Il prossimo 21 ottobre SKY darà ufficialmente il via alla prima stagione di The Young Pope, la tanto attesa serie di Paolo Sorrentino con Jude Law protagonista. Abbiamo visto i primi due episodi in anteprima e possiamo affermare che le attese non saranno affatto deluse.
Nata dalla collaborazione fra i tre colossi SKY, HBO e Canal +, The Young Pope è senza dubbio la serie italiana – ma sarebbe lecito definirla europea, se non proprio internazionale, per l’ampio spettro di provenienza del cast coinvolto – più attesa dell’anno, scritta e diretta dal regista italiano (vincitore del Premio Oscar per La Grande Bellezza) Paolo Sorrentino, che è riuscito ad imporre negli ultimi anni un proprio standard visivo e registico dirompente sul grande schermo. A prescindere dalle opinioni che se ne possano avere, infatti, Sorrentino non è un regista che passa inosservato e non fa assolutamente nulla per provarci: le sue immagini sono roboanti, il suo stile artificiale ed artificioso fino all’inverosimile, alla costante ricerca di una scintilla emotiva ed estetica, più che attento alla maniacale cura per una sceneggiatura che spesso lavora per giustapposizioni o suggerimenti.
Andando con ordine, la serie inizia con l’appena avvenuta elezione al soglio pontificio di Lenny Belardo (Jude Law), qui sibi nomen imposuit Pio XIII, giovassimo pontefice di “soli” 47 anni. La sua nomina è il capolavoro politico del cardinale Angelo Voiello (Silvio Orlando), convinto che un tale soggetto sarebbe stato molto semplice da manovrare a proprio piacimento: mai errore fu più grosso. Sin da subito Lenny palesa un’intenzione messianica di recupero di un senso più antico e conservatore della Chiesa, lontano – nonostante la giovane età – dalla secolarizzazione del mondo.
Pensare a Paolo Sorrentino alle prese con una serie televisiva significa anche domandarsi in che modo possa un regista così visionario “contenere” il proprio estro e sacrificarlo in parte al necessario altare della trama, elemento indispensabile per seguire una serie televisiva che richiede una decina di ore (tanto più in un formato di rilascio settimanale, dunque schiava della necessità di attrazione del pubblico); un pericolo tanto più concreto considerando che i primissimi minuti del pilot si sviluppano proprio nelle modalità narrative solite del tocco sorrentiniano. Il regista napoletano, però, non cade nella trappola e rapidamente si instrada su un percorso che, pur non lesinando del proprio personalissimo stile, sa rientrare con efficacia nella scrittura di una trama complessa e vibrante.
L’idea stessa di trattare un personaggio così centrale e così tipico della serialità televisiva italiana è un profondo segnale di rottura, per assurdo, con la tradizione stessa: se siamo abituati, soprattutto sulla Rai, a prodotti agiografici che appiattiscono ogni complessità storica ed emotiva, in ossequio ad un rispetto totale ed assoluto nei confronti della Chiesa cattolica, Sorrentino costruisce un suo papa (la scelta di chiamarlo Pio XIII non è affatto casuale) che è quanto di più distante possibile dall’immagine consueta di quello che dovrebbe essere l’uomo più vicino a Dio. In un periodo in cui questa figura è rappresentata da Francesco, che sa giocare alla perfezione con i mezzi contemporanei e dunque creare l’immagine di una Chiesa intenzionata a porsi al passo con i tempi e vicino, vicinissimo al proprio gregge, la scelta di un Lenny Belardo è dirompente e coraggiosa proprio perché si dirige in un senso apparentemente opposto, alla ricerca di quella fede esagerata e chiusa in una ristretta cerchia di regole e dogmi che aveva caratterizzato il rapporto tra Chiesa e fedeli nello scorso millennio.
Jude Law in questo è una scelta assolutamente azzeccata perché rappresenta la quintessenza del “feticcio” attoriale di Sorrentino: pur conservando la luminosità di quegli occhi che lo hanno reso celebre, Law sembra più che altro caratterizzato da una bellezza decadente, un lento sfiorire che ben si adatta alla figura di un uomo bello, alla ricerca del sacro in un contesto, però, di vecchiezza. Il suo personaggio non ha nulla di edificante, ma appare essere al momento il più lucido dei fanatici, il più sognante dei passatisti. I gesti e le espressioni di Jude Law entrano in profondità del personaggio sia nell’alto ufficio papale sia nei momenti di più intima umanità, in cui si mostra in tutta la sua fragilità di orfano senza risposte. Sullo sfondo giace il Vaticano, ormai solo un rimasuglio del grande Stato Pontificio (chissà per quanto ancora nella realtà filmica); eppure in esso si concentrano gelosie, vendette, tradimenti, scandali. Se c’è un luogo in cui si è conservato intatto il grande gioco delle corti medievali è proprio presso l’istituzione più antica ancora rimasta nel mondo occidentale. Questa ricorsività del tempo ritorna negli ambienti, così esageratamente volgari, così antichi e fuori dal tempo e che accolgono suore e cardinali altrettanto caduchi.
Chi però ruba la scena al protagonista è, forse inaspettatamente, il cardinal Voiello di Silvio Orlando: con l’inglese maccheronico dell’attore napoletano e la scrittura di un personaggio che oscilla tra attestazioni di potere e leggera comicità (anche se le gag sulla squadra calcistica del Napoli rendono evidente il passaggio del tempo rispetto alla scrittura della serie), Voiello prende vita fuori dai regolari canoni che ci aspetteremmo, un politico che ama e sfrutta la sottile arte della diplomazia. In lui al momento sembra vedersi un richiamo ai cardinali Wolsey, Mazzarino, Richelieu che hanno nella storia avuto un ruolo fondamentale accanto ai sovrani, talora anche in senso di diretta opposizione; c’è però da dire che, a dispetto di quanto gli altri personaggi della serie si affrettino a confermare, non c’è nei primi due episodi una rappresentazione evidente del suo uso spregiudicato del potere, tema che verrà sicuramente affrontato in futuro.
Accanto a questi due campioni si sviluppano altri personaggi su cui la storia si soffermerà con più calma, in particolare sul personaggio di Suor Mary interpretato dal premio Oscar Diane Keaton. È proprio la donna, che ha cresciuto il futuro Vicario di Cristo, ad alimentare la sua convinzione di essere l’Eletto, “l’unto del Signore”, colui il quale ha il compito di riportare la Chiesa al proprio antico e primigenio valore. È proprio questa, infatti, la direzione verso cui sembra intenzionata a muoversi la trama che fa tesoro, rielaborandoli, di alcuni grossi titoli degli ultimi anni tra cui particolarmente percepibile è l’influenza di House of Cards, per una rappresentazione del potere senza alcuna censura (pur con una drammatizzazione necessaria e conforme al racconto).
Sul profilo più strettamente tecnico è evidente che questa grossa macchina produttiva non abbia badato a spese ed abbia saputo con intelligenza sfruttare la ricchezza visiva degli ambienti (i palazzi apostolici visti sotto una nuova luce) e degli abiti, per loro stessa natura sgargianti e rituali. La mano di Sorrentino non ha affatto perduto il suo pregio e si muove con estrema lucidità tra una scena e l’altra, tra un’ispirazione e l’altra. La necessità di impostare una trama non soffoca affatto il suo estro visivo, la sua ossessiva ricerca del “bello”, finanche barocco e smisurato. Dove però la sua scrittura si rivela, ancora una volta, efficace è nel tratto vigoroso ed interessante che coinvolge la rappresentazione dei personaggi, i quali si rivelano costantemente nei loro dialoghi, nei loro incontri-scontri (in più di un’occasione si avverte, soprattutto in Jude Law e non a caso, l’eco di Jep Gambardella e di Toni Servillo).
Quando il 21 ottobre SKY darà il via a questa avventura, perdersi questo esordio sarebbe un gravissimo errore: perché questi due episodi sono potenti e virtuosi, figli della creatività di un regista che non si tira mai indietro e cerca costantemente nuovi mezzi e nuove parole per esprimere il proprio valore. Chi non ha a cuore lo stile sorrentiniano non dovrà però soffrire molto perché il suo tocco è qui meno evidente (anzi, sarebbe meglio dire meno invadente) soprattutto nel secondo episodio, anche se non mancherà di suscitare qualcosa di nuovo in chi invece ne ha apprezzato lo stile in passato.
Voto 1×01: 8
Voto 1×02: 8 ½