza difetti. L’episodio, infatti, riesce con grande capacità a portare a termine il piano del Clone Club – incredibilmente sempre un passo avanti rispetto agli altri – , ma è impossibile non pensare a quanto sarebbe stato utile dedicare una puntata in più a tutti questi eventi: una sorta di doppio episodio che potesse, con delle tempistiche meno serrate, sviscerare quanto invece abbiamo dovuto vedere in soli quaranta minuti.
Così non è stato, e la necessità di comprimere tutta la vicenda in una sola puntata ha fatto sì che l’alternanza tra le varie sezioni fosse fin troppo ravvicinata, benché alleggerita da momenti ora comici – la reazione di Ferdinand alla scoperta della talpa neoluzionista – ora più sentimentali – la cena finale di tutte le sestra con relativi amici o l’incontro di Helena con il suo “fidanzato” Jesse.
All I had left of my foul life to give.
La parte che invece ha di sicuro tratto beneficio dall’episodio è quella dedicata a Kendall Malone, la madre di Siobhan che nello scorso episodio era stata presentata come l’Original Clone: quella che sembrava una svolta eccessiva perfino per una serie come Orphan Black – la coincidenza del nucleo di persone coinvolte nell’esperimento – trova in questa puntata una spiegazione sensata e soprattutto ben scritta. Il conflitto tra Mrs. S e sua madre risulta infatti alla base della scelta di Kendall di far arrivare proprio a sua figlia quella bambina, Sarah, sfuggita al controllo dei cloni, seguendo un atto d’amore che lega al sangue e alla genetica una prova tangibile della propria presenza – She’s your blood, too. A little piece of me.
Non a caso, la reazione inizialmente dura e ostile di Kendall viene smorzata da Cosima proprio grazie ad un discorso che converge sull’uguaglianza dei loro elementi e non sulle loro differenze: entrambe sono state vittime ora degli esperimenti di Duncan, ora della Neolution, e l’unica arma che possono utilizzare contro di loro è quella dell’unione delle forze. L’aiuto richiesto da Cosima a Kendall in qualità di sorella maggiore era l’unico che potesse funzionare in una serie che ha fatto del legame tra sorelle un punto di forza, tale da prendere un termine straniero come sestra e renderlo simbolo di questo legame così inusuale. Non è più solo Helena ad utilizzarlo, ma tutte le ragazze, come se avessero avuto bisogno di un nuovo termine per esplicitare a se stesse e alle altre quello che sono l’una per l’altra: delle sorelle, sì, ma speciali; diverse, eppure identiche.
Che ne è quindi del rapporto tra Leda e Castor? Il progetto legato a questi ultimi pare ormai concluso e la morte di Rudy non fa altro che sottolineare le diversità nel trattamento tra le due linee genetiche – una, quella femminile, proiettata verso l’aspetto più scientifico dello studio della fertilità; l’altra, quella maschile, usata come vera e propria arma da parte del governo. Una differenza, questa, che viene rimarcata nella scena del combattimento tra Helena e Rudy, che vede ovviamente la prima uscirne da vincitrice ma non senza qualche sorpresa. Al di là dello scontro in quanto tale – che vede nella badassaggine della donna uno dei punti di forza non solo della stagione ma dell’intera serie –, l’attenzione è posta proprio sul momento finale: Helena accompagna Rudy verso la morte con dolcezza eppure con un crudo realismo, sua caratteristica precipua, che non può non sottolineare quanto in questo caso le differenze siano più forti delle similitudini – “We had a purpose. Just like you” “No. You are rapist.”
Give your sisters all my love.
L’apparente uscita di scena di Delphine – un personaggio che nella scorsa stagione è stato incredibilmente bistrattato e che invece in questa ha trovato una sua, seppur a tratti monolitica, dimensione – riapre il gioco delle cospirazioni, che vede, insieme alle fazioni già note, anche la presenza di Shay. La ragazza (che a onor del vero non è stata tra i personaggi meglio costruiti di questa stagione) appare al momento innocente rispetto alle accuse sollevate nelle puntate precedenti, ma la scusa con cui si giustifica con Cosima per il suo passato militare sembra un po’ troppo sciocca per essere vera; questo, unito alla domanda di Delphine poco prima dello sparo – What will happen to her? – farebbe pensare ad un possibile coinvolgimento di Shay nel piano dei neoluzionisti.
A tal proposito, il ritorno in scena di Susan Duncan rimescola nuovamente le carte in tavola: quali sono i suoi obiettivi, oltre a quelli evidenti di portare avanti gli esperimenti di clonazione? Che fine ha fatto Marion, se Charlotte si rivolge a Rachel come alla “sua nuova mamma”? E quali sono i piani nei confronti della stessa Rachel, figlia monitorata sin dall’infanzia dai Duncan e ora più vulnerabile che mai?
“History Yet To Be Written” è quindi un episodio che risponde a molte domande, ma che non lesina su quelle nuove, che aprono a nuovi (e sempre più incredibili) scenari. Ciò che emerge da questa puntata è di sicuro il piano ben congegnato, benché complessissimo, che sottostà all’intera storia, e che costituisce la mitologia della serie stessa; al netto di qualche esagerazione (il verme tecnologico nella bocca di Nealon) e di un’eccessiva compressione delle tempistiche, l’idea generale è che un progetto di fondo ci sia, e anche ben chiaro.
La puntata si caratterizza inoltre per un’eccezionale resa visiva, che alterna immagini ad alto impatto emotivo (l’inquadratura di Helena e Rudy a terra, il finale con Sarah e Kira) ad altre dalla spettacolare composizione spaziale e cromatica (il confronto tra Delphine e Nealon su tutti). Purtroppo nell’arco della stagione gli errori commessi sono stati molti, ma di sicuro c’è stata nelle ultime puntate la volontà di risollevare l’intera storia e di riportare al centro quello che è sempre stato il punto di forza della serie: l’indagine al servizio delle sestra, sempre perfettamente interpretate da una Tatiana Maslany che rimane il principale motivo di visione della serie anche quando questa tocca i suoi punti più bassi. Quando Orphan Black torna all’origine e alle sue premesse di fondo, riesce a ritrovare parte della sua forza: il resto deve farlo ovviamente una scrittura adeguata e coerente, che ci auguriamo venga ritrovata nella sua interezza per la quarta, già prevista, stagione.
Voto episodio: 7/8
Voto stagione: 6/7
Ottima rece. La mia sensazione,al di la delle tue analisi sul plot, è che dalla seconda serie è crollato il budget e di conseguenza il ritmo serratissimo quasi da film della serie 1. Inoltre svelati i misteri fondamentali ci si ritrova spesso con le palpebre socchiuse a seguire la normale soap della ‘famiglia cloni’. Un pò come avviene per walking dead dalla seconda in poi. In queste serie complicate è fondamentare il ‘rise’ cioe’ introdurre nuovi enigmi anche inverosimili per tirare negli anni. Alla Lost
, per capirci. Ciao,nicola.
Ciao Nicola, innanzitutto grazie! Per il resto non condivido molto: il ritmo si può tenere elevato anche semplicemente con una buona scrittura, che in questa stagione è un po’ mancata (per poi tornare verso la fine). Credo che invece l’idea con cui si è aperta questa annata (il progetto Castor) abbia mostrato la corda molto in fretta, evidenziando subito i suoi effetti ai danni della storyline principale. I misteri non sono affatto risolti tutti, come appunto la questione Kendall ha dimostrato; inoltre l’introduzione del progetto Castor come nuovo enigma è ciò che ha a mio avviso più danneggiato la stagione, quindi non penso che orphan black debba necessariamente seguire la strada della novità sconvolgente per rimanere in vita. Vedremo come se la caveranno nella quarta!