Dopo la conclusione della seconda stagione di Gomorra erano in molti a pensare che la terza annata sarebbe stata di gestione decisamente più complicata, per un insieme di fattori (non ultima l’assenza di Sollima), ma soprattutto per la decisione di eliminare un personaggio storico, sulle cui spalle si reggeva una buona parte delle vicende narrate.
Far morire Don Pietro Savastano, dopo Donna Imma alla fine della prima stagione e Salvatore Conte all’inizio della seconda, è stata una scelta indubbiamente rischiosa, soprattutto quando si ha a che fare con un pubblico come quello italiano, che spesso alle ragioni narrative preferisce quelle del cuore – e non è un caso se, a seguito di morti eccellenti, la frase più ricorrente sia la classica “Non vedrò mai più la serie”. La posta in gioco era quindi altissima: arrivare ad una terza stagione con due personaggi storici, Genny e Ciro, due donne introdotte con la seconda annata, Scianel e Patrizia, e aggiungere a questi dei nuovi poli di attenzione e attrazione, che fossero in grado di conquistare il pubblico in modo quasi fulmineo; e tutto questo senza poter contare su quel fascino iconico che Gomorra aveva nella prima stagione, quello della “famiglia Savastano”, i cui rituali e le cui frasi celebri sono ancora nelle nostre menti nonostante siano passati ormai tre anni.
Da qui l’esigenza, e anche il colpo di genio, di uscire dai confini ormai ristretti di Secondigliano e allargare la vista a tutta Napoli: a zone mai incontrate, come quella di Forcella, e soprattutto alla Napoli Centro, che ha dato modo di inserire all’interno del racconto un nuovo gradino di quella che è la rappresentazione della camorra. Allargare l’occhio geograficamente si traduce anche in un approfondimento delle attività coinvolte: non più solo droga, ma industrie, onoranze funebri, vigilanza privata. E infine l’inclusione del Sistema e il conseguente allargamento sociale: la malavita ufficiale – che non trama solo agli angoli delle strade, ma anche nei quartieri bene – dominata da persone che non hanno nomi guadagnati sulla strada o per eredità (l’Immortale, Scianel, Sangue Blu), ma nomi altisonanti (O’ Stregone, O’ Sciarmant), e che hanno sempre guardato a quei personaggi che abbiamo conosciuto nelle prime due stagioni come a delle pedine minuscole, a delle “scimmiette” mai in grado di reggere il loro gioco. Ecco, ci dice subito Gomorra: quello che avete visto fino ad ora, e che vi sembrava il peggio, è solo l’ultimo gradino di un sistema ancora più grande. Far entrare in conflitto queste due parti era quindi l’unica mossa possibile per rinnovare nuovamente la serie.
Sulla carta il piano di allargare lo sguardo al Sistema è perfetto, ma far digerire questo cambio agli spettatori è un altro discorso: ecco perché i primi episodi sono dedicati a chiudere col passato (e la gigantografia di Don Pietro non fa altro che segnare questa cesura) e ad aprire i nuovi temi della stagione accompagnati da nuovi personaggi. In un’annata così diversa dalle altre, così difficile proprio per i cambiamenti che impone, era fondamentale puntare su dei temi solidi, granitici, che facessero da bussola allo spettatore, per permettergli di ritrovarsi sempre tra un cambiamento e l’altro, tra un’alleanza formata e una tradita.
Uno dei temi più importanti di questa annata è la solitudine: ogni personaggio vive separato dagli altri e lo fa per lungo tempo, non solo in maniera evidente (come nel caso della separazione di Genny da Azzura e il piccolo Pietro, o in quello di Ciro, relegato in una stanza di un motel visitata solo di rado da Genny e costantemente dai fantasmi di una fotografia), ma anche in modo più sottile. Patrizia, ormai isolata dalla famiglia, passa la stagione a vagare da un punto all’altro, facendo da ambasciatrice di un piano che non si svela fino alla fine e che fa di lei la vera manipolatrice di tutta questa stagione; Scianel, privata di un figlio, procede attaccata ad un’idea di potere che ormai non esiste più; e infine Enzo, orfano dall’eredità pesante, che finirà col perdere anche la sorella e che si lega davvero come ad un fratello a Ciro, che è a sua volta legato a doppio filo a Genny.
L’altro tema che guida tutta la stagione, e che esplode proprio nel finale, è l’opposizione tra la tradizione e le nuove leve, parallelo di quanto accade in questi nostri tempi, in cui i sistemi più datati cadono vittime delle “rivoluzioni”, che però – come la Storia insegna – non sempre sono migliori di ciò che vanno a sostituire. “Avete sentito il vecchio? – dirà Enzo dopo la riunione con O’ Stregone – ci voleva insegnare com’è la malavita a noi che la malavita l’abbiamo rivoltata!”; questo disprezzo per l’istituzione del Sistema, la voglia di rivalsa e l’avidità di Genny e la disposizione di Ciro a fare qualunque cosa pur di non star più “all’inferno da solo” danno il via alla stagione, e finiranno col segnarne inevitabilmente anche la conclusione.
Che r’è, Genna’? Te creriv’ che m’er’ avutat’?
L’undicesimo episodio è perfettamente diviso a metà: ad una prima parte di costruzione dello scambio tra Azzurra e il bambino da una parte e Ciro ed Enzo dall’altra, corrisponde la seconda metà interamente dedicata a questo scambio e girata in maniera superba da Francesca Comencini. Il personaggio che più di tutti si guadagna l’attenzione di questa puntata è Patrizia, la cui lealtà è stata in dubbio per l’intera stagione; sono pochi i momenti in cui si dubita della sua fedeltà a Scianel, ma ci sono, e sono gestiti molto bene da una centratissima Cristiana Dell’Anna, il cui sguardo impenetrabile caratterizza alla perfezione una donna che è entrata nella malavita quasi per sbaglio e che ci è rimasta, ma a caro prezzo – indurendosi all’inverosimile e gestendo più di un doppio gioco senza cedere per un istante. La scena in cui Patrizia entra a perlustrare il capanno e trova l’uomo che dovrà sparare a Genny non è chiarificatrice della sua lealtà da un punto di vista contenutistico – e infatti, una volta uscita, non rivela nulla a Genny e dà l’ok per lo scambio – ma lo è per la lunghissima inquadratura che le viene dedicata: è solo in quel momento che abbiamo la conferma che non farà mai parte di quel piano, e tutto questo senza che venga detta una singola parola.
Se c’è un difetto che si può imputare a questo episodio si trova proprio nel piano di rivolta contro i confederati; nella prima parte della puntata, infatti, era chiaro che Ciro, Enzo e Genny avessero un piano ben preciso, ma la segretezza e la reticenza nei vari dialoghi facevano pensare a qualcosa di elaborato e inimmaginabile. Che tutto si risolva in un’imboscata al magazzino di ceramiche risulta quindi piuttosto prevedibile, sia in termini narrativi che diegetici (lo stesso Don Avitabile poteva sospettare una mossa del genere). La vera svolta è appunto quella di Patrizia, che però di quel piano originario non faceva minimamente parte.
Ne guadagna tuttavia l’intera costruzione, che dalla scena della ritrovata famiglia Savastano passa all’uccisione di Don Avitabile per mano di Ciro (che ammazza così il terzo uomo ad aver coinvolto dei bambini nella vicenda, dopo Don Pietro e Malammore) e a quella di O’ Sciarmant.
I’, donn’Annali’.
Questa stagione si è retta principalmente su quattro bugie, vecchie e nuove, che hanno tenuto in piedi alleanze dai piedi di argilla, pronte a saltare non appena fossero emerse. Quelle tra Patrizia e Genny (il fatto che quest’ultimo abbia armato la mano di Ciro nell’uccisione sia di Don Pietro, sia di Malammore) sono ancora in piedi, e saranno una bomba ad orologeria nella prossima stagione; le altre due riguardano Patrizia e Scianel e, in ultimo, Ciro e Enzo relativamente alla morte di Carmela.
La puntata 11, si diceva, si conclude con il chiarimento della posizione di Patrizia, ma è solo con l’inizio dell’episodio 12 che il vero volto della donna si mostra, metaforicamente e fisicamente. Quello con Scianel è uno scontro liberatorio, in cui Patrizia si prende tutte le sue responsabilità e lo fa con l’orgoglio di chi mostra che l’allieva ha superato la maestra; e anche la sua mimica, sempre granitica, cambia e si trasforma, diventando la personificazione del disgusto da una parte e della soddisfazione dall’altra – emozioni manifestate da quel suo voler tornare con la memoria ai tempi in cui faceva la commessa pur di dimostrarle che l’ha odiata da sempre e che dietro all’uccisione di Lelluccio c’è stata lei. Farà in conclusione capire ad una scioccata Scianel (“Non è ver’” dirà all’inizio) che non è stata lei a farla crescere, ma che si è letteralmente cresciuta una serpe in seno – anzi, una iena.
L’altra grande bugia è quella che ci porta al finale ed è quella su cui bisogna riflettere un po’ più a lungo. Il concetto di “fratellanza” in questa stagione è stato più forte che in tutte le altre e ha legato i personaggi a coppie: Ciro con Genny da una parte e Enzo dall’altra; Enzo legato a Ciro da una parte e a Valerio dall’altra. Si è molto giocato sul dove pendesse l’ago della bilancia in questi episodi, quasi come se fossero dei rapporti amorosi con tanto di gelosie e richiami all’ordine – ed è curioso che proprio in questa puntata Enzo dica “Ma io non sono geloso”. A cambiare le sorti di queste fratellanze è proprio l’elemento che pareva il più esterno di tutti, quel “Vocabola’” che sembrava un pesce fuor d’acqua e che invece ha manovrato dall’esterno il piano che condurrà al crollo del Sistema, con la morte di O’ Stregone e l’alleanza con i Capaccio, e soprattutto alla rivelazione dell’assassino di Carmela. In pochissime puntate, la stagione è stata capace di costruire rapporti profondissimi e soprattutto credibili, ma anche evoluzioni esponenziali eppure realistiche, come quelle di Enzo e Valerio, la cui aggiunta al cast di quest’anno è stata gestita benissimo sin dall’inizio.
Enzo sostiene l’amicizia tra Ciro e Genny, ma davanti alle preoccupazioni di Valerio non esita ad aggiungere: “Se succede qualcosa, io Genny lo taglio a pezzi”. Valerio conosce bene l’amico e sa che toccando i tasti giusti potrà condurre Enzo a fare esattamente “ciò che è giusto”: togliere di mezzo l’incognita Savastano, che potrebbe per avidità in futuro allearsi con O’ Stregone per riprendersi anche la metà delle zone spartite nell’accordo. L’unico modo per convincere Enzo è trovare una motivazione sufficiente, e quella è sempre il sangue: la notizia che ci fosse Genny dietro alla morte di Carmela è stata facile da intuire per Ciro, e di certo non devono averci messo molto i Confederati (e quindi i Capaccio) a capire che, se non erano stati loro, l’unico altro nome possibile era quello di Savastano.
“Spara, ca’ me so’ stancat” (Ciro a Genny, 2×05)
“Spara” (Ciro a Enzo, 3×12)
A Gennaro in questa stagione è stato tolto tutto e da quel niente si è ricostruito, fino a quando gli hanno toccato la famiglia e questo, unito alla sua fame atavica di potere, l’ha spinto verso passi sempre più azzardati, alla ricerca di qualcosa che lo portasse ad essere il più importante di tutti. Non viene mai detto esplicitamente se non in questa puntata, ma è evidente come Genny patisca ancora il paragone con un padre che non l’ha mai davvero ritenuto all’altezza; vuole divorare tutto, vuole prendersi quello che suo padre riteneva “nuostr’” e anche di più, al punto che – con un’ironia mortifera – sarà proprio Ciro a dirgli “Ero convint’ ch’a Pietro Savastano l’avevo uccis’”. Ciro sa benissimo a cosa conduce quella cieca fame di tutto, perché è quella che ha portato lui ad ammazzare Deborah e Don Pietro ad uccidere la piccola Maria Rita.
Ma Genny una famiglia ce l’ha ancora e che possa preservarla per Ciro è più importante di tutto; per questo, quasi come un padre putativo, cerca di tenerlo lontano da scelte estreme, ricordandogli che la pace è il vero obiettivo e che è a se stesso che deve pensare, non a lui (una frase che risulterà fondamentale alla luce del finale). Il rapporto che Ciro e Genny hanno instaurato va al di là di fedeltà e tradimenti, perché entrambi hanno avuto vittime in famiglia per colpa dell’altro; ciò che li unisce è il loro essere soli, anche se in modo diverso; sapere cosa voglia dire uccidere qualcuno che si ama; riconoscere il sapore della terra in cui si è stati sbattuti, o in cui si è nati, prima di arrivare in cima – e scoprire che nulla davvero cambia.
Ma è Ciro il vero protagonista di questa puntata, e probabilmente dell’intera stagione. Proprio lui, che appare defilato la maggior parte delle volte, che agisce gestendo affari sempre con l’aria di chi potrebbe essere da un’altra parte, perché ormai nulla davvero importa – basta non stare da soli. Dal ritorno da Sofia si poteva pensare ad una ripresa del “vecchio Ciro”, che dopo le sue due vendette e un periodo di lontananza poteva essersi in qualche modo ripreso; ma quello che Gomorra ha avuto il coraggio di mostrare, per altre nove lunghe puntate, è stato il guscio di un personaggio che un tempo era enorme e che si è ridotto ad ombra di se stesso, non perché non abbia più la capacità di fare “il mestiere”, ma perché oltre a quello non ha più nient’altro eccetto una cosa: la consapevolezza delle sue azioni.
Ciro di Marzio, l’Immortale: non è un caso che proprio in questa stagione si scopra il perché di questo nome, che certo si è rafforzato negli anni di strada, ma che nasce quando lui era neonato e fu l’unico a salvarsi dal crollo di un palazzo a causa del terremoto in Irpinia. Un marchio iniziatico, insomma, un peso per la persona ma anche per gli autori, che si ritrovano a dover fare i conti con un personaggio che o sopravvive a tutto fino a diventare inverosimile, o muore ammazzato in un modo che non potrà mai reggere il confronto con quel nome. E questo è solo uno dei motivi per cui l’Immortale poteva morire solo decidendo di farlo; ma non è l’unica ragione per cui questa scelta risulta giusta, in modalità e tempistiche.
Ciro come persona non aveva più volontà di vivere e come personaggio aveva concluso il suo percorso; come “fratello” sentiva la necessità di sacrificarsi per l’amico e come essere umano il dovere di non distruggere un’altra famiglia – che è poi l’unico motivo perfettamente compreso anche da Genny, che pur con la morte nel cuore (e le pistole puntate contro) esegue quell’omicidio che gli peserà per sempre sulla coscienza. Già nella seconda stagione Ciro chiedeva a Genny di essere ucciso perché “era stanco”, e qui ripete quello “Spara” a Enzo, ma sarà proprio l’amico, in un parallelo impossibile da non notare, a portare a termine l’esecuzione.
È la redenzione, dunque, la vera novità di questa stagione di Gomorra? Sì e no.
La serie ci ha sempre raccontato, alla faccia di tutti quelli che parlano di “rischio emulazione”, che chi sceglie questa vita muore: non ci sono attenuanti, non ci sono “se”, né “forse”. Non solo, muore chi fa questa vita e anche chi gli gravita attorno, come le tante vittime innocenti della camorra testimoniano. Ciro (quello, ricordiamolo, con cui nella prima stagione si simpatizzò di più, quello che infine ci diede la più cocente delusione con la puntata dedicata a Gelsomina Verde) ha capito il significato delle sue azioni, l’ha compreso fino in fondo; e se questa fosse una storia a lieto fine (o quasi), la redenzione lo riporterebbe sulla retta via e accenderebbe un minimo di speranza, almeno per chi si redime.
Ma non è questo il messaggio di Gomorra: chi compie azioni così atroci può pentirsi, certo, ma il peso di ciò che ha fatto diventa insostenibile; la vita si svuota, non ha più senso, ed è così che senza nemmeno un secondo pensiero Ciro va incontro alla morte, perché è il destino di tutti in Gomorra. Anche per chi capisce cosa ha fatto, anche per chi si pente e trova il coraggio di andare sulle tombe a piangere (per i morti, per se stesso) non c’è e non può esserci salvezza, e questo è il messaggio più potente che la serie abbia mai mandato in tre intere stagioni. Solo due attori immensi come Marco D’Amore e Salvatore Esposito potevano regalarci una scena finale come quella, da cui traspare il dolore della separazione e dell’inevitabilità, l’amore fraterno e il ringraziamento reciproco che legano Ciro e Genny – e, mi si permetta di dirlo, in modo piuttosto evidente anche Marco e Salvatore.
Non era una stagione facile da affrontare e non è stata tra le più facili da digerire, ma non è questo lo scopo della serie; rappresentare una parte della realtà e farlo con questo filtro costantemente negativo può essere difficile da sopportare, anzi deve esserlo; ma non bisogna confondere questa difficoltà con motivazioni di gran lunga diverse e decisamente più discutibili.
Invertire causa ed effetto è un processo che non porta mai a nulla di buono e attribuire a Gomorra, che rappresenta una parte della realtà, la responsabilità di influenzare quella stessa realtà è qualcosa che non ha senso proprio a livello logico, figurarsi su qualunque altro piano. Questi due episodi hanno saputo chiudere una stagione che ha avuto un ritmo decisamente diverso dalle altre, e questo ha comportato vantaggi e svantaggi (uno su tutti, il rallentamento delle puntate centrali e alcuni escamotage forse non proprio originalissimi, come nel caso del rapimento del piccolo Pietro o dell’agguato dell’undicesimo episodio). Ciononostante, Gomorra è riuscita per il terzo anno a ricostruirsi in un modo completamente diverso dalla stagione precedente e a mostrarci di nuovo altre facce della stessa, terribile storia. Come andrà avanti senza l’Immortale (e senza Scianel) è difficile da prevedere, ma del resto ce lo chiedevamo anche dopo Donna Imma, e anche e soprattutto Don Pietro: e se siamo ancora qui a parlarne (e bene), un motivo ci sarà.
Voto 3×11: 8
Voto 3×12: 9
Voto Stagione: 8½
Hanno eliminato l’ attore piu’ bravo rimasto nonche’ quello che era per me il personaggio cardine della serie .
Adesso ci dobbiamo beccare sangue blu e l’altro improbabile borghese che si fa malavitoso tal Valerio ,due bambocci che recitano al livello di “un posto al sole”.
Pure Patrizia in un ruolo piu’ impegnativo mi ha abbastanza deluso in questa terza serie.
Terza serie sotto le aspettative secondo me.
Non c’è dubbio che la morte di Ciro sia un bel colpo di scena, in linea con l’evoluzione del personaggio in questa stagione ma, nonostante ciò, penso che sia stata architettata in modo poco logico. Mi chiedo come faccia Sangue Blu a convincersi della storia raccontata da Ciro, per lui un fratello, fin tanto da ucciderlo. Che senso avrebbe per Ciro, se fosse veramente lui il traditore, confessare l’omicidio della sorella di Enzo e farsi uccidere? E, anche convintosi della colpevolezza di Ciro, per quale ragione Enzo non dovrebbe uccidere pure Genny? Colpo di scena sicuramente coraggioso ma narrativamente non sorretto da solide basi.
È vero che Enzo considera Ciro un fratello, ma secondo me vanno tenute in considerazione due cose:
– Che senso avrebbe confessare se fosse vero? Giusta domanda, ma Enzo sa benissimo che qualunque sia l’obiettivo di Ciro, non lo perseguirebbe mai a spese di Genny. Se c’è una cosa che Enzo sa bene (e questa stagione ha calcato molto la mano su questo triangolo di amicizia) è che Ciro a Genny è così legato che non vorrebbe mai vederlo morto. Nell’ipotesi narrata da Ciro, dunque, ci sta che davanti alla minaccia di uccidere Genny riveli il suo piano, e si prenda anche un po’ di rivincita su come si sarebbe rigirato Enzo stesso.
– ma soprattutto! Enzo non ha tempo di pensare. Quella scena non dà alcuno spazio alla logica, ma solo all’emotività, al sentimento del tradimento. Quando gli dice “tu ti saresti fermato, io avevo bisogno che tu corressi” è perfettamente credibile per uno come Enzo, che sì, ha visto in Ciro un fratello, ma è stato gestito e “cresciuto” da Ciro per un’intera stagione proprio per “galoppare” e soprattutto sa benissimo quanto sia frequente nella malavita tradire ed essere tradito.
Insomma, io credo che se tutta questa farsa di Ciro fosse stata detta in una scena e la decisione presa mezz’ora dopo, la poca credibilità ci starebbe pure; ma qui si gioca tutto in pochi minuti, e in quei minuti a giocare è la pancia, non la testa.
Io l’ho amata proprio per quello. È una stagione viscerale, in cui gli affetti, la fratellanza, sono onnipresenti, e, come tutti i sentimenti, rendono tanto forti quanto vulnerabili; questa scena ne è, a mio avviso, un perfetto esempio.
Capisco il tuo punto di vista ma nota una cosa: Ciro dice “io avrei dovuto occuparmi di voi” (e dal cenno della testa fa intendere che in quel “voi” rientra pure Genny). Quindi, se sarebbe pronto a tradire anche Genny, quello che dici tu non sarebbe corretto. Sta tutto nell’interpretare quel dialogo e da come l’ho interpretato io, appunto, il tradimento di Ciro avrebbe ad oggetto pure Genny.
E poi, ancora, perché non uccidere anche Genny? In quel caso tutto avrebbe avuto più senso.
Se fosse*
Mi sono riguardata attentamente la scena, e quel “voi” potrebbe essere ambiguo ma comunque non credo sia rivolto a Genny bensì a tutti loro di Forcella (che ha anche alle spalle). Anche perché proviamo a considerare l’ipotesi per cui Ciro stesse davvero ammettendo il suo tradimento sia a Enzo sia a questo punto a Genny: pure Genny dovrebbe esplodere, no? Invece continua a dirgli “smettila, smettila”. Se Enzo pensasse davvero che Ciro stava tradendo pure Genny, prima di tutto si aspetterebbe una reazione incazzata pure da Genny, ma soprattutto non direbbe a Ciro “Non è vero, lo stai facendo solo per proteggere lui”, no? Non avrebbe senso.
È vero che Ciro poi fa tutto il discorso sul desiderio di avere Napoli per sé, ma questo non implica automaticamente che nel “piano” (quello che gli vende, insomma) ci fosse il tradire Genny, bensì il collaborare con lui per raggiungere i suoi scopi. E siccome (sempre nella sua storia inventata) sarebbe disposto a tutto, ma non a vedere ucciso Genny che considera come un fratello, si fa avanti solo dopo la minaccia di morte a Genny e esce allo scoperto. Su tutto questo, poi, per me gioca sempre la carta dell’emotività e della rapidità della confessione, per cui l’orgoglio ferito di Enzo (e l’affetto ferito) lo portano ad agire senza riflettere davvero; e se ci fai caso, la “gelosia” dell’essere stato tradito e del fatto che Ciro abbia preferito Genny a lui è ciò che lo porta a dire che deve essere Genny stesso a ucciderlo. Più ci penso e più tutta la dinamica affettiva sia giocata in modo incredibile!
Recensione molto bella Federica, grazie, sono d’accordo su tutto. L’unica critica che però farei a tutta la serie, ma in particolare a questa stagione, riguarda un indugiare eccessivo e retorico all’estetica della immagini e delle frasi ad effetto. Questa modalità è quasi un marchio della serie, ma in questa stagione trovo che si sia a tratti un po’ esagerato, soprattutto nei dialoghi tra i personaggi, continui scambi di insegnamenti di vita, frasi rivelatorie di significati profondi, ma anche in alcune inquadrature belle e simboliche, come il cortile del palazzo dello stregone, le immagini dell’agguato nel magazzino delle ceramiche. Mi sembra un po’ un vuoto esercizio di stile di cui in questa stagione si è un po’ abusato, a volte si resta con una sensazione quasi dolciastra, poco meno sarebbe bastato. Ma si tratta veramente di dettagli perché nel complesso la serie mi sembra ancora di altissimo livello da tutti i punti di vista
Ciao Caterina, innanzitutto grazie! Sulla retorica non sei la prima a notarlo, io devo dire che per quanto riguarda la questione delle frasi l’ho un po’ patita all’inizio ma poi molto meno, e anzi, questa mi pare una stagione meno “citabile” rispetto ad altre; però capisco cosa intendi e lì credo vada un po’ a gusto personale. A me ha dato un po’ fastidio all’inizio, poi davvero poco.
Sui luoghi invece non capisco bene cosa intendi! Io le ho trovate ambientazioni splendide e che anzi, nel loro essere molto riconoscibili hanno aiutato a seguire una stagione di continui scambi di alleanze che rischiava di essere di difficile comprensione e che invece è stata chiarissima dall’inizio alla fine. Ah per inciso il cortile di casa dello Stregone io l’ho amato, mi dava un’angoscia terribile quindi l’ho trovato perfetto!
Ciao Federica, scusa se rispondo in ritardo, ma il febbrone di natale ha colpito anche me. Sono assolutamente d’accordo con te sul fatto che le ambientazioni siano splendide e quasi sempre efficaci; trovo però che spesso la regia indugi su immagini visivamente ad effetto, in modo fine a se stesso…pubblicitario! Ripeto è solo una questione di misura, ma Gomorra mi piacerebbe di più se fosse più asciutta, anche dal punto di vista visivo. Come dicevi tu è sicuramente una questione di gusto personale.
Recensione eccezionale, Federica. Molto bella l’osservazione del fatto che l’Immortale, alla maniera di certe figure mitologiche, poteva morire solo per scelta sua. A me la Stagione è piaciuta. Non come la seconda, ma comunque tanto. E’ bello poter vedere prodotti italiani di questo livello.
Ciao Genio, grazie mille! Sì, la questione dell’Immortale e del suo nome mi è venuta come riflessione proprio appena finita la puntata ma in generale mi sono sempre chiesta cosa sarebbe successo con uno come lui. Uno che si chiama Immortale o vive per sempre a costo di far saltare tutta la coerenza (e anche la costruzione della tensione) della serie, oppure muore in un modo che non soddisferà mai nessuno. Pensa, mi è venuto pure in mente che ai tempi di 24 si discuteva sul fatto “Jack Bauer morirà mai?” e un mio amico disse una cosa tipo “magari passi una vita a scamparne di ogni e poi muori perché scivoli su una buccia di banana e cadi con la testa su uno spigolo”. Insomma, ogni cosa a quel punto risulta ridicola, no? Ecco, diciamo che la vita prevede pure queste cose, però se vuoi fare una cosa scritta bene dopo aver scelto un nome o un personaggio “indistruttibile”, ti ritrovi con una bella gatta da pelare.
Che Ciro abbia deciso volontariamente di morire, a modo suo, lo trovo davvero poetico per il personaggio e perfetto da un punto di vista di scrittura.
“Penso, ma è un’idea mia, che fisiologicamente due stagioni siano il tempo perfetto per sviluppare un racconto. Gomorra è stata un’esperienza incredibile, ma non si ripeterà.”
Stefano Sollima
Direi che tiene ragione 🙂