BoJack Horseman – Tra struttura e sperimentazione 2


BoJack Horseman - Tra struttura e sperimentazioneAlla fine della sua seconda stagione, BoJack Horseman non era più quella serie di nicchia snobbata dalla critica di due anni fa; la creatura di Raphael Bob-Waksberg aveva ormai conquistato uno status d’eccezione, raccogliendo consensi e riconoscimenti in maniera praticamente universale.

È con questa nuova consapevolezza che bisogna avvicinarsi alla nuova annata dello show: una stagione quanto mai estrema, forte dei successi riscontrati in precedenza e pronta a puntare ancora più in alto. Perché se c’è stata una cosa che gli autori hanno dimostrato con questi 12 episodi è la loro volontà di spingersi oltre, di distruggere qualsiasi tipo di limite televisivo per raccontare qualcosa di coraggioso e privo di compromessi, senza più preoccuparsi di bilanciare il tutto con del materiale più accessibile – la volontà, insomma, di osare, con tutti i rischi e i benefici che tale scelta comporta.

BoJack Horseman - Tra struttura e sperimentazioneSi tratta di una direzione che emerge fin dalla prima fase della stagione, ed in particolare dal secondo episodio: senza neanche il tempo di abituarsi al mood dell’annata lo spettatore viene catapultato nel 2007, e la sensazione che si prova all’inizio è di sicuro qualcosa di straniante. Lo è per il posizionamento atipico all’interno della stagione, certo, ma non solo: parliamo infatti del primo tentativo televisivo di creare un “effetto nostalgia” per la seconda metà degli anni 2000, consapevoli che in una cultura in continua evoluzione come la nostra anche 9 anni possono portare grandi cambiamenti. Al di là degli sviluppi più canonici che vengono presentati nella puntata, quindi, è la sua impostazione che risulta inedita e sperimentale, la voglia di guardare anche al più semplice dei racconti (in questo caso, un flashback di approfondimento da manuale) da un’angolazione diversa.
È un metodo che si rivelerà frequente nell’annata, ed un altro ottimo esempio della sua applicazione può essere visto in “Old Acquaintance”: parliamo di un episodio di passaggio, in cui l’evoluzione della narrazione in sé è per forza di cose piuttosto lineare, ma gli autori riescono a ribaltare le aspettative semplicemente riflettendo sul concetto di punto di vista. Quello che è un finale disastroso per i protagonisti di BoJack Horseman diventa improvvisamente un successo per l’azienda di Rutabaga e Vanessa Gekko; e se i good guys fossero in realtà quelli contro cui stiamo tifando?

BoJack Horseman - Tra struttura e sperimentazioneProprio in questo sta la forza di questa incredibile terza stagione: nella costante promessa di offrire qualcosa di originale, qualcosa che possa spezzare le aspettative di chi guarda senza aver paura di portarlo in territori scomodi e inesplorati. Non è una missione nuova per gli autori della serie, ma di sicuro quest’annata è quella in cui viene portata ai livelli più estremi; dopotutto, episodi come “Escape from L.A.”, “Let’s Find Out” o “Downer Ending” erano tutto fuorché tipici, ma la struttura delle puntate che li precedevano e che li seguivano li qualificavano come eccezioni. Quest’anno, invece, per quanto un certo episodio emerga ugualmente (ma se ne parlerà più avanti), è l’intera stagione che si presenta come in continuo cambiamento, creando un effetto “montagne russe” che spicca il volo nella seconda metà e si esaurisce solo col season finale. Si pensi all’episodio in cui viene presentata The Closer, impostato interamente sui racconti “a scatole cinesi” dei protagonisti; oppure anche solo a “Best Thing That Ever Happened”, in cui tutte le vicende vengono messe in pausa per concentrarsi sulla crisi del rapporto tra BoJack e Princess Carolyn. Quest’ultimo, in particolare, non può che funzionare ancora meglio perché allo stravolgimento della struttura della puntata ne corrisponde uno emotivo nei protagonisti e nello spettatore, accompagnando il cambio stilistico con una svolta fondamentale per il racconto; ed è così che un episodio in potenza ottimo diventa qualcosa di eccezionale, facendo confluire le due qualità fondamentali di questa terza annata dello show.

BoJack Horseman - Tra struttura e sperimentazionePerché la terza stagione di BoJack Horseman è così riuscita non solo per la continua innovazione delle modalità del racconto, ma anche per i punti così estremi che la storia stessa va a toccare. Che si stesse parlando di una serie non del tutto comica era chiaro fin dalla prima annata, ma questa volta il pessimismo degli autori assume dei connotati mai visti: non esistono spiragli, compromessi o possibilità di rivalsa. Le note speranzose con cui si concludeva la scorsa stagione vengono subito spazzate via da un’atmosfera tetra, in cui l’anima di BoJack è più spacciata che mai e i personaggi che lo circondano non sono più disposti a sopportare la sua condotta.
È proprio in questo senso che l’ultimo arco della stagione (quello che parte dall’ottavo episodio e si conclude col finale) costituisce l’esperimento più radicale in cui si è mai spinta la serie: perché forse la cupezza che viene raggiunta nell’evoluzione di BoJack è ancora più rivoluzionaria di un qualunque rinnovamento stilistico, nella sua ostinatezza a non concedere neanche un attimo di respiro o la benché minima parvenza di un lieto fine. È difficile pensare a qualcosa di più scuro della voce stanca di Aaron Paul alla fine di “It’s You” o della disperazione di Sarah Lynn sul concludersi di “That’s Too Much, Man!”; ogni volta che appare un’opportunità di redenzione la serie sbarra la strada, affrontando la durissima realtà della depressione di BoJack con la crudezza che questa richiede.

BoJack Horseman - Tra struttura e sperimentazioneTuttavia, se bisogna scegliere un esempio della maturità artistica raggiunta dalla serie la scelta non può che ricadere sul quarto episodio. “Fish Out of Water” è la conferma di tutte le qualità della serie citate in precedenza, un piccolo capolavoro capace di condensare in 25 minuti l’anima e l’intento di BoJack Horseman: si parlava appunto di assenza di compromessi, e il gigantesco impatto di una puntata del genere non è altro che la prova dei possibili risultati di un approccio così rischioso.
Perché, se non altro, “Fish Out of Water” è la dimostrazione che osare così tanto produce effettivamente qualcosa di unico, ma non solo; è la prova di come Raphael Bob-Waksberg e gli autori siano ormai perfettamente a loro agio in un’operazione di questo tipo, spaziando da un’impostazione narrativa all’altra senza soffrire di inesperienza per le novità che vengono testate. Quello che l’episodio e questa stagione confermano, in sostanza, è che la comfort zone degli autori di BoJack Horseman si trova paradossalmente nel cambiamento stesso, nella rivoluzione e nello stravolgimento visti come normalità piuttosto che come curiose eccezioni; perché, quindi, non costruire su tali concetti un’intera annata televisiva?

Dopo una stagione come questa, è chiaro che la televisione non è più la stessa: la creatura di Raphael Bob-Waksberg è riuscita a portare avanti un messaggio forte e deciso, la dichiarazione che si può e si deve fare di più nonostante i già eccelsi livelli a cui siamo abituati quando ci approcciamo ad un prodotto televisivo. Si tratta insomma di un costante tentativo di alzare l’asticella della cosiddetta Peak TV, motivo per cui BoJack Horseman si conferma la serie più rivoluzionaria – oltre che la migliore – dell’ampissima produzione Netflix.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

2 commenti su “BoJack Horseman – Tra struttura e sperimentazione

  • Heisenberg

    Una serie così meriterebbe molti più spazi ed attenzioni da parte del grande pubblico, fossilizzato ormai su serie (animate e non) ben più blasonate ma che non raggiungono minimamente questi livelli.
    La puntata “subacquea” da sola oscura la maggior parte dei prodotti televisivi e cinematografici degli ultimi anni.

     
  • Marco

    Seguo questa serie da quando è uscita su Netflix e la apprezzo di più ad ogni nuova stagione, veramente un prodotto di altissimo livello, profondo e originale. Le ultime puntate sono state dolorose e bellissime, era da tempo che non si vedeva qualcosa di così coraggioso in tv.