Il terzo episodio di Humans sembra confermare la buona tenuta di questa seconda annata dello show, andando a dipingere un quadro sempre più complesso dei rapporti tra umani e androidi.
Grazie al risveglio dei synth, il tema del confronto tra uomo e macchina costruito attorno al concetto di famiglia che aveva caratterizzato la stagione d’esordio va infatti a costituire la base su cui impostare una riflessione più ampia e sfaccettata, in cui i confini tra i due poli si fanno sempre più permeabili.
“Can you feel?”: è questa la domanda che gli umani rivolgono a più riprese agli androidi, al fine di verificarne lo stato di coscienza e, indirettamente, il grado di umanità, e che racchiude in sé molteplici sfumature, dalla mera percezione sensoriale alla capacità di provare sentimenti tipicamente umani come l’amore, la paura e l’empatia. È questa la prima cosa che Mattie chiede a Odi al suo risveglio, e soprattutto è attorno a tale quesito che si sviluppa il test a cui è sottoposta Niska, in una sequenza particolarmente riuscita a metà tra l’omaggio al Voigt-Kampff del romanzo di Philp K. Dick e l’intimismo tipico della serie di Channel 4.
L’indifferenza dell’androide agli stimoli sensoriali sottolinea come l’ “umanità” degli androidi non debba necessariamente conformarsi in tutto e per tutto a quella degli umani per esigere di essere riconosciuta come tale: se è vero che i synth non sembrano in grado di reagire a stimoli astratti nel modo in cui farebbe un umano, o di esprimere i propri sentimenti tramite i nostri codici condivisi, d’altro canto emerge l’importanza dell’esperienza, e quindi del ricordo, come veicolo privilegiato per far affiorare sentimenti in tutto e per tutto umani. Ecco quindi che Humans, proprio tramite la storyline di Niska, riesce ad allargare il suo punto di vista dal nucleo ristretto della famiglia e dei rapporti interpersonali a una riflessione potremmo dire universale sull’etica e sul riconoscimento dei diritti a soggetti percepiti come altri, e quindi automaticamente come inferiori, confermandone la stratificazione e complessità tematica.
Parallelamente, anche Mia e Karen continuano a confrontarsi, seppur in maniera diversa, con la propria umanità: la prima decide di mettere al primo posto i suoi sentimenti nei confronti di Ed, adottando così un comportamento estremamente irrazionale e rischioso, e quindi tremendamente umano, che comporta l’allontanamento dalla sua famiglia e il porre fiducia in quello che è in fin dei conti un estraneo; Karen tenta a tutti costi di rimuovere la sua natura di synth, mimando un atteggiamento di totale adesione esteriore ai comportamenti umani fino a che un malfunzionamento non giunge a ricordarle qual è la sua vera natura. A fronte dei tentativi dei synth di comprendere fino a che punto si spinga l’analogia tra coscienza e umanità, troviamo invece quelli speculari di Sophie e della compagna di scuola di Toby di negare la loro natura umana, simulando il comportamento freddo e distaccato tipico degli androidi. Si tratta di una scelta particolarmente interessante perché va ad arricchire il discorso sul concetto di umano, mostrandone l’altro risvolto della medaglia: sentire significa anche provare dolore, e i synth, in quanto immuni sia da quello fisico che da quello emotivo, divengono quindi un modello a cui aspirare, e la loro imitazione uno strumento di difesa estremo dal mondo esterno, che non a caso va a coinvolgere proprio due personaggi che si trovano in due momenti cruciali del loro percorso di crescita.
Anche la trama più direttamente legata al risveglio dei synth procede a passo spedito, spingendo verso la convergenza di diverse storyline finora slegate tra loro: la ricerca di Max e Leo del Silo e le indagini di Drummond e Karen sul mercato nero dei Serafini puntano infatti tutte verso i laboratori di Qualia e le ricerche della dottoressa Morrow. Proprio quest’ultima si conferma come la più interessante new entry di questa stagione, grazie a una caratterizzazione stratificata che impedisce di incasellarla facilmente: se da un lato veniamo infatti a conoscenza delle motivazioni personali che l’hanno spinta a creare un’intelligenza artificiale, dall’altro le sue azioni continuano a dimostrare una spietatezza non solo nei confronti dei synth ma anche dei suoi simili – pensiamo al ricatto di Hobb –, che trovano solo in parte giustificazione nella sua determinazione a riportare in qualche modo in vita la figlia.
Nel complesso “Episode 3” non fa che rafforzare l’impressione che la serie di Vincent e Brackley sia perfettamente in grado di ritagliarsi un posto all’interno dell’affollato panorama della fantascienza seriale, che ultimamente sta vivendo una nuova età aurea; senza aspirare all’epicità di Westworld o all’icasticità di Black Mirror, con i quali pure dialoga in termini tematici e concettuali, Humans è riuscito infatti a dar vita a un racconto sempre più raffinato e personale sulle intelligenze artificiali, ponendo così le basi per una stagione forse anche superiore a quella d’esordio.
Finalmente sono riuscito a mettermi al passo anche con la seconda stagione di Humans. Non posso che confermare l’ottima recensione. Peccheremmo però di disonestà intellettuale se non ricordassimo che Humans è comunque un remake di quel capolavoro svedese che è Real Humans. Devo ammettere tuttavia che questa seconda stagione sembra veramente ottima e per il momento non fa per nulla rimpiangere la seconda dell’originale Real Human (che al contrario trovai piuttosto fiacca).
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Finalmente sono riuscito a mettermi al passo anche con la seconda stagione di Humans. Non posso che confermare l’ottima recensione. Peccheremmo però di disonestà intellettuale se non ricordassimo che Humans è comunque un remake di quel capolavoro svedese che è Real Humans. Devo ammettere tuttavia che questa seconda stagione sembra veramente ottima e per il momento non fa per nulla rimpiangere la seconda dell’originale Real Human (che al contrario trovai piuttosto fiacca).