Outlander – Stagione 2 8


Outlander - Stagione 2Le opere originali spesso arrivano dai posti e nei modi più inaspettati, ma soprattutto sono quelle che inizialmente vengono meno capite, necessitando di una capacità critica per certi versi quasi precognitiva affiancata dalla disponibilità a mettere da parte le proprie consolidate convinzioni.

Non è facile infatti prevedere in che modo un prodotto a prima vista semplicemente spiazzante si riveli narrativamente e/o stilisticamente innovativo, e non di rado una certa miopia è alimentata dalla ritrosia a mettere in discussione convinzioni spesso vere per lo status quo, meno per le opere realmente nuove per le quali servono nuovi strumenti.
L’altro segno distintivo di questi prodotti è quello di essere campioni di salto in lungo, in quanto la ricezione di libri, film, serie, canzoni originali non conosce fasi intermedie, ma solo due: prima non le capisce nessuno – salvo alcuni – e un attimo dopo sono sulla bocca di tutti, come un carro del vincitore sul quale è comodissimo viaggiare, come artefatti che danno lustro a chi parla e non più il contrario.
Outlander fa parte di questa categoria, è una serie che sin dal formato si presenta come ingannevole, ma non nel senso di truffaldina, furba o criptica, bensì quel tipo di serie che proprio perché fuori dalla norma (come ogni prodotto originale) viene confusa con qualche altra cosa oppure addirittura persa di vista.

Outlander - Stagione 2Negli Stati Uniti le cose sono andate così. Per mesi Outlander è stata una delle serie più più sottovalutate in circolazione, anche per via di una scelta distributiva decisamente atipica, caratterizzata da una stagione d’esordio divisa in due metà da otto episodi, distese su due anni. Dopo una lista abbastanza lunga di premi non è mancata la candidatura più prestigiosa, quella di best drama agli scorsi Golden Globes a certificare la qualità della serie. Cosa succede ora? La critica americana fa a gara a chi spende più superlativi per la serie sviluppata da Ronald D. Moore, in un profluvio di aggettivi qualificativi volti a gridare più forte possibile quanto sia originale, innovativa, crudele, drammatica, divertente e sensuale Outlander. All’unanimità, proprio come accade alle cose originali.

Outlander - Stagione 2Una delle maggiori singolarità della serie sta nella fusione tra due cose apparentemente inconciliabili: la narrativa di genere (a sua volta estesa e serializzata) e la televisione di qualità, quella che lavora di cesello sulle interpretazioni e sulla fotografia, quella che racconta i personaggi in modo accurato e mai banale, prendendosi tutto il tempo necessario senza il timore di risultare lenta. Un’operazione che, sotto questo punto di vista, può essere accostata al lavoro fatto per serie come Game of Thrones o Penny Dreadful, altri casi in cui la letteratura popolare incontra la quality TV.
Alcune campagne promozionali della serie (sia letteraria che televisiva) l’hanno lanciata come il Game of Thrones al femminile, cosa vera solo a metà, ma che dà l’idea di quanto sia facile sbagliarsi su Outlander. Innanzitutto perché Game of Thrones non è una serie “al maschile” (anzi a ben vedere i personaggi più determinanti sono le donne e i più meschini sono spesso uomini), ma soprattutto perché il lavoro che Outlander fa sulla sua protagonista e più in generale sul femminile è solido e stratificato proprio perché è affiancato da quello altrettanto approfondito sui personaggi maschili, che in questa seconda stagione vedono moltiplicazioni ed evoluzioni inaspettate e ben gestite.

Outlander - Stagione 2Probabilmente la cosa che ha prima spiazzato e poi rapito la critica è stata la capacità di Outlander di essere allo stesso tempo un adattamento letterario, un racconto sull’amore uomo-donna, un romanzo d’avventura, una storia di fantascienza e un melodramma.
Quest’anno, nonostante gli autori abbiano scelto di creare una stagione dalla durata più canonica – tredici episodi –, ci si trova di fronte ad una storia se possibile ancora più complessa, che, forte dei consensi critici ottenuti e della semina narrativa effettuata nella sua annata d’esordio, può permettersi di sperimentare sull’articolazione del racconto, presentandosi sostanzialmente divisa in quattro parti, ciascuna determinata dalle unità di spazio e di tempo che la caratterizzano.
C’è la Scozia degli anni Quaranta in cui ritroviamo Claire e Frank nella prima parte della formidabile premiere, la Parigi sfarzosa dei giochi di potere e dei lussureggianti ricevimenti a Versailles, la Scozia piovosa e orgogliosa che accompagnerà i protagonisti fino alla Battaglia di Culloden e infine la Scozia del 1968 che ci piomba addosso grazie a un salto temporale vertiginoso che segna indelebilmente il finale della seconda stagione.

Outlander - Stagione 2La seconda stagione non fa che mettere ancora più carne al fuoco, alzando vertiginosamente il livello delle proprie ambizioni rivoluzionando per gran parte il setting originario. I protagonisti si trasferiscono nella Parigi di metà Settecento e Ronald D. Moore dimostra ancora una volta cosa significa essere l’autore di Battlestar Galactica, mettendo in piedi un’operazione di worldbuilding fenomenale che intreccia narrazione e messa in scena, scenografie e costumi. Nulla è lasciato al caso e ogni singola acconciatura è integrata in un discorso di tipo storico che sottolinea ancora una volta la collocazione di Outlander tra i migliori prestige drama in circolazione.
Trattandosi di una serie saldamente legata ai propri personaggi, ogni soluzione estetica – dalla messa in scena degli ambienti a precise decisioni sull’illuminazione di determinate scene – è finalizzata al loro sviluppo così come a quello delle loro relazioni. Sono proprio Jamie e Claire gli obiettivi del cambio di ambientazione, sebbene narrativamente ne siano gli artefici; è il loro rapporto ad essere sempre al centro del discorso della serie, che messo continuamente alla prova rivela sia caratteristiche peculiari legate alle singole individualità sia altre facilmente universalizzabili.

Outlander - Stagione 2Il periodo trascorso in Francia è stato fortemente destabilizzante per la coppia, così immersa in una cultura a cui non era abituata, in balia dei vizi e degli sprechi della nobiltà parigina e al contempo sedotta dalle novità continuamente alla finestra. Nonostante alcuni momenti di grande riscatto femminile (indimenticabile l’arrivo di Claire a Versailles con il famoso e imbarazzante – per Jamie – vestito rosso) i due si rendono conto che non solo non riescono e non riusciranno davvero a cambiare il corso degli eventi, ma soprattutto che quella vita li sta snaturando e optano per un salvifico ritorno in Scozia.
Della Francia rimangono esperienze di vita indimenticabili e scambi culturali che vanno dalle cene di raccolta fondi per azioni politiche alle nuove frontiere sulla lunghezza dei peli pubici; più di ogni altra cosa però rimane Fergus, ragazzino assoldato da Jamie come tuttofare, un po’ ladruncolo un po’ spia a cui i due innamorati si affezionano talmente tanto da portarselo in Scozia. Tornati a casa si assiste a una vera e propria restaurazione coniugale, con Jamie di nuovo leader di un popolo pronto alla riscossa (con sempre al fianco il sodale Murtagh con cui continua portare avanti una bromance a tratti commovente) e Claire nuovamente nei panni della donna del futuro, moglie perfetta e unica capace di tirare fuori il meglio dalla furia vitale del marito.
La Scozia porta con sé anche l’entrata di Outlander nei confini del war movie, innescando in Claire la reminiscenza dell’orrore della Seconda Guerra Mondiale tanto da causarle un disturbo da stress post-traumatico. A catalizzare le trame narrative e le energie creative di questa parte di stagione c’è lo scontro con l’esercito inglese e in particolare la Battaglia di Prestopans, preceduta da un faccia a faccia psicologico tra i due battaglioni in cui emerge la figura eroica di Dougal a cui segue il vero e proprio scontro. Al pari di quella in “The Battle of The Bastards” si tratta di una delle sequenze di guerra emozionanti e sofisticate che la TV abbia mai realizzato, ma a differenza dello scontro in Game of Thrones qui è tutto giocato sul mistero, su un clima di paura nei confronti di un nemico di cui non si conosce la reale portata numerica per via di una nebbia che rende tutto estremamente rarefatto, mettendo in evidenza sia il disagio che il coraggio dei soldati.

Outlander - Stagione 2Detto di Parigi e della Scozia del Settecento, veniamo al Ventesimo secolo e se di Claire e Frank negli anni Quaranta abbiamo già parlato nella recensione di inizio stagione, è necessario spendere qualche parola sul violentissimo salto temporale che caratterizza il season finale.
“Dragonfly in Amber” (stesso titolo del secondo romanzo della saga di Diana Gabaldon) è un epilogo extra large (90 minuti) che in maniera molto simile al finale della seconda stagione di True Detective fa corrispondere a dimensioni ipertrofiche ambizioni altrettanto grandi, sfoderando un coraggio senza precedenti nell’abbracciare tutti i generi e le linee temporali della serie. Molto complessa la struttura narrativa che non solo vede una doppia Claire (quella ormai invecchiata – ma comunque meravigliosa – a vent’anni dal ritorno nel presente e quella al fianco dell’amato Jamie nella Battaglia di Culloden), ma gestisce le due parallele linee temporali dominate dalla donna con una duplice propria velocità narrativa. Gli ultimi momenti insieme di Jamie e Claire prima della battaglia sono estremamente dilatati, come conferma il minutaggio messo puntualmente in didascalia, rendendo il loro imminente addio ancora più straziante. Dall’altra parte nel presente la narrazione corre veloce per mostrare alcune fondamentali novità: l’ambientazione della Scozia del ’68; il ritorno dell’attivista Gillian/Geillis in procinto di tornare nel passato, lì dove l’abbiamo incontrata per la prima volta nella scorsa stagione; il personaggio di Roger legato a doppio filo con le vicende di Claire; infine Brianna, figlia di Claire e Jamie, ancora in grembo nella premiere e ora ventenne, interpretata da una splendida Sophie Skelton che riesce a fondere la vitalità e la curiosità di Jamie con l’intelligenza e la passione di Claire.

Outlander - Stagione 2Allargando lo spettro alle principali relazioni dei protagonisti con gli altri personaggi, non si può non notare la compresenza e complementarietà di due figure che non potrebbero essere più diverse: Black Jack Randall e Fergus.
Il primo rappresenta molto più che un villain, bensì un vero e proprio fantasma, l’incarnazione del terrore, ma anche un importante fattore di crescita per la coppia, la quale soltanto attraverso il superamento del trauma passato potrà rinascere ancora più forte. Black Jack – coadiuvato dall’intensa e raffinata interpretazione di Tobias Menzies – è uno dei principali simboli della cristallina qualità della serie, poggiando in questa stagione soprattutto sulla rendita costruita nella scorsa: a Randall bastano solo uno sguardo o un gesto della mano per riportare alla luce la terrificante cupezza che conferisce alla serie (chi ha visto la prima stagione non può dimenticare).
Contrapposto al demoniaco soldato c’è l’angelico Fergus, bellissimo ragazzino che non solo potrebbe essere tranquillamente il figlio di Jamie e Claire a giudicare dai tratti somatici, ma soprattutto rappresenta il simbolo della nuova fase dei due innamorati: se la prima stagione era quella del corteggiamento, dell’innamoramento e dell’esplosione della passione, questa seconda è quella della maturità di coppia che, grazie alla cruciale presenza di Fergus, passa anche attraverso la genitorialità (seppure non biologica). Non è un caso se proprio nel momento dell’incontro tra Fergus e Black Jack i due coniugi si trovano ad affrontare le maggiori difficoltà: Claire chiede a Jamie il più grande dei sacrifici, lasciare in vita ancora per un anno il suo torturatore, ma quando questi abusa del ragazzino dentro il cuore e la memoria di Jamie riemerge il trauma passato che fa saltare ogni promessa con la moglie, innescando una catena di ripercussioni che porta fino alla prematura perdita del loro primogenito.

Outlander - Stagione 2A rendere unica questa serie sono però i due protagonisti, non solo in quanto personaggi originali e interpretati in maniera indimenticabile da due attori unici (tra Catriona Balfe e Sam Heughan c’è una chimica davvero irripetibile), ma soprattutto per la relazione che si instaura tra loro.
Nonostante il complesso cocktail di generi, Ronald D. Moore e Diana Gabaldon intendono principalmente fare un discorso sulla coppia, ragionando con una determinazione mai vista prima d’ora in televisione sulla natura dell’amore, descrivendolo come forma di rispetto e impegno verso l’altro. Gli autori mostrano che prima ancora che la fiamma della passione l’amore è quello stimolo vitale che rende più leggeri quei sacrifici che altrimenti sarebbero insormontabili, che spinge anche ad atti estremi pur di rimanere uniti, che sia l’andare senza paura tra le braccia del proprio torturatore o concedersi sessualmente a un Principe per ridare la libertà al proprio amato.
È rarissimo trovare un’altra serie capace di credere così tanto nell’amore, soprattutto nell’ambito della premium cable television in cui da quindici anni si assiste in campo maschile a un’inondazione di anti-eroi (da Tony Soprano a Walter White, da Don Draper a Nucky Thompson) a cui corrisponde in campo femminile o il vuoto assoluto oppure nel migliore dei casi l’ormai trito e ritrito cliché dell’eroina con disturbi mentali (sociopatica o bipolare) e incapace di costruire qualsiasi relazione sentimentale (da Sarah Linden a Carrie Mathison). In Outlander ragionare sull’amore significa anche la possibilità di dare vita a personaggi davvero originali, a partire dalla protagonista femminile che finalmente si emancipa dalle tendenze del quality drama contemporaneo battendo territori non solo più realistici, ma anche decisamente più interessanti. Il sesso allora diventa l’elemento chiave, non solo uno dei simboli di emancipazione della protagonista ma anche il dispositivo narrativo preferenziale nel racconto della coppia, grazie anche all’altissima qualità visiva che rende indimenticabili sequenze come quella con Claire in gravidanza nella prima parte della stagione.

Starz è un’emittente intelligente e in crescita (si veda la recente The Girlfriend Experience) e ha capito che difendere il proprio brand significa anche tutelare un prodotto come Outlander: il rinnovo per una terza e una quarta stagione consentirà agli autori di puntare ancora più in alto, portando avanti con grande libertà una storia che da sorpresa più o meno compresa è diventata nella seconda stagione una delle serie più acclamate dalla critica americana. E ci mancherebbe.

Voto: 9

 

Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".


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8 commenti su “Outlander – Stagione 2

    • Attilio Palmieri L'autore dell'articolo

      Grazie Franco!
      Scrivere di Outlander è davvero stimolante perché la serie offre tanti di quegli spunti che di sicuro non c’è il rischio della pagina bianca.
      Ci vorrebbe un acceleratore temporale che ci portasse subito alla prossima stagione.

       
  • Nicola

    9 è esagerato pero nel complesso la serie e originale e ben girata. La scozia è magnifica. La parte in francia è noiosissima ma poi si riprende quando tornano in scozia. Complimenti comunque per la bella rece 🙂

     
    • Attilio Palmieri L'autore dell'articolo

      Grazie Nicola.
      Premesso che la noia è un parametro troppo soggettivo e molto difficile da utilizzare per fare critica, io ho trovato la parte in Francia la più riuscita, non tanto per i picchi qualitativi – quelli ci sono stati sempre – quanto per il livello medio della scrittura che non conosce mai una sbavatura o una battuta fuori posto e per la sfida di ricostruire un intero mondo a partire da zero.
      Nel discorso sulla coppia poi l’impatto con l’alta società francese comporta una serie di ostacoli narrativamente molto interessanti per i protagonisti.

       
  • Eugenia Fattori

    Recensione molto bella per una stagione che a parte qualche caduta leggera nella parte centrale, è ambiziosissima e raffinata (e forse proprio per questo poco capita). Il lavoro che fa Outlander sulla protagonista femminile è perfetto, innovativo e ce n’era estramente bisogno, idem per il protagonista maschile.

     
  • Samanta

    Mi fa piacere per questa bellissima recensione di una serie a mio avviso troppo sottovalutata, soprattutto in Italia. Negli USA sembrava che la seconda stagione avesse portato maggiore interesse verso questa serie, ma le recenti nomination agli Emmy 2016 hanno invece dimostrato che lo show di Ronald D. Moore continua a venire ingiustamente snobbata (Outlander si è aggiudicata solo le nomination per i migliori costumi e per le scenografie). Personalmente ho gradito più la prima stagione. Il secondo libro aveva una trama talmente complessa che l’avere riassunto tutto in 13 episodi alla fine l’ha penalizzata rispetto ai 16 episodi della prima stagione. Peccato per la mancata nomination agli attori, soprattutto ai superlativi Balfe e Menzies.