Homeland – 6×03 The Covenant 1


Homeland - 6x03 The CovenantIl lento e non particolarmente convincente inizio di questa stagione di Homeland prosegue con “The Covenant”, in cui – a fronte di qualche novità nei piani alti del potere – non si riesce ancora ad ingranare la marcia, portando anche questa puntata ad essere preparatoria in attesa di uno sviluppo che tarda ad arrivare. 

A conferma di ciò, troviamo un altro episodio che vede i personaggi di nuovo separati, ognuno alle prese con la propria storyline che solo tangenzialmente tocca le altre, e che analizza ciascun nucleo come un elemento quasi del tutto separato dal resto. Se questo può portare ad una comprensione maggiore delle singole situazioni, a risentirne è il racconto à la Homeland, che (a un quarto di stagione) semplicemente manca. Non si richiede per forza l’azione nel senso più puro (anche se nella scorsa annata un episodio come “The Tradition of Hospitality”, posizionato subito dopo la premiere, aveva già fatto comprendere il mood della stagione); ma di sicuro c’è qualcosa che manca, e che è forse da imputare ad un mancato bilanciamento tra le parti, a cominciare proprio dalla protagonista.

“What you weren’t supposed to do was take matters into your own hands, break the law.”
I’m sorry, Reda. I fucked up.”
Yeah. You did.”

Homeland - 6x03 The CovenantQuando Homeland iniziò, si trattava della storia di Carrie e Brody, ma è stato chiaro fin da subito – e ancor di più dopo la dipartita dell’ex marine – che fosse lei ad essere la vera protagonista: Carrie, l’agente brillante e problematica, ma soprattutto la donna con un disturbo bipolare ed un’emotività distrutta, inserita in quell’universo a pezzi e in bilico che è il nostro mondo post 11 settembre.
Il fatto che, giunti alla sesta stagione, Carrie sia profondamente cambiata non è di per sé un male, e sarebbe sbagliato pensare che – dato il presupposto di una protagonista con un disturbo simile – l’unico modo per portare avanti la serie sia tenerla bloccata in quello stato, senza cambiarne la situazione se non aggravandola, come fatto in passato. Nell’ottica di una serialità sempre più attenta alla costruzione di personaggi con problematiche realistiche, l’idea che Carrie possa essere una persona stabile, con una figlia e un comportamento bilanciato può (e forse deve) esistere; il problema insorge quando, tolto questo elemento, anche la realtà circostante sembra scendere di giri, appiattendosi su storie che di certo avranno uno sviluppo andando avanti, ma che al terzo episodio appaiono ancora troppo fumose, a volte prive di attrattiva o più semplicemente risultanti in accostamenti di scene pure interessanti ma neanche lontanamente vicine all’Homeland cui siamo abituati.

Homeland - 6x03 The CovenantLa storia di Seoku, per nominare la questione lavorativa della protagonista, pur sollevando delle tematiche davvero importanti per i nostri tempi non riesce a conquistare perché non si è fatto abbastanza lavoro a riguardo; e dunque anche il senso di colpa che Carrie nutre nei suoi confronti per aver esagerato ancora una volta arriva a noi attutito, attorniato da un disinteresse che si palesa durante l’episodio, quando vediamo il confronto della donna con Conlin (Dominic Fumusa, Nurse Jackie). Il sorriso con cui Carrie lascia il suo ufficio dopo aver minacciato di andare dal Procuratore Generale con la registrazione (ottenuta da una delle migliaia di persone che evidentemente le devono un favore) ci dice quanto le manchi il suo lavoro, nonostante il suo cambiamento; la sua incapacità, nello scorso episodio, di stare alle regole dettate dal giudice per “andare diretta alla fonte”, a costo di mandare tutto all’aria come poi accade, ci racconta che Carrie in fondo è sempre Carrie, per quanto cerchi di dedicarsi ad altro, per quanto cerchi di prendere il “lavoro” come consigliera della futura presidente per un compito di normale aiuto esterno.
Il personaggio è quindi sull’orlo di un (altro) cambiamento? Può darsi, a livello di scrittura ci sono degli ottimi indizi a riguardo, ma, di nuovo, va tutto in modo troppo lento per poter davvero avere un interesse più che sufficiente alla questione. L’affetto che si può nutrire per una serie che ha comunque messo a dura prova la nostra resistenza in passato non può avere effetto illimitato; e se, giunti al terzo episodio, quello che finisce con l’esaltarci di più è un sorriso che nulla ha a che spartire con quello che dava il titolo alla premiere della seconda stagione, allora forse abbiamo un problema.

“Really? He used that word, ‘conclusive’?”
According to Mr. Adal, he did.”

Homeland - 6x03 The CovenantDall’altro lato dell’investigazione, abbiamo un ritorno in grande spolvero di Saul, che occupa una buona parte di questa puntata con il suo interrogatorio a Farhad Nafisi e un piccolo detour personale in visita alla sorella. Nel caso del patto con l’Iran, anche qui abbiamo prove a sufficienza per capire che qualcosa non torna (il pacchetto di sigarette trovato da Saul ad indicare che forse Nafisi era già stato lì, e che quindi ci sia qualcosa di orchestrato; il comportamento sospetto di Dar Adal con la president-elect– ma del resto, quando mai Dar non fa qualcosa di sospetto? – e con l’ascolto della conversazione tra lei e Carrie); eppure, anche qui, non c’è abbastanza per catturare davvero la nostra attenzione. Non è che non accada nulla: l’interrogatorio è un perfetto esempio di come le cose siano decisamente complicate e di come un patto tra Iran e Corea del Nord sia tanto probabile quanto forse totalmente inventato per spingere la futura presidente ad agire – e la rielaborazione delle parole di Saul da parte di Dar Adal spinge proprio in questa direzione. Ma, di nuovo, pare tutto troppo fumoso, troppo poco per essere già così avanti nella narrazione. La sensazione che ci sia qualcosa di molto più complesso in preparazione è forte, ma la rappresentazione – di cui il finale, con Saul diretto non si sa bene dove, è simbolo – risulta ancora lontana dal darci qualcosa a cui aggrapparci. Si sta ancora dispiegando il quadro, stiamo ancora osservando le pedine e nessuna si sta veramente muovendo: questo non vuol dire che la stagione non possa essere buona, ma che se lo sarà ci sta mettendo davvero troppo per diventarlo.

Homeland - 6x03 The CovenantSul versante di significati e contestualizzazioni contemporanee, Gansa e Gordon se la cavano meglio, anche se i primi funzionano meglio delle seconde (che solo la stagione scorsa erano state così presenti da rendere i riferimenti alla situazione internazionale un capitolo a parte su cui riflettere). Il “covenant” del titolo è sì quello con l’Iran, ma assume sfumature diverse soprattutto alla luce del dialogo tra Saul e la sorella: “A covenant with God made thousands of years ago. Doesn’t that strike you as a form of insanity?” è una frase potentissima e che riesce a ridurre davvero ai minimi termini gran parte dei conflitti internazionali che viviamo ancora oggi e che poggiano le loro basi su questioni tutt’altro che materiali – come, in questo caso, il patto tra Dio e Abramo. E, se vogliamo, l’accordo a causa del quale si difende una terra, più o meno promessa, è anche quello che troviamo sul suolo americano, in cui in nome della sicurezza dello stato c’è chi ha pattuito di fare tutto il possibile – e non solo – per mantenerla.

Homeland - 6x03 The CovenantSomewhere between 9/11 and Orlando”, dice Conlin in risposta a Carrie che si domanda da quando si arresti gente per crimini che potrebbe commettere, e questo apre un intero mondo di considerazioni, che partono dall’etica e dai confini tra libertà e sicurezza e arrivano dritti alla fantascienza di Philip K. Dick e del suo Minority Report. La riflessione, morale e non solo, alle spalle di tutto questo si trasforma in accusa precisa, quando – in uno dei pochi collegamenti alla storia contemporanea in questa puntata, tra cui quello sopra riportato – Carrie risponde alla futura presidente circa l’utilizzo delle parole all’interno della CIA.
That’s why when George Tenet said ‘slam dunk’, we all sat up in our chairs” è un riferimento a una ferita ancora aperta (in America, e non solo) relativa alla “schiacciante” certezza con cui l’ex Direttore della CIA George Tenet comunicò all’allora presidente George W. Bush l’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Il fatto di citarlo in modo apparentemente neutro, come un nome scivolato in una conversazione, assume invece i contorni di una polemica fortissima, che associa il discorso sull’importanza delle parole in ambito investigativo a chi se ne è, evidentemente, approfittato.

Cosa si fa quando si vuole difendere la propria terra? Quali patti siamo disposti a firmare, quali regole siamo pronti ad infrangere in nome di una sicurezza che, comunque, è e rimarrà sempre inevitabilmente una chimera?
Homeland continua a porci domande di grandissima caratura, che potremmo definire ridondanti se non fosse che ad esserlo sono i tempi in cui viviamo, che ci sottopongono ancora e ancora gli stessi problemi etici aumentandone la potenza costantemente – e per sapere cosa uno stato sia disposto a fare in nome della sicurezza, basta aprire un giornale qualunque in uno di questi giorni.

Homeland - 6x03 The CovenantEppure l’insieme del racconto ne esce con una potenza di gran lunga minore; la puntata finisce e si rimane col sentore di aver visto tutto e niente, soprattutto davanti a Quinn che, pistola alla mano, fissa una finestra dietro cui si nasconde “qualcuno” che potrebbe essere una minaccia come il nulla assoluto. Dove porterà questa sottotrama ancora non è chiaro – anche se, tolto l’incubo di inizio episodio, i motivi di interesse non sono certo in crescendo –, ma non è chiaro nemmeno dove ci stia portando questa stagione.
Possiamo solo stare a guardare, senza pregiudizi ma con la consapevolezza che Homeland ha cambiato ritmo e che sta al gusto (e alla pazienza) di ciascuno di noi capire se ne valga ancora la pena oppure no. È forse presto per rispondere a questa domanda, ma se non accadrà qualcosa di grosso a breve potrebbe essere troppo tardi per recuperare.

Voto: 6/7

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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Un commento su “Homeland – 6×03 The Covenant

  • Writer

    Sostanzialmente d’accordo. Questo inizio di stagione mi è parso poco convincente, poco coeso e narrativamente inefficace. Ho seguito il dipanarsi delle vicende con scarso interesse e coinvolgimento. Inoltre, la realtà attuale appare molto più romanzesca della rappresentazione. Un presidente come Trump che, nel giro di due settimane, mette il ban all’ingresso di 7 paesi musulmani (più di 100 milioni di cittadini), promuove come vice della CIA un’esperta in torture, permette la vendita di armi a persone con patologie mentali, s’imbarca in una campagna ferocemente antiabortista e rimuove le sanzioni alla cybersecurity russa, appare di gran lunga più fantasioso e inverosimile di “house of cards” e “Homeland” sommati insieme. E “homeland” aveva fatto della sua capacità di stare al passo con (e in qualche caso anticipare) gli eventi un suo punto di forza.
    Andando O.T. ho visto ieri il pilot di una nuova serie, “urban myths”, e mi è sembrato un piccolo gioiello. Nel caso (improbabile) che vi fosse sfuggito, ve la segnalo per una recensione.